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Cronache

 Qatargate, venerdì la decisione su Kaili e Tarabella

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Perseveranza, pazienza ma poche speranze di lieto fine – almeno momentaneo – in Belgio, accanto a una dura replica al “lato oscuro del pentitismo interessato” in Italia. Si consuma con strategie simili l’ennesima puntata legale del Qatargate, che lascia ancora appesa alle parole del pentito Pier Antonio Panzeri e alle delibere dei magistrati la sorte dell’ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili e dei due eurodeputati socialisti Andrea Cozzolino e Marc Tarabella. Ma soprattutto per l’italiano e il belga ora è il tempo di fare muro contro le accuse mosse dall’ex collega ed ex amico di partito – anima rea confessa dello scandalo di corruzione targato Doha e Rabat – che, è l’ostinata difesa comune dei loro legali, in verità “non sa niente” e “inventa l’incredibile per guadagnarsi i benefici promessi e ottenuti”, tirando in mezzo all’inchiesta i compagni di partito con accuse “infondate e incoerenti”.

Argomentazioni sulle quali la giustizia belga e italiana saranno chiamate a riflettere nelle prossime ore per decidere venerdì 3 marzo se confermare la linea dura estendendo la custodia cautelare a Bruxelles di Kaili e Tarabella, e se ordinare l’estradizione di Cozzolino – dal 10 febbraio ai domiciliari a Napoli – con un’udienza rinviata al 14 marzo. Con le ultime confessioni rese da Panzeri a più riprese – almeno tre – a febbraio apparse ormai sulle pagine dei quotidiani europei, al Palais de Justice della capitale belga le arringhe dei team legali di Kaili e Tarabella si sono succedute una dietro l’altra per convincere i togati della Corte d’Appello della completa innocenza dei due indagati e per mettere in evidenza come tutti gli elementi fatti emergere da Panzeri non abbiano fin qui trovato riscontro nella realtà.

Una realtà che, nelle parole del legale Maxim Toeller a difesa dell’eurodeputato belga, risulta ogni giorno che passa più evidente perché nel tempo l’ex sindacalista lombardo “ha manifestamente cambiato versione” parlando prima di “presunte donazioni” a favore di Tarabella, poi di cifre che sono passate dall’essere “prima 120 mila euro, poi 140 mila, e ora 250 mila”; ma che fin qui non sono state rintracciate dagli inquirenti sui conti del sindaco del piccolo borgo di Anthisnes, sollevato anche da una perizia finanziaria condotta da parte di esperti esterni. Una linea condivisa anche dai due legali campani di Cozzolino, Federico Conte e Dezio Ferraro, secondo i quali “in mancanza di elementi esterni di riscontro” si sta dando “tanto credito” alle parole di Panzeri con una condotta giudiziaria resa ancora più “inquietante” dalle fughe di notizie sulla stampa e dalla messa in accusa del giudice istruttore Michael Claise, sulla quale pesano accuse di “parzialità” che spetterà nuovamente alla giustizia belga sciogliere martedì 7 marzo.

Tutti elementi “chiari” per il penalista belga Toeller, ma che si scontrano con un sistema giudiziario belga nel quale “la durata media della detenzione preventiva è di tre mesi”. Un tempo che, minuto dopo minuto, anche Eva Kaili – in cella dal 9 dicembre scorso – sta per raggiungere. A complicare la posizione della politica ellenica – che dopo il braccialetto elettronico concesso al compagno Francesco Giorgi ora non può nemmeno più battersi per tornare a casa dalla figlia di due anni lasciata per due mesi sola – ci sono anche le registrazioni delle telefonate in cella, durante le quali avrebbe continuato a dare istruzioni alla sorella e al padre su proprietà, capitali, oggetti e relazioni con imprenditori e politici greci. In attesa delle delibere di marzo, lo scandalo d’ora in poi si evolverà anche su un altro fronte: a Milano i magistrati hanno deciso di aprire un’indagine autonoma per scavare sui profili di riciclaggio delle presunte mazzette.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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Nei campi 200 milioni di danni, razzia cinghiali

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Vigneti e uliveti, ma anche pascoli e prati, campi di mais e cereali, coltivazioni di girasole, ortaggi: è lunga la lista della razzia compiuta dalla fauna selvatica “incontrollata” dove i cinghiali, con una popolazione che ha raggiunto i 2,3 milioni di esemplari sul territorio nazionale, costituiscono il pericolo maggiore. La conseguenza sono 200 milioni di euro di danni solo nell’ultimo anno all’agricoltura italiana. La Puglia, con oltre 30 milioni di euro e 250mila cinghiali, e la Toscana con oltre 20 milioni di cui l’80% a causa dei 200mila cinghiali, sono le regioni che hanno pagato di più. Questa la fotografia scattata dalla Coldiretti in occasione delle 96 Assemblee organizzate in contemporanea su tutto il territorio nazionale, con la partecipazione di oltre 50mila agricoltori, per celebrare dai territori gli 80 anni dell’associazione agricola.

In particolare, secondo la mappa realizzata da Coldiretti, nel Lazio i danni stimati dai soli cinghiali (100mila esemplari) superano i 10 milioni di euro e in alcuni casi riguardano anche l’80% del raccolto. Oltre 10 milioni di euro i danni stimati in Calabria. Un fenomeno che si sta espandendo anche ad aree prima meno frequentate come quelle del Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia (20mila esemplari) e in Valle d’Aosta dove i cinghiali si sono spinti fino a quote che superano i 2mila metri. Pesante la situazione in Emilia Romagna dove solo nel Reggiano si stimano almeno 50mila esemplari; “dramma” sul fronte seminativi (specie per mais e girasole) in Umbria con una popolazione stimata di circa 150mila cinghiali. Sei milioni di euro i danni in Basilicata e 5 in Piemonte.

Qui la superficie danneggiata nel 2023 è stata di 34.432 ettari. Colpiti anche l’Abruzzo (i capi superano ampiamente le 100mila unità) con 4,5 milioni di euro di risarcimenti richiesti nel 2022, il Molise (40mila cinghiali) e la Campania (stimati danni per circa oltre 4 milioni di euro). Critica la situazione in Sardegna soprattutto a ridosso delle aree protette mentre in Sicilia non ci sono territori immuni e salgono i costi per la difesa, come i recinti elettrici. In Liguria da tempo i cinghiali si sono spinti fino alla costa e tanti i danni non solo alle colture ma anche ai tipici muretti a secco. Nelle Marche il 75% dei danni in agricoltura da fauna selvatica è causato dai cinghiali. Tra risarcimenti alle aziende agricole e da incidenti stradali la Regione spende circa 2 milioni di euro all’anno.

Risarcimenti, lamentano gli agricoltori, che arrivano spesso dopo molti anni e solo in minima parte. “Non coprono mai il valore reale del prodotto distrutto, con la conseguenza – rileva Coldiretti – che molti rinunciano a denunciare”. Cinghiali e fauna selvativa anche causa di incidenti, 170 nel 2023, ricorda l’associazione agricola, secondo l’analisi su dati Asaps, in aumento dell’8% rispetto all’anno precedente. A questo si aggiunge l’allarme della peste suina africana, non trasmissibile all’uomo, che i cinghiali, ricorda Coldiretti, rischiano di diffondere nelle campagne mettendo in pericolo gli allevamenti suinicoli e con essi un settore che, tra produzione e indotto, vale circa 20 miliardi di euro e dà lavoro a centomila persone. Da qui la richiesta dalle Assemblee Coldiretti “di mettere un freno immediato alla proliferazione dei selvatici, dando la possibilità agli agricoltori di difendere le proprie terre. Mancano, infatti, i piani regionali straordinari di contenimento”.

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Vino nel biberon per errore, bimbo 4 mesi in rianimazione

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Vino bianco al posto dell’acqua per preparare il latte in polvere a suo figlio di quatto mesi. Un errore, è l’ipotesi degli investigatori, commessa da una donna di Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, che ha fatto finire il piccolo in coma etilico. Ricoverato in rianimazione all’ospedale pediatrico di Bari, le sue condizioni sono in lieve miglioramento. A fare insospettire la donna è stato il rifiuto del piccolo che dopo i primi sorsi avrebbe smesso di bere respingendo il biberon. A quel punto la sua mamma si sarebbe accorta di non aver mescolato il latte in polvere con l’acqua.

A farla sbagliare sarebbe stato il colore scuro della bottiglia in cui era contenuto il vino. Subito dopo aver compreso l’errore, la donna ha portato il bimbo al pronto soccorso dell’ospedale Perrino di Brindisi dove il piccolo è arrivato già in coma etilico. Sottoposto a una lavanda gastrica, è stato intubato e trasferito d’urgenza all’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari dove è stato ricoverato nel reparto di rianimazione.

La procura di Brindisi ha avviato un’indagine, ma al momento l’ipotesi prevalente dei carabinieri della compagnia di Francavilla Fontana è che sia stato un incidente domestico. Dai riscontri dei militari non sono emersi altri elementi. L’affanno dovuto alle incombenze quotidiane, la necessità di preparare in fretta il biberon per il proprio figlio e la bottiglia scura avrebbero portato la donna a sbagliare. E’ stato lo stesso bimbo, rifiutandosi di continuare a bere, a rivelare che quel liquido non era latte. Un segnale subito percepito dalla mamma che si è resa conto in pochi istanti quale fosse il vero contenuto della bottiglia da cui aveva prelevato il liquido credendo fosse acqua.

La corsa in ospedale è stata immediata, dall’abitazione al pronto soccorso del Perrino. Qui il piccolo è stato preso in cura dai medici che con stupore hanno accertato il coma etilico di un bimbo di soli quattro mesi. Un quadro clinico che ha allarmato il personale sanitario e che ha portato al trasferimento del bimbo a Bari dov’è stato sottoposto a specifiche cure. Al momento la prognosi è riservata ma i medici sono fiduciosi perché le condizioni del piccolo migliorano. La notizia ha scatenato tante reazioni anche sui social dove molti manifestano comprensione per “il dispiacere e per quello che sta passando in queste ore la mamma”, auspicando che “il piccolo possa presto riprendersi da questo brutto incidente”.

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