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Morti e inondazioni per la diga, “petrolio nel Mar Nero”

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diga di Kakhovka

Un numero imprecisato di morti, migliaia di civili evacuati, migliaia di chilometri quadrati di campagna e decine di villaggi inondati, tutti i quartieri sud della città di Kherson sommersi: è questo il colpo d’occhio sul sud dell’Ucraina investito dall’onda di piena del fiume Dnipro, che dalla diga distrutta di Nova Khakovka è arrivata nel Mar Nero, portando con sé anche un’enorme chiazza di petrolio di almeno 150 tonnellate di olio da turbina della centrale idroelettrica distrutta. E dissotterrando mine lasciate sul terreno dagli invasori russi, che potrebbero diventare un pericolo mortale nascosto nel fango per abitanti e soccorritori, secondo l’allarme lanciato dall’unità di sminamento della Croce Rossa internazionale. Dei morti si sa ancora poco, mentre fonti ucraine raccontano di soldati russi travolti dalle acque nelle prime ore dopo il crollo. Ma l’estensione del disastro è evidente: le foto del satellite Usa Maxar indicano che la superficie colpita dal disastro, fra la diga e il Mar Nero, è di circa 2.500 chilometri quadrati, pari a oltre un terzo dell’intero territorio alluvionato in maggio in Emilia Romagna.

Le foto comparate inviate dal satellite europeo Copernicus Sentinel-3 mostrano chiaramente come il corso del Dnipro a valle della diga abbia allagato un territorio largo quanto il bacino a monte da cui l’acqua sta defluendo e come l’onda abbia sommerso i quartieri sud della città capoluogo di Kherson, capoluogo dell’omonima Oblast: tutto l’abitato stretto fra il corso principale del Dnipro e il suo affluente Kosheva. Foto e filmati da Kherson mostrano l’acqua marrone che ricopre strade e terreni e alcune abitazioni basse delle quali emerge solo il tetto. Il terreno sul lato destro (ovest), ancora tenuto dall’Ucraina, più elevato, sembra essere meno colpito rispetto a quello sul lato sinistro, occupato dai russi. I villaggi e gli insediamenti coinvolti sulle due sponde del Dnipro, ha fatto sapere il ministro dell’Interno ucraino Igor Klymenko, nominato responsabile del coordinamento dell’emergenza, sono per ora almeno 29, 19 dei quali in territorio controllato da Kiev, 10 in quello occupato. Ma l’onda di piena ha lambito anche la città di Mykolaiv, che sorge vicino alla foce di un altro fiume, il Bug Orientale, che a sua volta sfocia alla bocca del Dnipro.

Le persone colpite dalla catastrofe, secondo prime stime fatte dalle autorità locali, sono almeno 42.000, mentre alcuni media ne indicano fino a 60.000 o più. “Almeno 100 mila persone vivevano in queste aree prima dell’invasione russa”, ha scritto Zelensky su Telegram. “Decine di migliaia sono ancora lì. Centinaia di migliaia di persone sono rimaste senza il normale accesso all’acqua potabile”. Finora sono circa 2.700 i civili che hanno dovuto lasciare le loro abitazioni sui due lati del fiume, secondo fonti ufficiali locali, ma i numeri reali restano per ora nebulosi. Ad aggiungere confusione, Klymenko ha detto in serata che finora sono state soccorse ed evacuate 1.894 persone, delle quali 1.431 dalla zona di Korabel, a sud di Mykolaiv, quindi non sull’onda di piena principale. Quanto al disastro ecologico, “si è formata una chiazza di petrolio di almeno 150 tonnellate che viene trasportata dalla corrente”, ha denunciato Zelensky, che ha aggiunto di non poter prevedere quante altre sostanze chimiche si possano aggiungere ad esso, dai fertilizzanti ai prodotti petroliferi stoccati nelle aree alluvionate. Il tutto ha sommerso campi e abitati e si riversa nel Mar Nero. Secondo Igor Syrota, ceo della compagnia elettrica ucraina Ukrhydroenergo, interpellato da Cnn, “400 tonnellate di olio da turbina erano stoccate lì in permanenza” come parte del macchinario, e quanto possa già essersi sversato nella tracimazione del bacino è ancora impossibile da verificare. Ora inoltre un secondo potenziale disastro ambientale rischia di sommarsi a quello della diga, se fosse vero quando denunciato dai russi, secondo i quali un “gruppo di sabotatori ucraini” ha fatto saltare in aria nella regione di Kharkiv, nel nord-est verso il confine bielorusso, la conduttura che trasporta ammoniaca dalla Russia al porto ucraino di Odessa, provocando “feriti tra la popolazione e una dispersione di ammoniaca nell’ambiente”.

Una versione lontanissima da quella ucraina che, citando il capo dell’amministrazione militare dell’Oblast, parla di un nuovo cannoneggiamento russo sulla condotta nel distretto di Kupiansk, senza citare nubi tossiche. Che sia stato distrutto o meno, si tratta del più lungo condotto per il trasporto di ammoniaca al mondo, che si allunga per 2.470 chilometri da Togliattigrad, nella regione russa del Volga, fino a Odessa: un’infrastruttura usata dai russi per esportare l’ammoniaca usata nei fertilizzanti ma, scrive la Cnn, chiusa da Mosca nel febbraio 2022 dopo l’invasione dell’Ucraina. L’export di fertilizzanti russi costituisce uno dei pilastri fondanti dell’accordo sul grano, mediato dalla Turchia, che da 11 mesi permette a Kiev di continuare ad esportare i suoi prodotti agricoli. E al cui rinnovo ora Mosca potrebbe porre ostacoli.

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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