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Wagner, i feroci mercenari russi nel mirino Usa

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Si pensava che avesse 5.000 combattenti in Ucraina, invece viene fuori che ne ha almeno dieci volte di più, per lo più ex detenuti, con i quali cerca di imprimere una svolta al conflitto in Ucraina, senza abbandonare i fronti aperti in Medio Oriente e Africa. Il Gruppo Wagner, accusato di crimini di guerra atroci, tanto che il Dipartimento di Stato Usa intende bollarlo come “organizzazione criminale transnazionale”, sta uscendo sempre di più dalle nebbie del mistero che l’avvolgevano alle origini e si conferma la leva privilegiata che il Cremlino usa per estendere la sua influenza geopolitica, militare e anche economica nel mondo.

Anche mischiando guerra e affari, com’è divenuto lampante quando l’oligarca Yevgheni Prigozhin, detto anche lo “chef di Putin” e suo stretto alleato, patron e comandante della milizia, ha avocato a sé il fronte di Bakhmut, in Donbass, dove in questi giorni si combatte ferocemente, perché la regione offre anche miniere economicamente strategiche di sale e di gesso. Fondata, secondo un’indagine svolta dalla Bbc, nel 2013 da Dmitri Utkin – ex ufficiale del servizio di spionaggio militare e dei corpi speciali nelle guerre in Cecenia che avrebbe scelto il nome di Wagner per la sua passione per il grande musicista tedesco condivisa con Adolf Hitler -, la milizia privata fece il suo esordio nell’operazione coperta in Donbass e Crimea nel 2014, poco dopo la rivoluzione di piazza Maidan e la caduta del governo filorusso a Kiev. Soprannominati ‘omini verdi’ perché privi di insegne e distintivi sulle mimetiche, i suoi uomini fecero il grosso del lavoro militare, in appoggio alle milizie filorusse locali.

Da allora i miliziani della Wagner sono diventati il braccio nascosto dell’imperialismo russo, estendendo le operazioni in teatri strategici come la Siria, in appoggio alle truppe di Damasco; la Libia, al fianco del generale Haftar; in Mali, dove combattono le formazioni jihadiste e ‘custodiscono’ miniere d’oro, come quelle di diamanti nella Repubblica Centrafricana, in Venezuela e perfino in Madagascar e Sri Lanka, per un totale – secondo un’analisi dell’Ispi – di 27 punti diversi del globo.

In Africa i mercenari di Wagner sono accusati di omicidi, torture e stupri a danno dei civili, che sono valsi sanzioni da parte dell’Ue. Andrey Medvedev, un ex comandante della milizia scappato alcuni giorni fa in Norvegia dopo aver disertato, ha intenzione di vuotare il sacco sulle “esecuzioni sommarie” commesse nel teatro ucraino, per il quale Wagner ha reclutato migliaia di detenuti in cambio della libertà e di paghe fino a cinque volte superiori a quelle dei soldati regolari russi. L’intelligence tedesca attribuisce a Wagner i massacri commessi a inizio guerra a Bucha.

Essendo le milizie private vietate ufficialmente per legge in Russia e “non essendo ufficialmente parte dello Stato russo”, i mercenari Wagner “sono difficili da criminalizzare per gli abusi, costano meno da mantenere e sono visti come più sacrificabili rispetto ai soldati russi” e “vengono quindi utilizzati per missioni pericolose in prima linea o come moltiplicatore di forze nel perseguire gli interessi russi su più fronti”, scrive ancora l’Ispi. Ma la guerra ucraina ha portato la Wagner all’attenzione del mondo, con il risultato che diventa sempre più difficile per il Cremlino compiere azioni segrete o sotto falsa bandiera e quindi nasconderne l’esistenza e la vicinanza.

Le milizie come si diceva sono proibite, ma la Wagner ha di recente aperto una sede a San Pietroburgo. E Prigozhin, dopo aver negato per otto anni, lo scorso settembre ha ammesso di esserne il comandante. Le sorti dello zar e del suo fido ‘chef’ sono legate ora a doppio filo, pubblicamente. “Noi criminali? Finalmente, ora la Wagner e gli americani sono colleghi”, ha chiosato con sarcasmo l’oligarca, che ha avuto la faccia tosta di scrivere una lettera aperta al portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa John Kirby per chiedergli di elencare quali crimini i suoi uomini avrebbero commesso in Ucraina.

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Guterres: Italia pilastro fondamentale multilateralismo

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“L’Italia è un pilastro fondamentale del multilateralismo e un partner esemplare delle Nazioni Unite. In ogni area delle nostre attività l’Italia è sempre presente, nelle operazioni di peacekeeping, nello sviluppo sostenibile, nella protezione climatica, nei diritti umani. E’ molto importante dirlo nel momento in cui l’Italia assume la presidenza del G7” ha spiegato il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres incontrando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in visita al Palazzo di vetro.

“Questo paese – ha proseguito Guterres – è sempre stato un ponte tra nord e sud, un ponte che ora è più necessario che mai, quando si vive in un mondo dove le divisioni geopolitiche hanno creato tante difficolta’ in tutte le aree”. “E’ molto importante avere l’Italia alla guida del G7 – ha continuato – ed essere in grado di raggiungere le riforme della nostra istituzione multilaterale che non rappresenta più la realtà del mondo moderno”.

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Gaza: media, bilancio attacchi Israele su Rafah sale a 8 morti

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L’agenzia di stampa palestinese Wafa afferma che è salito ad almeno otto morti e diversi feriti il bilancio degli ultimi attacchi israeliani sulla città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.

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Hamas accetta l’accordo ma Israele bombarda Rafah

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Hamas ha accettato, in extremis, la proposta di Egitto e Qatar per un accordo con Israele sul cessate il fuoco. Forse nell’ultimo, disperato tentativo di fermare l’irruzione dei soldati israeliani a Rafah, dove in mattinata era scattato l’ordine di evacuazione di un centinaio di migliaia di civili già stremati da sei mesi di guerra.

Ma lo Stato ebraico per ora frena, e anzi ha aumentato la pressione militare sulla città al confine egiziano con “attacchi mirati”, aerei e di artiglieria, nella parte orientale della città al sud della Striscia, mentre fonti palestinesi hanno riferito di “un improvviso ingresso via terra” nell’est. In serata, il gabinetto di guerra ha infatti “deciso all’unanimità di continuare la sua operazione a Rafah”, e al tempo stesso di inviare una delegazione al Cairo martedì per continuare ad “esplorare la possibilità di raggiungere un accordo a condizioni accettabili”. Anche il presidente americano Joe Biden ha cercato ancora una volta di convincere il premier Benyamin Netanyahu a non invadere la città, insistendo sul fatto che raggiungere un’intesa per un cessate il fuoco è il modo migliore per proteggere la vita degli ostaggi. Poi l’annuncio di Hamas, giunto dopo la telefonata tra i due leader.

“Adesso la palla è nel campo di Israele”, ha detto un esponente di Hamas dopo che il leader Ismail Haniyeh ha informato il premier del Qatar Mohammed bin Abdul Rahman Al Thani e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel – e l’Iran – di aver “accettato” la loro proposta di mediazione. Secondo fonti della fazione palestinese, riportate dai media arabi, l’accordo sulla tregua prevede tre fasi di sei settimane ciascuna con l’obiettivo del cessate il fuoco permanente, il ritiro completo dell’Idf dalla Striscia, il ritorno degli sfollati al nord e lo scambio di prigionieri, a cominciare dai civili israeliani, donne, bambini, anziani e malati. Israele ritiene siano 33 gli ostaggi in questa categoria, definita “umanitaria”, e Hamas si è impegnato a rilasciarli, vivi o morti. Tra i detenuti palestinesi da liberare ci sarebbero, invece, anche 20 condannati all’ergastolo.

Gli ultimi dettagli dovrebbero essere comunque discussi di nuovo martedì al Cairo e le famiglie dei rapiti hanno lanciato un nuovo disperato appello al governo a dare seguito “al suo impegno nei confronti dei suoi cittadini”, accettando la proposta di Hamas. Prima degli intensi bombardamenti notturni, a Rafah la notizia era stata inizialmente accolta da urla di gioia e spari in aria. Ma fonti israeliane – nel silenzio di Netanyahu – hanno fatto sapere che Israele sta ancora “verificando la proposta e le sue conseguenze”, così come gli Stati Uniti. Pubblicamente però Israele, forse irritato dalla fuga in avanti dell’annuncio di Hamas, ha gelato gli entusiasmi: “Hamas non ha accettato. E’ il suo solito trucco”, ha detto il ministro dell’Economia, Nir Barkat, incontrando a Roma la stampa italiana.

Si tratta di “una proposta unilaterale senza coinvolgimento israeliano. Questa non è la bozza che abbiamo discusso con gli egiziani”, ha spiegato un alto funzionario israeliano al sito Ynet, aggiungendo che in questo modo Hamas mira a “presentare Israele come chi rifiuta” l’intesa. Mentre per il falco del governo di sicurezza Ben Gvir, “i giochetti di Hamas” meritano “una sola risposta: occupare Rafah”. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha invece invitato “tutti i Paesi occidentali a fare pressione su Israele affinché accetti”. “Siamo lieti che Hamas abbia annunciato di aver accettato il cessate il fuoco, su nostro suggerimento – ha sottolineato -. Ora lo stesso passo dovrebbe essere fatto da Israele”.

Accordo o meno, lo Stato ebraico va avanti nell’operazione militare contro i battaglioni di Hamas a Rafah. “Esaminiamo ogni risposta molto seriamente ed esauriamo ogni possibilità sui negoziati e il ritorno degli ostaggi alle loro case il più rapidamente possibile come compito centrale. Al tempo stesso continuiamo e continueremo ad operare nella Striscia”, ha chiarito il portavoce militare Daniel Hagari. L’avvio dell’evacuazione dall’est della città verso l’area umanitaria indicata dall’Idf ad al-Mawasi sulla costa ha allertato l’intera comunità internazionale, che tenta di impedire che gli eventi precipitino del tutto.

“E’ disumano”, ha dichiarato l’Onu. Prima di annunciare di aver accettato l’intesa per la tregua, anche Hamas ha denunciato “un’escalation”. La zona dell’evacuazione – che l’esercito ha definito “temporanea, limitata e graduale” – comprende “ospedali da campo, tende e maggiori quantità di cibo, acqua, farmaci e forniture aggiuntive”. L’Idf ha lanciato volantini in arabo, affiancati da sms, telefonate e avvisi sui media per spiegare i motivi dell’evacuazione e l’invito a lasciare l’area che sarà interessata dai combattimenti, quelle da evitare, come Gaza City e i passaggio a nord di Wadi, e anche il divieto di avvicinarsi alle recinzioni di sicurezza est e sud con Israele.

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