Il mistero sul ministro della Difesa cinese Li Shangfu s’infittisce. Assente da eventi pubblici e copertura dei media statali dal 29 agosto, quando parlò al Forum per la pace e la sicurezza Cina-Africa, il generale sembra adesso in disgrazia, rimosso dalla carica e sott’inchiesta per corruzione. Più fonti d’intelligence di Washington hanno riferito al Financial Times i contorni della caduta di Li, mentre il Wsj ha dato conto di conferme trovate a Pechino sugli arresti domiciliari. Erano già da diversi giorni che, soprattutto sui social, s’erano scatenate le voci sulla sorte del generale Li, diventato lo scorso marzo a 65 anni ministro della Difesa (quarto in grado nella catena di comando militare cinese), con l’avvio del terzo mandato presidenziale di Xi Jinping. Le indiscrezioni erano motivate dall’inedita rimozione di luglio del ministro degli Esteri Qin Gang, tra scenari sfumati e “motivi di salute”, e dal sicuramento di agosto per corruzione di Li Yuchao e Liu Guangbin, i due generali capo e vice della Rocket Force, la divisione d’élite costituita nel 2016 che controlla anche le testate nucleari. Dalle ricostruzioni fatte, Li Shangfu ha saltato a settembre almeno un paio di eventi programmati: uno con il vertice della Marina di Singapore e l’altro col capo della Difesa del Vietnam (“per motivi di salute”).
Mentre il 29-31 ottobre era atteso all’apertura dei lavori dello Xiangshan Forum, il più importante evento di Pechino dedicato alla sicurezza, il primo post-pandemia. E’ possibile che i tre siluramenti abbiano un collegamento tra loro e con Li, a capo dal 2017 del Dipartimento di approvvigionamento e sviluppo degli equipaggiamenti, centro che tratta miliardi di yuan dell’Esercito popolare di liberazione.
Il generale aveva negoziato l’acquisto da Mosca di caccia Su-35 e missili S-400, finendo nel 2018 nelle sanzioni del Dipartimento di Stato Usa, da cui la Cina aveva chiesto che fosse rimosso per un incontro col capo del Pentagono Lloyd Austin. Se confermata, la caduta farebbe di Li il primo funzionario del Dragone a essere colpito sia dagli Usa sia dalla Cina. Intanto, a moltiplicare l’attenzione sulla vicenda ha contribuito l’ambasciatore Usa a Tokyo, Rahm Emanuel. L’8 settembre, ha scritto su X che “la formazione del gabinetto del presidente Xi ora somiglia al romanzo di Agatha Christie, ‘E poi non c’era nessuno”, riferendosi alle uscite di Qin Gang e dei capi della Rocket Force sull’esempio dei dieci protagonisti della scrittrice inglese che muoiono in modi differenti dopo essere stati invitati a trascorrere un fine settimana su un’isola remota. Invece, oggi il diplomatico s’è affidato all’Amleto di Shakespeare: “‘C’è del marcio in Danimarca’. La buona notizia è che ho sentito che ha saldato il mutuo con Country Garden”, ha ironizzaro Emanuel sul colosso immobiliare privato cinese a rischio bancarotta. Tra gli imbarazzi del caso Li Shangfu, il ministero degi Esteri ha annunciato che il vicepresidente cinese Han Zheng sarà alla 78/ma Assemblea generale dell’Onu (18-26 settembre), escludendo l’ipotesi più accreditata sulla presenza di Wang Yi, a capo della diplomazia del Partito comunista, che avrebbe dovuto lavorare alla preparazione di un summit tra i presidenti Xi Jinping e Joe Biden. Sviluppi che complicano le chance anche sulla semplice partecipazione del leader comunista all”Apec di novembre, a San Francisco.