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Putin richiama altri 147.000 coscritti per primavera

La Russia in guerra chiama alle armi altri 147 mila cittadini in una coscrizione di primavera, Kiev prepara la controffensiva per riconquistare i territori occupati.

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La Russia in guerra chiama alle armi altri 147 mila cittadini in una coscrizione di primavera, mentre Kiev prepara la controffensiva per riconquistare i territori ucraini occupati da avviare prima dell’estate. Con il conflitto che non vede tregua all’orizzonte, rimpinguare le truppe significa più forza offensiva russa in una guerra troppo importante per il futuro di Vladimir Putin. E della quale, secondo Kiev, ha totale responsabilità il leader russo: l’intelligence di Difesa ucraina sostiene infatti che solo tre o quattro persone nella sua cerchia ristretta erano a conoscenza dei preparativi per l’invasione. Insieme al leader russo, a prendere in particolare la decisione di iniziare la guerra fu il segretario del Consiglio di sicurezza, Nikolai Patrushev. “Effettuare dall’1 aprile al 15 luglio 2023 la coscrizione dei cittadini russi di età compresa tra i 18 e i 27 anni che non fanno parte della riserva e sono soggetti al servizio militare, per un ammontare di 147 mila persone”, si legge nel decreto firmato da Putin.

In Russia, la coscrizione è periodica: nell’autunno del 2022 erano state chiamate 120 mila persone, mentre la scorsa primavera 134,5 mila. Ma l’annuncio della nuova coscrizione desta preoccupazione, tanto più che giunge tra le notizie dei media russi – riportate dall’intelligence britannica – secondo cui le autorità di Mosca si stanno preparando ad avviare una grande campagna di reclutamento per arruolare 400.000 soldati. E’ chiaro che Mosca si muove, mentre le bombe cadono in tutta l’Ucraina e crescono i timori sulla centrale di Zaporizhzhia: l’impianto “non può essere protetto” perché “l’attività militare sta aumentando in tutta la regione”, ha avvertito il capo dell’Aiea Rafael Grossi dopo aver visitato la struttura.

Ancora non c’è un accordo per una zona cuscinetto per la centrale: secondo Mosca, la colpa è degli ucraini e degli Usa, che hanno “una posizione distruttiva” in merito. Kiev continua a chiedere gli F-16 mentre i Mig-29 slovacchi stanno già proteggendo Kharkiv. Nel frattempo, pensa alla ricostruzione per la quale chiede il contributo dell’Italia: dopo la telefonata tra Meloni e Zelensky, il capo dell’ufficio del presidente ucraino, Andriy Yermak, ha sentito il ministro delle Imprese Adolfo Urso trasmettendogli grandi aspettative per la conferenza sulla ricostruzione del 26 aprile a Roma e l’interesse a “coinvolgere le imprese italiane nella ripresa” del Paese. Sul fronte diplomatico, la tensione è alle stelle dopo l’arresto in Russia del giornalista del Wall Street Journal, Evan Gershkovich, accusato di spionaggio.

E ha suscitato polemiche l’annuncio che il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov presiederà una riunione del Consiglio di sicurezza Onu a New York, la cui presidenza russa inizia il primo aprile. “E’ un brutto scherzo”, ha commentato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. Infine, anche gli intoccabili banchieri svizzeri fanno i conti con la guerra e pagano per i legami con Sergey Roldugin, il violoncellista soprannominato “portafoglio di Putin”, stretto amico dello zar. Un tribunale distrettuale di Zurigo ha condannato quattro dirigenti di un istituto elvetico per aver aiutato Roldugin a depositare milioni di franchi in conti bancari svizzeri tra il 2014 e il 2016. I banchieri – tre russi e uno svizzero – sono stati giudicati colpevoli per mancanza di diligenza nelle transazioni finanziarie, e sono state inflitte loro condanne sospese di sette mesi ciascuno.

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‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Kiev, più di 30 località sotto il fuoco russo nel Kharkiv

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Sono ancora in corso i combattimenti nella regione di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, dove più di 30 località sono sotto il fuoco russo e quasi 6.000 residenti sono stati evacuati, secondo il governatore regionale. “Più di 30 località nella regione di Kharkiv sono state colpite dall’artiglieria nemica e dai colpi di mortaio”, ha scritto Oleg Synegoubov sui social network.

Il governatore ha aggiunto che dall’inizio dei combattimenti sono stati evacuati da queste zone un totale di 5.762 residenti. Le forze russe hanno attraversato il confine da venerdì per condurre un’offensiva in direzione di Lyptsi e Vovchansk, due città situate rispettivamente a circa venti e cinquanta chilometri a nord-est di Kharkiv, la seconda città del Paese.

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Insulti sui social tra Netanyahu e il leader colombiano Petro

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Scambio di insulti, sui social, tra il presidente colombiano, Gustavo Petro, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo ha detto che il suo Paese non avrebbe preso “lezioni da un antisemita che sostiene Hamas”, dopo che Petro, pochi giorni fa, aveva chiesto alla Corte penale internazionale dell’Aja di emettere un ordine d’arresto nei confronti di Netanyahu. “Signor Netanyahu, passerai alla storia come un genocida”, ha risposto a sua volta il leader progressista colombiano, smentendo di appoggiare Hamas in quanto “sostenitore della democrazia repubblicana, plebea e laica”. “Sganciare bombe su migliaia di bambini, donne e anziani innocenti non fa di te un eroe. Ti poni al fianco di coloro che hanno ucciso milioni di ebrei in Europa. Un genocida è un genocida, non importa se ha una religione o no. Cerca almeno di fermare il massacro”, ha postato Petro.

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