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Economia

La Borsa spinge ancora Mfe, ma vendita non è sul tavolo

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In Borsa anche il giorno successivo alla morte di Silvio Berlusconi non si è fermata la corrente di acquisti su Mfe-Mediaset, ma le ipotesi di vendita o anche solo proposte da parte di possibili acquirenti non sono all’orizzonte. E’ vero che Vivendi dopo un braccio di ferro durato cinque anni è ancora azionista con oltre il 20% del Biscione. O che le ipotesi, tutte di stampa, di cordate italiane guidate da Urbano Cairo possano essere suggestive. Ma per ora l’unico passaggio concreto è l’apertura del testamento del fondatore del gruppo, che tra l’altro non sarà immediata. Mentre a breve è possibile la definizione del dossier di Ei Towers, della quale Mfe-Mediaset detiene ancora il 40%, e che potrebbe integrarsi con Rai Way.

Ma l’effetto psicologico su titoli molto volatili è sempre forte e così è stata ancora una seduta di ampio rialzo per Mfe-Mediaset in Piazza Affari: il titolo B, quello più rappresentativo con dieci diritti di voto, ha chiuso in aumento del 7% a 0,75 euro, ai massimi da un anno e mezzo, mentre Mfe A ha segnato un rialzo finale del 13% a quota 0,56. In aumento anche Prosieben, gruppo del quale il Biscione è ampiamente primo azionista con quasi il 30% delle quote: il titolo della società tedesca è salito a Francoforte del 2%, così come Mondadori a Milano, della quale Fininvest detiene la maggioranza assoluta.

Meno coinvolta da questa corrente di acquisti Mediolanum, della quale il Biscione ha in cassaforte circa il 30%, che ha chiuso sulla parità. “Riteniamo che sarà importante verificare i nuovi assetti in Fininvest” alla luce delle disposizioni testamentarie lasciate dal fondatore, affermano gli analisti di Equita. Ma il gruppo e la famiglia sono solidi, con Fininvest che detiene il 50% esatto dei diritti di voto nella holding Mfe. Spazio per scalate, dopo il timore che i francesi volessero prendersi tutto, proprio non c’è. Ma la Borsa muove facilmente titoli dal flottante assai basso come quelli di Mfe-Mediaset ed è sufficiente il riposizionamento di qualche fondo per un rialzo evidente. “Da un punto di vista strategico e operativo ci aspettiamo che il gruppo dopo la morte del fondatore operi in continuità”, è il parere degli analisti di Intermonte, secondo i quali non si assisterà a cambiamenti neppure nell’azionariato di Banca Mediolanum.

E, a parte la volontà degli eredi, le ragioni sono chiarissime. Vivendi, che dal punto di vista ‘industriale’ sarebbe il candidato più accreditato per un’eventuale integrazione, nonostante la guerra sia finita da non molto, è ancora socia importante del Biscione solo perché ha in carico le azioni Mfe a circa 1,3 euro, circa il doppio delle quotazioni recenti. E quindi, come prevedono gli accordi, non avvierà la sua progressiva uscita dal gruppo italiano fino a quando le condizioni di mercato non cambieranno. E anche Fininvest, se mai volesse, avrebbe serie difficoltà a vendere, avendo anche lei in carico il gruppo televisivo a ben altri prezzi rispetto alle attuali quotazioni, nonostante il recupero delle ultime due sedute.

Quello che potrebbe accadere a breve è invece la definizione della partita di Ei Towers, che porterebbe a Mfe una forte liquidità. L’idea da tempo è quella di una fusione con Rai Way, anch’essa salita di circa il 2% nell’ultima seduta di Borsa. E anche qui gli analisti sono chiari “Nel caso di un cambio di controllo” di Mfe “rimane sempre il tema del ‘golden power’ da parte del governo: riteniamo che potrebbe accelerare il dossier Rai Way-Ei Towers che permetterebbe di meglio valorizzare Ei Towers in Mfe”, conferma Equita, ribadendo che nel frattempo dovrebbe ridursi lo sconto fra le azioni A e B del gruppo. Come sta accadendo.

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Economia

Sncf sfida Trenitalia e Italo: “Porteremo 10 milioni di nuovi passeggeri sull’alta velocità italiana”

La francese Sncf vuole entrare nel mercato AV italiano con 13 treni al giorno tra Nord e Sud. Investimento da 800 milioni e 300 assunzioni.

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L’operatore francese chiede spazio per 13 treni al giorno tra Nord e Sud. Ma le trattative con Rfi sono complicate: “Binari saturi, serve razionalizzare”

Milano–Roma–Napoli, ma anche Torino–Venezia: sono queste le direttrici su cui Sncf, il colosso ferroviario francese, punta per rompere il duopolio Trenitalia-Italo nell’alta velocità italiana. Dopo i primi contatti nel 2022, il debutto dei treni francesi è atteso per l’estate del 2027, ma le difficoltà non mancano.

In una lunga intervista al Corriere della Sera, Caroline Chabrol (le foto sono di Imagoeconomica), direttrice generale di Sncf Voyages Italia, racconta le ambizioni del gruppo: “Non vogliamo sottrarre clienti alle aziende esistenti. Il nostro obiettivo è intercettare milioni di italiani che oggi non viaggiano in treno”.

Da Milano a Parigi: +10% di passeggeri, nonostante la frana

Sncf è già presente in Italia con il collegamento Milano–Torino–Parigi, interrotto a lungo per una frana e recentemente ripristinato. “Nonostante il viaggio sia passato da 7 a 9 ore, la domanda è rimasta alta. Le prenotazioni estive 2025 sono aumentate del 10%”, spiega Chabrol.

Con tre frequenze giornaliere, si stimano circa 700mila passeggeri all’anno. Proprio questi volumi hanno spinto la società a investire sull’alta velocità nazionale: “Abbiamo ordinato 15 nuovi TGV M a due piani adattati alle infrastrutture italiane”.

CAROLINE CHABROL DIRETTRICE SNCF VOYAGES ITALIA

Trattative difficili con Rfi: “Ci avevano dato due viaggi, poi solo uno”

Sncf ha chiesto 13 frequenze giornaliere a Rfi: 9 tra Torino–Milano–Roma–Napoli, 4 tra Torino e Venezia. Ma, secondo la dirigente, “le trattative sono state frustranti: all’inizio ci avevano dato due viaggi a direttrice, poi sono scesi a uno. Non è sostenibile”.

Sullo sfondo c’è anche un’indagine dell’Antitrust italiano, che sospetta un possibile “abuso di posizione dominante” da parte di Rfi nell’ostacolare l’ingresso di Sncf. La società che gestisce i binari respinge ogni addebito.

Un piano industriale da 800 milioni e 300 nuove assunzioni

Sncf stima 10 milioni di passeggeri all’anno, con una potenziale sottrazione del 30% agli operatori attuali, ma la strategia resta quella di “aumentare lo switch modale”, spingendo chi oggi viaggia in auto, aereo o autobus a passare al treno.

Ogni treno in doppia composizione potrà trasportare 1.300 passeggeri, con tariffe non ancora definite, anche se si smentisce l’intenzione di diventare una low cost: “Guardiamo anche al segmento corporate”, precisa Chabrol.

Il piano prevede 800 milioni di investimento e 300 assunzioni in Italia, tra macchinisti, capitreno, manutentori e addetti operativi.

“Binari saturi, il modello multi-frequenza non regge più”

La sfida non sarà solo con Trenitalia e Italo, ma anche con la capacità della rete ferroviaria. “I binari sono saturi, e questo sta causando ritardi. Il modello di alta frequenza non è più sostenibile. Serve una razionalizzazione dell’offerta”, dice Chabrol.

Sncf pagherà circa 50 milioni di euro l’anno a Rfi per l’uso dell’infrastruttura, ma chiede in cambio condizioni eque per garantire concorrenza. “Portiamo valore a tutto il sistema, anche all’Italia”, conclude.

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L’Italia perderà quasi 3 milioni di lavoratori in dieci anni: l’allarme della Cgia

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Entro il 2035 l’Italia potrebbe contare su quasi 3 milioni di persone in età lavorativa in meno. È quanto emerge dalle proiezioni della Cgia, secondo cui la fascia tra i 15 e i 64 anni passerà dagli attuali 37,3 milioni a 34,4 milioni, con un calo del 7,8%. Alla base di questo declino, il progressivo invecchiamento della popolazione che investirà l’intero territorio nazionale.

Conseguenze economiche e sociali preoccupanti

Il calo demografico avrà effetti profondi sul sistema produttivo: le imprese faticheranno a trovare forza lavoro giovane e qualificata. Neanche il ricorso alla manodopera straniera potrà colmare del tutto il vuoto occupazionale. Le conseguenze più gravi potrebbero riguardare il rallentamento del PIL, l’aumento della spesa per pensioni, sanità e assistenza, con ripercussioni inevitabili sui conti pubblici.

Il Sud meno esposto, ma solo in parte

Paradossalmente, il Mezzogiorno potrebbe reggere meglio l’urto nel breve periodo. I tassi elevati di disoccupazione e inattività consentono margini di recupero, specie nei comparti dell’agroalimentare e del turismo. Tuttavia, anche il Sud dovrà affrontare il declino, con la Sardegna in testa (-15,1%), seguita da Basilicata (-14,8%), Puglia (-12,7%), Calabria (-12,1%) e Molise (-11,9%).

Le imprese più piccole a rischio sopravvivenza

Le aziende di piccole dimensioni saranno le più esposte, potenzialmente costrette a ridurre gli organici per l’impossibilità di assumere nuovo personale. Le grandi e medie imprese, invece, potranno attrarre lavoratori con salari più alti, orari flessibili, benefit e piani di welfare. Il divario tra imprese si farà quindi ancora più profondo.

I settori più colpiti

Secondo la Cgia, i settori che risentiranno maggiormente della crisi saranno immobiliare, trasporti, moda e ricettività. Poche le eccezioni: tra queste, il settore bancario, che potrebbe beneficiare di alcuni effetti positivi legati all’automazione e alla digitalizzazione.

Le province più a rischio

A livello provinciale, il calo maggiore è previsto a Nuoro (-17,9%), Sud Sardegna (-17,7%), Caltanissetta (-17,6%), Enna (-17,5%) e Potenza (-17,3%). In termini assoluti, la perdita più pesante sarà quella della provincia di Napoli, con 236.677 persone in meno. Le province meno colpite saranno Bologna (-1,4%), Prato (-1,1%) e Parma (-0,6%).

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Economia

Warren Buffet lascia Berkshire a fine ’25. Attacca Trump

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Warren Buffett, il sesto uomo più ricco del mondo e l’investitore più famoso nonché di successo al mondo, lascerà a fine 2025 il timone del conglomerato Berkshire Hathaway, un colosso valutato oltre 1.000 miliardi di dollari e con attività liquide per 300 miliardi di dollari. L'”Oracolo di Omaha”, come è soprannominato per la sua capacità di analizzare e prevedere i mercati, ha annunciato il ritiro a 94 anni davanti all’assemblea degli azionisti, che gli ha tributato una standing ovation. Warren ha lanciato anche il suo endorsement per il successore designato, l’attuale vicepresidente: “È arrivato il momento per Greg Abel di diventare direttore generale della società alla fine dell’anno”.

Nel suo discorso d’addio, il guru della finanza mondiale ha attaccato anche i dazi di Donald Trump, pur senza nominare il presidente. “Non c’è dubbio che il commercio possa essere un atto di guerra”, ha detto, ammonendo però che “il commercio non dovrebbe essere un’arma”. Il suo affondo è arrivato mentre gli analisti negli Stati Uniti e all’estero esprimono crescente preoccupazione che i dazi possano seriamente rallentare la crescita globale. Due mesi fa Buffett aveva già dichiarato alla Cbs che i dazi “sono una tassa sulle merci”, e non un modo relativamente indolore per aumentare le entrate, come ha suggerito Trump. “Voglio dire che la Fatina dei denti non li paga!”, aveva ironizzato.

L’Oracolo di Omaha ha esortato Washington a continuare a commerciare con il resto del mondo, continuando “a fare ciò che sappiamo fare meglio”. Raggiungere la prosperità non è un gioco a somma zero, in cui i successi di un Paese comportano le perdite di un altro, ha ammonito sottolineando che entrambi possono prosperare. “Penso che, se il resto del mondo diventerà ricco, non sarà a nostre spese; più prospereremo noi e più ci sentiremo al sicuro”, ha detto Buffett. Quindi ha aggiunto che può essere pericoloso per un Paese offendere il resto del mondo rivendicando la propria superiorità. “È un grosso errore, a mio avviso, quando hai sette miliardi e mezzo di persone che non ti apprezzano molto e 300 milioni che in qualche modo si vantano di quanto bene hanno fatto”, ha messo in guardia, sostenendo che, rispetto a questa dinamica, le recenti oscillazioni dei mercati finanziari sono “davvero nulla”.

Nel primo trimestre Berkshire Hathaway ha registrato un utile di 9,6 miliardi di dollari, in calo del 14%. Ma finora ha sempre registrato forti crescite ed è sopravvissuto alle crisi globali peggiori. Buffett è riuscito a trasformare Berkshire Hathaway da un’azienda tessile di medie dimensioni, quando l’acquistò negli anni ’60, in un gigantesco conglomerato da oltre 1.000 miliardi di dollari, con decine di investimenti nelle assicurazioni, nelle ferrovie, nell’energia e in altri settori. Possiede aziende come la ferrovia Bnsf e l’assicurazione auto Geico, nonché azioni come Apple e American Express. Buffett prevede di donare il 99,5% del suo restante patrimonio a un fondo di beneficenza gestito dai tre figli alla sua morte.

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