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Salute

Lotta al cibo sintetico, la salute parte dalla scuola

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Affila le armi l’Italia contro il cibo sintetico che rischia di entrare in Europa e lo fa con la complicità di scienza e statistiche che confermano il primato della longevità tricolore grazie alla cultura della buona alimentazione. A scendere in campo sono ben quattro ministri del Governo Meloni per indicare la bontà del modello italiano per la salute. Una lotta che deve passare dalla scuola, il cui coinvolgimento va rafforzato, come ha confermato il ministro della Salute Orazio Schillaci dalla terza giornata conclusiva della prima Conferenza nazionale sulla nutrizione promossa dal suo ministero. Ha infatti avviato un confronto con Istruzione, Agricoltura e Sport per inserire nei programmi didattici la promozione per una corretta cultura della prevenzione che riguarda tutti i corretti stili di vita, e quindi sana alimentazione, attività fisica, niente fumo, alcolici e uso di sostanze. L’educazione al mangiar sano passa anche attraverso le mense scolastiche.

Il pegno da pagare altrimenti è alto ha avvertito ancora Schillaci perchè “comportamenti scorretti rappresentano fattori di rischio di malattie croniche non trasmissibili che causano il 63% dei decessi, costituiscono le cause più frequenti di disabilità prolungata e morte in tutto il mondo e che in Italia hanno raggiunto picchi del 91,4%, con disuguaglianze tra le regioni: il 21% degli over 65 del Sud Italia ha disabilità contro l’11% di chi vive al Nord”. E proprio dalla Conferenza arriva il primo decalogo delle azioni da mettere in campo per rendere i cittadini più consapevoli e informati, un Manifesto che prevede anche servizi di nutrizione clinica e preventiva pronti a dare risposte adeguate, passando anche da un “chiaro no ai cibi sintetici”. Cibi che sono solo la punta dell’iceberg di alcune politiche europee incentrate sulle etichette a semaforo che condizionano e non informano, e di quelle allarmistiche sul vino avviate dall’Irlanda per scoraggiarne il consumo. Ironica la battuta del professore Giorgio Calabrese, docente di Scienza dell’Alimentazione, secondo il quale “gli amici dell’Europa sono gelosi della nostra longevità” e per questo tenterebbero di abbassare il livello alimentare.

La comunicazione, secondo il ministro dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste (Masaf), Francesco Lollobrigida “può esser un avversario se non ben utilizzata”. Perché il rischio è che “laddove non c’è la famiglia che insegna a mangiare, si impara a farlo dalle serie Tv e da Tiktok e questi sono condizionati da interessi economici”. In campo anche l’Italia dei territori. Il presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia Piero Mauro Zanin ha lanciato la Carta Fvg che verrà sottoscritta il 3 marzo a Trieste alla riunione di tutte le commissioni che si occupano di politiche europee dei consigli regionali d’Italia, e il 9 verrà adottata a Roma. Che la buona alimentazione sia il passepartout per la salute lo sottolinea ancora Lollobrigida aprendo i lavori della prima giornata dell’alimentazione e nutrizione del cuore promossa dal Crea e dalla Società italiana di cardiologia. “Si tratta di un buon investimento anche per lo Stato che deve sostenere agricoltura e trasformazione di qualità per abbattere costi futuri”. Concorde il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che negli stessi lavori ha ricordato che “il grande apprezzamento nel mondo per la qualità della vita degli italiani passa da cultura e enogastronomia, due ambiti che devono viaggiare insieme. La Dieta Mediterranea – ha aggiunto – sta nel nostro Dna in termini culturali con l’Italia che non è seconda a nessuno; da qui la necessità di puntare non sulla quantità ma sulla qualità, perchè poi tutto si traduce in sostenibilità economica”. Dalle parole ai fatti con il Crea in prima fila per difendere il modello alimentare italiano. Il presidente Carlo Gaudio ha annunciato il via a un progetto per studiare eventuali effetti sulla salute provocati dalla carne sintetica nel Centro alimenti e nutrizione sulla via Ardeatina a Roma. “Non è detto che avremo risultati favorevoli, forse saranno sorprendentemente negativi”, ha detto. Sarebbe utile seguire il protocollo di ricerca sui farmaci e quindi farla prima sugli animali.

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Medici, non si riducono liste di attesa tagliando cure

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Un decreto che intervenga sul problema delle liste d’attesa nella sanità pubblica per ridurne i tempi e che potrebbe contenere anche indicazioni sulle prescrizioni mediche. E’ il provvedimento per combattere i ritardi nell’erogazione di visite e cure, a cui sta lavorando il governo e che sarà presentato entro due settimane come ha annunciato giorni fa il ministro della Salute Orazio Schillaci. Ma che già solleva critiche da parte dei medici, con il Sindacato medici italiani che teme limitazioni alle prescrizioni. Per Pina Onotri, segretario generale dello Smi “siamo di fronte non tanto all’appropriatezza prescrittiva, come viene sbandierato, bensì all’ulteriore tentativo di mettere tanti lacci e laccioli alla libera determinazione del medico di poter prescrivere gli esami in scienza e coscienza, si sta puntando alla riduzione tout court delle prestazioni mediche. E’ il modo peggiore di agire: si vuole trovare la soluzione delle liste di attesa tagliando i servizi e facendo pressioni improprie sui medici. Forse si vogliono abbattere le liste di attesa non curando più i cittadini?”, si chiede Onotri.

“Si prevede una stretta sulle prescrizioni effettuate dai medici di medicina generale per sottoporli all’appropriatezza come avviene per la farmaceutica, – afferma – ma mentre si esercita una forte pressione sui medici, si concede ai farmacisti di prescrivere analisi a carico del Ssn in assenza di una qualsiasi indicazione clinica da parte di un medico”. Al momento “non abbiamo un’idea chiara su come questo decreto verrà configurato” – rileva Claudio Cricelli, presidente emerito della Società di medicina generale – Noi soprattutto come società scientifica dobbiamo perseguire l’appropriatezza, tutto quello che viene fatto a beneficio del paziente deve avere due caratteristiche ovvero essere utile per il paziente e rispondere ai criteri scientifici, una cosa senza l’altra non è possibile. Se un decreto prevede che si pongano delle regole, queste regole devono derivare da atti che il ministero governa già: raccomandazioni, linee guida, buone pratiche cliniche.

Non ci sono scorciatoie rispetto a questo”. Intanto la situazione delle liste d’attesa non mostra segni di miglioramento, secondo un sondaggio di Altroconsumo: tempi troppo lunghi, strutture ospedaliere lontane e difficoltà con Cup e agende di prenotazione bloccate. Su oltre 1.100 cittadini intervistati in 950 hanno avuto difficoltà nel prenotare una visita o un esame nell’ultimo anno. Per il sindacato Cimo-Fesmed, “affrontare, in sanità, la questione tempi di attesa è un po’ come approcciare un paziente con una patologia multiorgano che necessita di terapie specifiche, ma che invece viene curato con placebo. Le cause le conosciamo tutti: la ridotta offerta sanitaria, la carenza di risorse umane, l’inappropriatezza delle prestazioni, l’approccio demagogico verso la libera professione del medico”, afferma il presidente Guido Quici, evidenziando che “occorre una terapia molto più articolata che aggredisca contemporaneamente più cause”.

Sul fronte del Pnrr la Fondazione Gimbe rileva che sono state rispettate tutte le scadenze europee della Missione Salute al 31 marzo scorso ma segnala difficoltà nell’assistenza domiciliare per alcune regioni del Sud. “Raggiunti gli obiettivi per l’assistenza domiciliare integrata (Adi) negli over 65 – spiega il presidente Nino Cartabellotta – i ritardi attuali sulle scadenze nazionali non sono particolarmente critici. Tuttavia, il raggiungimento degli obiettivi nazionali sull’Adi è condizionato da rilevanti differenze regionali, conseguenti sia al ‘punto di partenza’ delle Regioni del Mezzogiorno, sia alle loro capacità di recuperare il gap con l’avvio del Pnrr”. Il target intermedio per raggiungere l’obiettivo al 2026 di circa 1,5 milioni di over 65 in Adi, a fronte di una media nazionale del 101% che rappresenta la percentuale di incremento al 31 dicembre 2023, vede in testa la Provincia di Trento (235%), Umbria (206%), Puglia (145%). Risultati che compensano quelli di Sardegna (77%), Campania (62%) e, soprattutto, Sicilia che rimane fanalino di coda all’1%”.

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Corona Virus

AstraZeneca ammette: vaccino contro Covid-19 può causare trombosi

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L’azienda biofarmaceutica internazionale AstraZeneca ha ammesso per la prima volta che uno degli effetti collaterali del suo vaccino contro il Covid-19 può essere la sindrome da trombosi con trombocitopenia (TTS). Lo ha scritto il Telegraph, citando documenti di tribunale. È stata presentata un’azione legale collettiva contro l’azienda perché il vaccino, sviluppato insieme all’Università di Oxford, ha causato danni gravi o fatali a diversi pazienti, si legge nel comunicato.

“Il vaccino può causare, in casi molto rari, una sindrome da trombosi con trombocitopenia (Tts). Le cause sono sconosciute”, si legge in un estratto di un documento fornito dall’azienda a un tribunale lo scorso febbraio. Secondo i media, sono state presentate 51 richieste di risarcimento all’Alta Corte di Londra, in cui le vittime e le loro famiglie chiedono danni per circa 125 milioni di dollari. La sindrome da trombosi con trombocitopenia causa coaguli di sangue e un basso numero di piastrine, ha spiegato il quotidiano.

La prima richiesta, spiega l’articolo, è stata presentata l’anno scorso da Jamie Scott, che, dopo la somministrazione del vaccino nell’aprile 2021, ha sviluppato un coagulo di sangue e un’emorragia cerebrale, che avrebbe causato danni permanenti al cervello. Viene citato anche il caso della famiglia di Francesca Tuscano, una donna italiana morta nell’aprile 2021 dopo essere stata vaccinata contro il coronavirus. La famiglia della 32enne si è rivolta a un medico legale e a un ematologo, che hanno stabilito che “la morte della paziente può essere attribuita agli effetti collaterali della somministrazione del vaccino Covid-19”. La donna è deceduta per trombosi vascolare cerebrale il giorno successivo alla somministrazione del farmaco di AstraZeneca.

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Salute

Scoperta una nuova forma ereditaria di tumore al seno

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Scoperta una nuova forma di tumore al seno ereditaria e il gene alla base, già noto per il suo ruolo nell’aumentare il rischio di tumore gastrico ereditario: la scoperta, dell’Istituto Europeo di Oncologia, apre a nuovi test genetici per la prevenzione e la diagnosi precoce e anche alla possibilità di cure mirate. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista JAMA Network Open, la nuova forma di carcinoma mammario dipende dal gene CDH1 e si differenzia integralmente dal classico tumore mammario ereditario, causata dalle mutazioni dei geni BRCA1 e 2. Il risultato si deve a un’intuizione clinica di Giovanni Corso, chirurgo senologo dell’IEO e ricercatore dell’Università Statale di Milano. “È una nuova sindrome chiamata ‘carcinoma mammario lobulare ereditario’: abbiamo infatti identificato mutazioni del gene CDH1 in donne operate per un tumore lobulare del seno. Abbiamo scoperto che tale gene si lega alla nuova variante rara di tumore lobulare, che si presenta prevalentemente nelle donne giovani con età inferiore ai 45 anni alla diagnosi, o con storia familiare positiva per carcinoma mammario, o con un tumore mammario bilaterale”, spiega Corso, per questo diverrà cruciale il test genetico.

In più di un tumore è ormai assodata la complicità di alcuni geni che, mutati, aumentano il rischio di ammalarsi; la conoscenza di queste mutazioni offre un’arma in più sia nella prevenzione, sia nelle cure. Paradigmatico in questo senso è proprio il tumore del seno, con la “mutazione Jolie” sul gene BRCA1 che ha fatto breccia nel pubblico mondiale. Si parla di un aumento di circa il 70% del rischio di sviluppare un tumore del seno per mutazioni sia di BRCA1 sia di BRCA2. In generale, sono associati a mutazioni BRCA circa l’8% di tutti i tumori al seno e ben un quarto dei tumori ovarici, che risultano anche molto aggressivi. Lo studio italiano, finanziato dal Ministero della Salute, ha coinvolto 5429 donne operate al seno per tumore lobulare. Le donne che presentavano la forma particolare di tumore erano in totale 1867 e, tra queste, 394 sono state testate per i geni CDH1, BRCA1 e BRCA2.

Circa il 5% presentava una variante del gene CDH1, mentre non aveva mutazioni dei geni BRCA1 e 2. Nonostante sia una sindrome rara, la probabilità che questa variante porti alla malattia è molto alta, circa il 40%. “Le analisi statistiche hanno dimostrato che la presenza di CDH1 mutato nelle donne più giovani (40 anni) predispone allo sviluppo del tumore lobulare del seno, anche più dei geni BRCA 1 e 2. Il rischio di sviluppare anche un tumore gastrico rimane incerto, ma possibile. Il test CDH1, ad oggi non previsto dal SSN, diventa quindi importantissimo sia per la donna sia per i familiari. Abbiamo già definito nuovi criteri clinici per testare il gene CDH1, che verranno pubblicati a breve sulle nuove linee guida dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM)” conclude Corso. “La nostra scoperta ha importanti implicazioni cliniche perché abbiamo gli strumenti per proteggere le donne che presentano la nuova sindrome di carcinoma mammario lobulare ereditario. Inoltre viene fortemente consigliata la gastroscopia annuale per un possibile rischio di sviluppare un carcinoma gastrico” conclude Paolo Veronesi, coautore dello studio.

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