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Economia

Fmi torna in Africa, nodo tassi e frenata dell’economia

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Meno condizionato come il G20 dalla presenza di leader, più esteso sui temi da trattare delle conferenze Cop dell’Onu sul clima, il meeting annuale del Fondo Monetario e della Banca Mondiale che parte, da lunedì fino a sabato a Marrakech, proverà a porsi come uno degli oramai pochi luoghi di dialogo globali per affrontare i bisogni di finanziamento delle grandi sfide mondiali: la transizione climatica, il rallentamenti dell’economia e il libero commercio. Per l’Italia saranno presenti il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti e il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco.

Ci sarà anche il suo prossimo successore, dal 1 novembre, Fabio Panetta, ma ancora sotto l’insegna Bce. In un mondo che torna a dividersi in blocchi contrapposti da conflitti armati, l’ultimo dei quali di queste ore in Israele, alleanze politiche o larvate guerre commerciali, i rappresentanti dei Paesi avranno quindi un punto di incontro in Africa, forse il continente che più subisce questi rivolgimenti assieme a unn buon numero di altri paesi, come Sri Lanka, Pakistan e Argentina, stretti fra aumento dei tassi, frenata del pil e conflitti e che rivedono lo spettro del default sul debito. Rimandato per via del Covid, il meeting di Marrakesh ha rischiato un nuovo stop dpo il terremoto che ha devastato il Paese il 9 settembre con migliaia di morti. Ma il governo del Marocco ha convinto Fmi e Banca Mondiale a confermarlo assicurando condizioni sicure per le 14mila persone che parteciperanno a vario titolo.

All’Africa, dove il Fondo torna dopo 50 anni dal vertice di Nairobi, la direttrice dell’Fmi Kristalina Georgieva ha teso la mano promettendo più finanziamenti, ora a 10 miliardi di dollari l’anno. Ma si deve scontrare con un sentimento sempre più ostile nell’area verso le istituzioni e i Paesi occidentali, sia Francia sia Stati Uniti, alimentato anche dalla Russia ingolfata nel conflitto in Ucraina e dove la Cina intensifica la sua presenza. Proprio la Cina, la cui economia peraltro mostra segnali di difficoltà sempre maggiori, rappresenta un’altra grana per l’Fmi e il suo tentativo di allargare la governance a più paesi aumentando così la capacità di finanziamento. Nel Fondo le quote di controllo sono assegnate ai Paesi in base alla loro posizione nell’economia mondiale. Nel 2010 una prima revisione per tenere conto dei progressi di alcuni Paesi ex emergenti è stata raggiunta, ma ora un nuovo cambiamento, che aumenterebbe ancora la quota della Cina, troverebbe il veto degli Usa che secondo alcune voci di stampa proporrebbero in cambio piccoli cambiamenti nell’organigramma. Nella politica americana, specie nella maggioranza parlamentare repubblicana, infatti il sentimento anti Pechino è oramai esplicito e peraltro sempre più ricambiato. Eppure per il clima, cui sono dedicate numerose sessioni del vertice, è chiaro che c’è bisogno per la loro efficacia di decisioni il più possibili condivise internazionalmente.

Al contrario si rischia di vanificare gli effetti di alcune aree ‘virtuose’ e di rendere non più competitivi interi settori industriali in Europa o Usa rendendo peraltro il tema ostile ai lavoratori e terreno di scontro politico. La finanza privata poi, che si riunirà in città parallelamente con iniziative dell’Iif (l’international institute of finace) chiede di definire meglio il set di regole chiare e condivise a livello mondiale per i propri investimenti nella transizione. E poi c’è l’Europa. Il Covid e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia hanno permesso il lancio di iniziative comuni a lungo rimandate e si sta ponendo all’avanguardia nella transizione anche per finire la sua dipendenza da fonti fossili esterne. Certo il suo peso nell’economia globale è diminuito e ora sconta un rallentamento in buona parte pilotato dalla Bce per raffreddare l’inflazione ma ha evitato la recessione come ha sottolineato il commissario per l’economia Paolo Gentiloni che sarà presente anche lui a Marrakech. E per Francoforte, come ha annunciato la presidente Christine Lagarde, che al meeting sarà di casa, la lotta all’inflazione resta la priorità nonostante gli appelli a moderare la stretta: “I tassi d’interesse della Bce hanno raggiunto un livello che, se mantenuto per un periodo sufficientemente lungo, contribuirà in maniera decisiva a riportare al più presto l’inflazione verso i nostro obiettivo”.

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Economia

Bankitalia, più rischi finanziari con dazi e crypto

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La guerra dei dazi, con l’impatto economico che minaccia la crescita mondiale e con i mercati attraversati da forte instabilità, fa salire i rischi per la stabilità finanziaria globale: il segnale più recente arriva dal crollo della fiducia dei consumatori americani ai minimi dal 2020. E c’è attenzione ai rischi legati all’intenzione dell’amministrazione Trump di utilizzare le ‘stablecoin’ per promuovere il dollaro. E’ lo scenario tratteggiato dal Rapporto sulla stabilità finanziaria della Banca d’Italia: un termometro che misura ogni sei mesi i rischi sistemici e che, rispetto allo scorso novembre, inevitabilmente ruota attorno alle misure ad alto impatto di Trump e al “notevole aumento dell’incertezza e di tensioni sui mercati finanziari” che ne sono seguiti: previsioni di crescita ulteriormente ridimensionate” dopo i maxi-dazi annunciati il 2 aprile, con una probabilità di recessione negli Usa quest’anno “significativamente aumentata”.

Proprio oggi la fiducia dei consumatori Usa è crollata a 86 punti, mai così bassa dal 2020, mentre il sentiment economico nell’area euro è tornato a scendere. L’Italia, come i partner europei, non è al riparo. “L’alto debito pubblico e la scarsa crescita dell’economia italiana rimangono fattori di vulnerabilità”, si legge nel documento di 49 pagine. I dazi potrebbero far peggiorare la qualità dei prestiti bancari, con le banche italiane più esposte della media europea allo scenario di un calo degli utili delle imprese esportatrici superiore all’1% a causa dei dazi Usa. Nel complesso “i rischi per il sistema finanziario italiano restano comunque moderati”. Le banche sono ben capitalizzate, e vengono in aiuto una bassa disoccupazione; uno spread dei Btp sull’ottovolante con i treasuries Usa, ma più basso che nello scorso autunno; una posizione netta creditrice sull’estero che ha indotto S&P a migliorare il rating, a beneficio dell’interesse estero sui titoli italiani.

Il ‘faro’ di Bankitalia guarda anche a rischi specifici come l’alto numero (119) di incidenti operativi o cibernetici che hanno colpito gli intermediari nel 2024, e gli 85 miliardi di euro di ‘certificates’, strumenti finanziari complessi, nei portafogli italiani di cui quasi due terzi retail: il valore più alto fra i Paesi europei, da tempo all’attenzione di Via Nazionale e Consob. Bankitalia – come la Bce – monitora poi con attenzione i piani sul fronte della finanza digitale dell’amministrazione Trump, da cui arrivano segnali di forte sostegno alle attività crypto e avversione all’euro digitale. Per ora i dazi non hanno fatto altro che indebolire il dollaro, creando addirittura un’opportunità per l’euro sottolineata dal membro del board della Bce Piero Cipollone, a patto di realizzare l’Unione dei risparmi e investimenti e un titolo comune europeo.

Ma ci sono due osservati speciali, il ‘Genius Act’ e lo ‘Stable Act’, due proposte di legge americane tese a promuovere le stablecoin, attività che a fronte di un ‘token’ hanno riserve in valuta, specie dollari. Alcuni economisti ipotizzano che serviranno a irrobustire il ruolo internazionale del dollaro. I rischi, per Bankitalia, arriverebbero se nelle due proposte ci fosse una rottura con i principi globali concordati nel Financial Stability Board e con la normativa più stringente del regolamento europeo Micar. Se dal 10% del mercato crypto attuale le stablecoin arrivassero ad assumere una dimensione sistemica – avverte Bankitalia – potrebbe esserci una “eccezionale domanda di titoli pubblici degli Stati Uniti”, ma in caso di dissesto dell’emittente il rischio è una corsa a liquidare che “provocherebbe tensioni sui mercati dei titoli pubblici americani e ripercussioni su altri comparti del sistema finanziario globale”. Non solo: se nell’area dell’euro si affermassero come sistema di pagamento stablecoin in euro offerti da intermediari Usa, secondo il Rapporto si rischiano “implicazioni anche per il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento e per la stessa sovranità monetaria”.

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Economia

Fumata nera su contratto infermieri, fermi anche medici

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Dopo 13 mesi di stallo, ancora una fumata nera sul contratto del comparto Sanità 2022-24, che riguarda oltre 580mila lavoratori del Servizio sanitario nazionale tra infermieri – che rappresentano oltre la metà del totale – tecnici e personale non medico. Sul tavolo ci sono 172 euro di aumento mensile ma i sindacati di categoria sono divisi e varie sigle reputano insufficienti le risorse stanziate e carente la parte normativa. L’incontro di oggi all’Aran per la ripresa delle trattative, dopo che alcune sigle avevano già fatto saltare l’accordo nei mesi scorsi, si è dunque chiuso con un nulla di fatto. Un nuovo incontro è previsto il 22 maggio.

Intanto, anche per il contratto dei medici è stallo: attendono ancora l’atto di indirizzo e chiedono di avviare subito le trattative. Nell’incontro di oggi, i sindacati degli infermieri e di categoria confermano posizioni differenti. Da un lato il sindacato Nursind, favorevole ad una chiusura. “Anche oggi – rileva il segretario Andrea Bottega – abbiamo ribadito la nostra disponibilità a sottoscrivere il Ccnl, ma soprattutto sollevato un problema di tempi perché i fondi, seppure pochi e insufficienti a compensare l’inflazione degli ultimi anni, vanno spesi entro fine anno come previsto dal Documento di finanza pubblica. Oppure sarà meglio poi doversi piegare a quanto sarà deciso unilateralmente dal governo? Questa sì che sarebbe una sconfitta per le relazioni sindacali”. Riferendosi quindi alle sigle che insistono sul nodo dei fondi, Bottega sottolinea che “la questione delle scarse risorse non è da porre al tavolo Aran. Non è in quella sede che può essere affrontata e risolta. Per disporre di nuovi stanziamenti, infatti, serve una legge”.

Per il Nursing up, l’incontro “si è rapidamente trasformato nell’ennesimo muro contro muro, senza uno spiraglio di soluzione”. E pur chiedendo di chiudere il contratto al più presto, il sindacato chiede a governo e regioni “da che parte stanno: basta teatrini, i professionisti sanitari non sono marionette”. E’ netta invece l’opposizione di Fp Cgil e Uil Fpl: “Non è emersa alcuna novità sostanziale, né sul piano economico né su quello normativo. Ancora una volta – affermano – il confronto si è rivelato privo di contenuti in grado di rispondere concretamente alle attese dei lavoratori e lavoratrici del settore. Ribadiamo con fermezza l’indisponibilità a sottoscrivere una pre-intesa che non riconosca il valore del personale sanitario attraverso tutele reali, diritti esigibili e un adeguato incremento salariale”. Insomma, avvertono, “in assenza di un cambio di rotta non esistono le condizioni per la chiusura positiva della trattativa”. Da parte sua, l’Aran sottolinea che, anche se restano distanti le posizioni delle parti, “il confronto ha permesso di entrare nel merito di alcune questioni specifiche, offrendo l’occasione per un dialogo più concreto. Per continuare il confronto e verificare se ci sono le condizioni per arrivare a un’intesa”.

Ricorda quindi che si prevede un aumento medio mensile di 172,37 euro per tredici mensilità, pari al 6,8% in più rispetto agli stipendi attuali, e le risorse stanziate ammontano a 1,784 miliardi. Oltre agli aspetti economici, il contratto introduce inoltre “maggiore tutela contro le aggressioni al personale, riorganizzazione degli incarichi professionali, potenziamento della formazione e nuove misure per migliorare l’equilibrio tra vita e lavoro”. Intanto, medici e dirigenti sanitari ancora attendono l’atto di indirizzo necessario ad avviare le trattative per il loro contratto 2022-24, dunque già scaduto. “Non solo non siamo disponibili ad aspettare, perchè è inaccettabile dover attendere la conclusione del contratto del comparto Sanità per poter iniziare a discutere di quello dei medici – affermano i leader dei sindacati Anaao e Cimo, Pierino Di Silverio e Guido Quici – ma anzi chiediamo di fare un ulteriore passo avanti accorpando i trienni contrattuali 2022-24 e 2025-27, una decisione che sarebbe storica”. Questo, concludono, per “garantire ai colleghi adeguamenti retributivi accettabili e bloccare l’intollerabile tradizione di firmare solo contratti già scaduti”.

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Economia

Françoise Bettencourt Meyers lascia il consiglio di L’Oréal

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Dopo quasi 30 anni, Françoise Bettencourt Meyers (foto Imagoeconomica) lascia il consiglio di amministrazione di L’Oréal, pur mantenendo la presidenza della holding familiare Tethys, primo azionista del gruppo. Al suo posto nel board entrerà un altro rappresentante di Tethys, mentre il ruolo di vicepresidente sarà assunto dal figlio Jean-Victor Meyers, 38 anni. Françoise Bettencourt Meyers, 71 anni, è l’unica erede diretta del fondatore di L’Oréal, Eugène Schueller.

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