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Giornata dello spazio, l’Italia guarda a Luna e Africa

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A 60 anni dal lancio del suo primo satellite, il San Marco 1 voluto da Luigi Broglio, l’Italia guarda a un futuro in cui lo spazio è sempre più importante, dai programmi per la Luna a quelli per l’Africa, dove la base di Malindi potrebbe tornare a essere, oltre a un centro di formazione, anche il luogo da cui lanciare i futuri satelliti africani. A tracciare lo scenario dei prossimi anni sono stati il presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Teodoro Valente, e il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso (nella foto Imagoeconomica in evidenza). In occasione della Giornata (foto Imagoeconomica sotto), si è aperto a Roma il forum sulla New Space Economy (Nse Expoforum) organizzato da Fiera Roma e Asi. Molte anche le iniziativa promosse dall’Istituto Nazionale di Astrofisica.

“Oggi l’Italia è in grado di coprire tutti i domini delle attività spaziali: dall’osservazione della Terra all’esplorazione umana e robotica, fino a telecomunicazioni, navigazione, accesso allo spazio e ricerca”, ha osservato Valente nell’evento che presso l’Asi ha aperto le celebrazioni. Se l’Italia è fra i protaginisti dello spazio a livello internazionale, ha aggiunto, lo deve a “un ecosistema integrato che fa dialogare università, ricerca e imprese”

ANDREA BETTINI GIORNALISTA

La “via italiana allo spazio”, ha proseguito, comprende settori destinati a una grande espansione come la difesa planetaria, con il telescopio Flyeye previsto in Sicilia, la costellazione Iride per l’osservazione della Terra, il contributo all’Agenzia Spaziale Europea per i moduli della futura stazione spaziale Gateway destinata all’orbita lunare, il programma di telecomunicazioni Moonlight e alla missione Exomars. “Tutto quello che facciamo è per migliorare la vita dei cittadini, all’insegna di sicurezza e sostenibilità”, ha detto ancora Valente, “con l’impegno a operare per l’uso pacifico dello spazio”. In linea con il Piano Mattei, lo spazio italiano guarda anche all’Africa e il Broglio Space Center, dove è attiva una stazione di controllo e ricezione di dati spaziali, potrà avere un ruolo importante anche nella cooperazione con le agenzie spaziali dei singoli Paesi africani e con la futura Agenzia spaziale africana.

“Vogliamo dare a Malindi – ha detto Urso – una funzione prioritaria di formazione” e “come una base di lancio per le costellazioni dei microsatelliti dei Paesi africani”- Guardando poi alla New Space Economy, sempre più importante anche per il futuro dello spazio italiano, Urso ha detto che nella Legge dello spazio in via di approvazione sono state allocate “altre risorse per le piccole e medie imprese del settore, con una riserva negli appalti per le Pmi affinché anch’esse possono crescere in maniera significativa. Diamo loro una quota all’interno dei programmi e degli appalti delle grandi imprese”. Si prevede inoltre “che vi sia una percentuale che i fondi pensione devono investire sulle startup per consentire loro di diventare delle imprese”.

Il ruolo delle attività spaziali nella vita di tutti i giorni è infine il tema dell’evento Nse Expoforum, punto di confronto tra mprese, startup, istituzioni e organizzazioni, con uno spazio dedicato all’incontro diretto tra le aziende e i principali attori della space economy, e un’area dedicata all’apprendimento e alla condivisione tra aziende e istituzioni di livello internazionale, con corsi e iniziative di aggiornamento.

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Ucraina: il dramma dei bambini deportati in Russia e la difficile operazione di recupero

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Oltre 20.000 bambini ucraini sarebbero stati deportati in Russia e sottoposti a programmi di rieducazione forzata, secondo le stime più basse. Un numero che, secondo le dichiarazioni ufficiali di Maria Lvova-Belova, Commissaria per l’infanzia nominata da Vladimir Putin, potrebbe addirittura arrivare a 720.000.

Quelli riportati indietro finora sono meno di 600. Un numero drammaticamente esiguo rispetto alla portata della tragedia. Lvova-Belova, anziché ammettere il crimine, rivendica con orgoglio di averli “salvati” dalla guerra, adottandone persino alcuni. È anche per questo motivo che la Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di arresto nei suoi confronti e in quello di Putin, riconoscendo la deportazione dei minori come crimine di guerra.

IL “LAVAGGIO DEL CERVELLO” E LA RIEDUCAZIONE FORZATA

Molti di questi bambini vengono trasferiti nei campi di rieducazione russi, dove vengono indottrinati con la propaganda di Mosca. Sono costretti a dimenticare la loro famiglia e la loro identità ucraina, imparando a considerare la Russia come “madrepatria” e gli ucraini come nemici. In alcuni casi, vengono addirittura trasformati in “mini-soldati”, addestrati con lo scopo di combattere contro il loro stesso popolo.

Non è raro trovare immagini di bambini ucraini che sventolano bandiere russe negli stadi di Mosca, indottrinati a credere di essere diventati parte di un nuovo mondo. Alcuni, quando vengono contattati dalle loro famiglie, rifiutano persino di tornare in Ucraina, segno della profonda manipolazione psicologica subita.

IL PROGRAMMA DI “DE-OCCUPAZIONE COGNITIVA”

Per coloro che sono riusciti a tornare, in Ucraina è stato attivato un programma di “de-occupazione cognitiva”, ideato da Oksana Lebedova, fondatrice dell’organizzazione Gen Ukrainian. L’obiettivo è aiutare i bambini a disintossicarsi mentalmente dalla propaganda a cui sono stati sottoposti.

Al Sunday Times, che ha dedicato diversi reportage alla vicenda, Lebedova ha raccontato che questi bambini “hanno negli occhi qualcosa di diverso, come fossero adulti con occhi molto vecchi”. Sono eccessivamente educati e disciplinati, al punto da avere paura anche solo di arrivare in ritardo di un minuto.

La diffidenza nei confronti degli adulti è altissima: hanno visto insegnanti e vicini di casa diventare collaborazionisti, il che li ha resi incapaci di fidarsi di chiunque.

LE DIFFICOLTÀ DEL RIMPATRIO

Recuperare i bambini rimasti in Russia è un’impresa quasi impossibile. Mykola Kuleba, capo dell’organizzazione Save Ukraine, ha spiegato che il governo ucraino sta cercando di farlo attraverso la mediazione del Qatar e degli Emirati Arabi, ma il processo è estremamente lento.

“Putin blocca i rientri perché capisce che ogni bambino rapito è un testimone dei crimini di guerra della Russia”, ha dichiarato Kuleba.

Molti di loro, prima di tornare in Ucraina, vengono trasferiti in Georgia o Bielorussia, dove vengono spostati da un campo all’altro, rendendo ancora più difficile il loro recupero.

IL DRAMMA DEGLI ORFANI NASCOSTI

Tra le storie più toccanti c’è quella di Vova Petukhov e del fratellino Sasha, di 16 e 13 anni. Due anni fa si trovavano in un istituto per minori svantaggiati a Mykolaiv, nel sud dell’Ucraina. Dopo che molti bambini furono recuperati dalle famiglie, 15 orfani furono costretti a nascondersi nel seminterrato per tre mesi, senza luce né acqua, insieme alla direttrice e a parte dello staff.

Quando i soldati russi li scoprirono, diedero loro 30 minuti per raccogliere tutto, li trasferirono a Kherson occupata e girarono un video di propaganda, per mostrare al mondo che li stavano evacuando in sicurezza. In realtà, vennero portati in un centro di riabilitazione per minori a Stepanivka, poi in un sanatorio sul Mar Nero ad Anapa.

Un 15enne di Kherson ha raccontato che un soldato russo lo ha preso a calci, dicendogli:

“Fabbricherai i proiettili con cui uccideremo gli ucraini”.

IL LUNGO PERCORSO DI GUARIGIONE

Ora, alcuni di questi bambini stanno cercando di tornare alla normalità. In un campo speciale vicino a Lutsk, nel nord-ovest dell’Ucraina, cinquanta di loro tra i 7 e i 17 anni hanno trascorso undici giorni insieme, partecipando a sedute di psicoterapia individuale e di gruppo, facendo sport e guardando film come Harry Potter.

Ma le ferite della guerra e della deportazione sono profonde e difficili da guarire. Dietro le immagini di bambini in fila per lo zucchero filato, si nascondono traumi incancellabili, segnati dal terrore della separazione e dalla perdita della loro identità.

Nel frattempo, il mondo resta a guardare, mentre la Russia continua a trattenere migliaia di bambini rapiti, negando a intere famiglie la possibilità di riabbracciare i propri figli.

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Un caso il viaggio d’affari di Totti a Mosca, gli appelli a non andare e i silenzi del campione

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“L’imperatore sta andando alla terza Roma”. Sfondo viola, slogan in russo e l’immagine di Francesco Totti (foto Imagoeconomica in evidenza) di spalle con la maglia della Roma ed il numero 10 ben in evidenza. Così, il ‘Capitano’ appare sui cartelli di cui, pare, Mosca sia piena. Il motivo: la partecipazione l’otto aprile (data scritta con i numeri romani) ed un evento organizzato da una testata che si occupa di sport e scommesse. La notizia ha fatto il giro del web ed è diventata virale sui social con tanto di polemiche da parte di tifosi e non solo.

“Capità ma che stai affà'”, scrive un utente su X. “Dopo 3 anni di guerra, con migliaia di morti, migliaia di bambini rapiti… ci sono italiani che vanno a fare l’inchino al regime di Putin. Dopo Albano, Pupo… adesso Totti”, scrive un altro internauta che si firma Rodyka. Sul caso interviene anche Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe che sempre su X scrive: “L’imperatore sta andando nella terza Roma. D’altronde.. pecunia non olet”.

Ma il viaggio dell’ex capitano giallorosso diventa un caso anche politico. A lanciare un appello affinchè Totti torni sui suoi passi è Andrea Massaroni, coordinatore romano di +Europa: “Francesco Totti rappresenta per Roma, per l’Italia e per milioni di persone nel mondo molto più di un grande campione sportivo: è simbolo di generosità, cuore e valori positivi. Per questo – scrive – rivolgiamo a lui un appello sincero e affettuoso: Francesco, Roma ti ama per il tuo cuore e la tua generosità: non permettere che siano associati a chi calpesta diritti umani e democrazia”. Il diretto interessato sceglie di non replicare, ma in ambienti a lui vicini si prova a smontare la polemica osservando che l’iniziativa è un evento commerciale a carattere sportivo al quale hanno partecipato altri calciatori in passato ed altri andranno in futuro.

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Esteri

Israele vuole 11 ostaggi vivi subito, ma è stallo

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In Israele l’aeronautica militare è entrata in stato di massima allerta per i possibili attacchi con missili e droni da parte degli Houthi, dopo i raid lanciati dagli Usa nello Yemen, ma allo stesso tempo il governo Netanyahu resta concentrato sulla situazione a Gaza. Il suo ufficio ha dato mandato al team negoziale di continuare i colloqui per l’accordo con Hamas sulla tregua, con la richiesta di rilascio di 11 ostaggi vivi subito e della metà di quelli non più in vita. I negoziatori israeliani hanno incontrato al Cairo alti funzionari egiziani per discutere della questione. Sullo stallo dell’accordo è intervenuto da Washington l’inviato speciale della Casa Bianca per il Medio Oriente Steve Witkoff, che in alcune interviste ai media americani ha minacciato Hamas facendo intendere chiaramente che il presidente Trump sta perdendo la pazienza.

“Ciò che è successo con gli Houthi (l’attacco partito sabato sera), mostra la posizione degli Stati Uniti rispetto alle organizzazioni terroristiche, raccomando a Hamas di iniziare a prendere queste questioni più seriamente. Ora c’è un’opportunità per Hamas, ma la finestra si sta chiudendo rapidamente”, ha affermato Witkoff. Che ha anche raccontato alcuni passaggi degli incontri di mercoledì a Doha tra i Paesi mediatori: “Ho trascorso sette ore e mezza al summit. Siamo arrivati ;;lì con una proposta di compromesso che avrebbe portato al rilascio di cinque ostaggi vivi, in cambio della scarcerazione di detenuti palestinesi”, ha riferito, “ma abbiamo ricevuto una risposta inaccettabile, non entrerò nei dettagli”.

In Qatar, l’inviato di Trump ha anche incontrato alti funzionari di Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Autorità Nazionale Palestinese. “Abbiamo discusso una risoluzione di pace finale per Gaza in cui Hamas sarà smilitarizzata, il che deve accadere, è una linea rossa per gli israeliani”, ha affermato. Da parte sua Hamas ha lanciato un ultimatum, chiedendo agli Stati Uniti di impegnarsi a discutere la seconda fase dell’accordo, che di fatto sancisce la fine della guerra. Se non si raggiunge un accordo sul ‘Witkoff outline’, i mediatori potrebbero spingere per un rilascio di ostaggi limitata. Nella serata di domenica da Gerusalemme è poi arrivato l’ennesimo colpo di scena, con il primo ministro Netanyahu che ha annunciato di aver chiesto – nel mezzo della guerra – la rimozione del capo dello Shin Bet (la sicurezza interna) Ronen Bar “a causa di una persistente mancanza di fiducia”. Bar ha poi fatto puntualizzato che la sua rimozione “non è collegata” all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Suggerendo invece che il movente sia in gran parte politico.

E proprio su questo si sono indirizzate gli avversari di Netanyahu. “Sta licenziando Ronen Bar per un solo motivo, l’indagine ‘Qatargate'”, ha affermato il capo dell’opposizione Yair Lapid. Aggiungendo: “Per un anno e mezzo non ha visto alcun motivo per mandarlo via, ma solo quando sono iniziate le indagini sull’infiltrazione del Qatar nell’ufficio di Netanyahu e sui fondi trasferiti ai suoi più stretti collaboratori, all’improvviso è diventato urgente cacciarlo subito”. Durissima la reazione anche del capo del Partito democratico Yair Golan in un post su X: “Netanyahu ha dichiarato guerra allo Stato di Israele. Il licenziamento del capo dello Shin Bet è un disperato tentativo da parte dell’imputato Netanyahu di sbarazzarsi di qualcuno fedele al Paese, che sta indagando su di lui e la sua cerchia ristretta per reati gravi e oscuri e si rifiuta di insabbiare le cose”. Di diverso avviso sul destino di Ronen Bar i falchi di ultradestra Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich: “Meglio tardi che mai”, hanno detto all’unisono.

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