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Cronache

Panzeri esce dal carcere e va ai domiciliari

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Le sue parole sono state ritenute attendibili. Anche per questo, quattro mesi dopo l’arresto, e a una manciata di giorni da Pasqua, Pier Antonio Panzeri torna a casa sotto sorveglianza elettronica. Il deus ex machina del Qatargate, che a gennaio si era pentito patteggiando con la giustizia belga una pena ridotta ad un anno effettivo di reclusione, nelle prossime ore uscirà dalla prigione brussellese di Saint-Gilles per fare rientro nella sua abitazione a pochi passi dal quartiere europeo, nella parte nord-orientale di Bruxelles. Dove resterà almeno per i prossimi due mesi, in attesa di un nuovo riesame della misura cautelare e di un processo che resta ancora lontano. La decisione, arrivata a sorpresa, potrebbe aprire un varco nel buio del carcere anche per l’ex vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, l’unica ancora detenuta – dallo scorso 9 dicembre come lo stesso Panzeri – al pari dell’eurodeputato Marc Tarabella, e in attesa di nuovo giudizio giovedì 13 aprile. Era il 17 gennaio quando l’ex eurodeputato di Pd prima e Articolo 1 poi, con una mossa inattesa, strinse un memorandum con il battagliero procuratore Michel Claise, che lo ha di fatto reso il secondo pentito nella storia del Belgio.

Un’intesa resa possibile da una legge di ispirazione tutta italiana capace di imprimere nuovo slancio alle indagini, con l’assicurazione di una piena e leale collaborazione da parte di Panzeri in cambio di una pena ridotta a un anno di reclusione, una multa di 80mila euro e la confisca di tutti i beni acquisiti – stimati in un milione di euro – con il denaro ricavato dalle mazzette ricevute da Doha e Rabat, compresi quei 600mila euro cash ritrovati nella sua casa nella capitale belga. Da quel giorno i faccia a faccia del politico lombardo con gli inquirenti si sono susseguiti a ritmo serrato, facendo emergere nuovi elementi capaci di cambiare la sorte degli altri imputati e anche di portare all’arresto del collega italiano Andrea Cozzolino, ai domiciliari a Napoli, e del belga Tarabella. E anche di assicurare la piena libertà alla figlia Silvia e alla moglie Maria Dolores Colleoni, arrestate in Italia con l’accusa di essere sue complici nel traffico di soldi sporchi pilotati dai servizi segreti del Marocco e dal ministro del lavoro del Qatar. Le accuse a carico di Panzeri restano quelle iniziali: corruzione, partecipazione ad associazione criminale e riciclaggio. Ma dal momento del pentimento l’ex eurodeputato sta già espiando la sua pena con i mesi passati nella cella di Saint-Gilles e ora ai domiciliari, arrivati nella versione del suo legale Laurent Kennes dopo mesi di detenzione “dura” che lo hanno portato alla “depressione”. Un ‘pre-sofferto’, in gergo, che tra otto mesi, in virtù del suo accordo da pentito, lo renderà completamente libero, pur in attesa del processo e della sentenza. Un destino che potrebbe accomunarlo anche al suo braccio destro Francesco Giorgi – uscito di prigione alla fine di febbraio sotto sorveglianza elettronica dopo aver collaborato con gli inquirenti -, e che resta invece ancora ignoto per Kaili. Attesa in aula dai giudici belgi giovedì prossimo, la politica ellenica continua a dichiararsi innocente e del tutto estranea ai fatti. Ora la speranza dei suoi legali è che cambi tutto anche per lei.

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Gip su ultrà Milan arrestati: gruppo aggressivo e violento

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Si tratta di persone che “frequentano abitualmente lo stadio” e “che sfruttano proprio la peculiare carica intimidatoria derivante dall’appartenenza ad un gruppo organizzato” per agire con una condotta “aggressiva, che rappresenta la cifra distintiva del loro modo di seguire il calcio e la squadra di cui sono supporter”. Così la gip di Milano Teresa De Pascale descrive i tre ultrà, che fanno parte della curva sud milanista, arrestati due giorni fa per aver aggredito, a colpi di sedie e tavolini ma anche a coltellate, un 25enne romeno dopo la partita Milan-Cagliari di sabato sera.

La giudice ha convalidato gli arresti e disposto come misura cautelare i domiciliari per tutti e tre, tra cui Alessandro Sticco, 42 anni, che è nel direttivo della curva milanista così come Luca Lucci, noto capo ultrà, e Christian Rosiello, il cosiddetto “bodyguard” di Fedez, coinvolto come il rapper nel caso del pestaggio al personal trainer Cristiano Iovino dello scorso aprile. Ai domiciliari anche Islam Hagag, 35 anni, e Luigi Magrini, 43 anni, che avrebbe sferrato le coltellato (la Procura chiedeva per lui il carcere). Tutti e tre difesi dal legale Jacopo Cappetta. I tre, spiega la gip nell’ordinanza, hanno fatto “leva sulla peculiare forza intimidatoria derivante dall’appartenenza ad un gruppo numeroso di tifosi” e “non hanno esitato ad aggredire congiuntamente un ragazzo da solo, anche con l’uso di bottiglie e di un coltello, sino a lasciarlo sanguinante riverso in terra, proprio dopo una partita di calcio, quale luogo ed occasione in cui manifestare e sprigionare la propria indole aggressiva e violenta”.

Il 25enne ha messo a verbale che dopo aver visto la partita, “mentre si stava recando al bar” vicino “al punto di ritrovo degli ultras per consumare delle bevande, veniva aggredito senza motivo, inizialmente da due tifosi, che lo spogliavano della maglietta che indossava”, una maglia della curva sud rossonera. E ha aggiunto: “non so dare spiegazioni dell’aggressione. Senza nessun motivo mi hanno tolto la maglietta e mi hanno colpito”. Gli ultrà interrogati oggi dalla gip, invece, hanno raccontato di aver reagito, ammettendo in sostanza i fatti, perché un loro amico della curva era stato colpito in precedenza dal 25enne ed “era a terra sanguinante”.

Per il gip ad aggredire il romeno è stato un “gruppo di 8-9” ultrà, alcuni già identificati e indagati, oltre ai tre arrestati. Il “dettaglio della maglietta del Milan strappata – scrive la giudice – ovvero mai indossata e tolta autonomamente dalla vittima (come riferito dagli indagati), allo stato, non è riscontrato dalla visione delle telecamere, in quanto esse riprendono il soggetto già a torso nudo all’esterno del locale”. Allo stesso modo, “la asserita precedente aggressione posta in essere” dal 25enne, chiarisce la giudice, “allo stato, non risulta riscontrata, non emergendo neppure alcun certificato medico”. Fatti questi che andranno verificati ancora nelle indagini.

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Inchiesta clinica Messina, ai 9 indagati sequestrati 11 milioni

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Nell’inchiesta sulla clinica NeMo Sud e il Policlinico di Messina sono indagati, a vario titolo per peculato e corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, Alberto Fontana, 52 anni, ex presidente della fondazione Aurora onlus (che gestiva il centro clinico Nemo Sud a Messina), Giuseppe Laganga Senzio, 47 anni, ex direttore amministrativo del Policlinico messinese, Mario Giovanni Melazzini, 65 anni, anche lui ex presidente della fondazione Aurora onlus, Giuseppe Pecoraro, 75 anni, commissario straordinario del Policlinico, Paolina Reitano, 64 anni, ex direttrice sanitaria del Policlinico, Marco Restuccia, 60 anni, direttore generale del Policlinico, Giuseppe Vita, 72 anni, medico dirigente dell’unità operativa di Neurologia del Policlinico, l’attuale assessore regionale alla Sanità Giovanna Volo, 68 anni, ex direttore sanitario dell’ospedale universitario, Michele Vullo, 68 anni, ex direttore amministrativo del Policlinico. Giuseppe Vita, Mario Giovanni Melazzini, Alberto Fontana, Giuseppe Laganga Senzio hanno la misura cautelare del divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione e di esercitare impresa in ambito sanitario.

Per tutti e nove gli indagati ciascuno pro quota, è stato disposto il sequestro preventivo di denaro, beni mobili e immobili, per l’importo complessivo di 11 milioni di euro, pari ai fondi pubblici distratti. L’ordinanza delle misure cautelari è stata firmata dal gip Claudia Misale.

Tutti gli indagati sono da considerare innocenti fino al terzo grado di giudizio.

 

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Gratteri: auspicavo dimissioni del Csm per voltare pagina

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“La magistratura oggi è molto debole. Noi da anni non riusciamo a salire come credibilità e gradimento per tanti fattori. Intanto non siamo stati bravi a comunicare, siamo stai molto chiusi, arroccati, in difesa ad ogni costo. Io auspicavo che tutti i componenti del Csm si dimettessero perché davi l’idea che volevi voltare pagina. Voltavi pagina, c’è un foglio bianco. Il messaggio era importantissimo per la gente, la gente avrebbe capito qui si fa sul serio, si ritorna a elezioni e si comincia da zero. Questo non è stato fatto per una idea di arroccamento, di difesa a oltranza. Bisognava scendere dal piedistallo e confrontarsi con tutti, essere umili, parlare il linguaggio della gente per essere capiti. Non parlare a noi stessi per giustificare noi stessi”. Lo ha detto a Bari il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, parlando con gli studenti nel corso di una lectio magistralis all’Università.

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