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Trump annuncia la ricandidatura, ed è guerra nel partito

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Prati tosati al millimetro, decorazioni dorate tirate a lucido, palcoscenico con grandi bandiere americane e palloncini: è tutto pronto nella lussuosa residenza di Donald Trump a Mar-a-Lago in Florida per il ‘very big announcement’, ossia il lancio della sua terza candidatura alla Casa Bianca, come ha confermato il suo consigliere Jason Miller. “Sarà un discorso molto professionale, molto abbottonato”, ha assicurato, facendo sorridere chi è abituato all’improvvisazione incendiaria del tycoon. L’appuntamento per i media americani e di tutto il mondo è fissato alle 21 locali (le 3 di notte in Italia), prime time in Usa. “Sarà forse il più importante discorso nella storia degli Stati Uniti”, ha anticipato l’ex presidente, sfidando quanti nel suo entourage e nel partito gli hanno consigliato almeno di rinviare l’annuncio dopo essere diventato il capro espiatorio del flop del partito a Midterm per aver imposto fallimentari candidati estremisti e negazionisti della vittoria di Joe Biden nel 2020.

Ma per tentare di riemergere Trump ha bisogno di accelerare la discesa in campo per due motivi. Il primo è avere uno scudo immediato contro la spada di Damocle delle varie inchieste che lo incalzano, in particolare quelle del dipartimento di Giustizia per i documenti classificati custoditi a Mar-a-Lago e per l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 (dove ha già impugnato il mandato di comparizione): da martedì potrà dichiararsi un perseguitato politico. Il secondo è giocare d’anticipo su tutti i possibili rivali. A partire da Ron DeSantis, che dovrà attendere un po’ prima di lanciare la sua campagna presidenziale, essendo appena stato riconfermato a valanga governatore della Florida, dove ha vinto con un vantaggio di 20 punti in uno Stato che il tycoon ha conquistato per appena 3 punti. Ma la lista si allunga sempre di più, mentre dentro il partito si è aperto il dibattito sul ‘post Trump’. In cima all’elenco c’è anche il suo ex vicepresidente Mike Pence, che sta indossando i guanti per assestargli i primi colpi. Come l’intervista ad Abc, in cui lo ha accusato di aver usato “parole e azioni sconsiderate” il 6 gennaio 2021, quando lo rimproverò pubblicamente di non avere il coraggio di bloccare la certificazione delle vittoria di Biden, “mettendo in pericolo la vita mia, della mia famiglia e di tutti coloro che erano dentro il Capitol”. Accuse ribadite in un libro di memorie che esce proprio in coincidenza con l’annuncio del suo ex boss.

Tra gli altri papabili, l’ex segretario di Stato Mike Pompeo, l’ex ambasciatrice all’Onu Nikki Haley, l’emergente governatore della Virginia Glenn Youngkin (che nel 2021 ha vinto in uno Stato dove Biden aveva avuto 10 punti di vantaggio) e l’ex governatore del New Jersey Chris Christie, che si è detto “stufo di perdere” a causa di Trump, dopo le debacle delle Midterm del 2018, delle presidenziali del 2020 e delle ultime Midterm, in cui i dem hanno conservato il Senato e i repubblicani sono proiettati a riprendersi a stento la Camera per una manciata di seggi (ora siamo 204 a 212, con 19 poltrone da assegnare per arrivare al quorum di 218), senza l’atteso tsunami rosso. La strada di uno sfidante di Trump comunque potrebbe essere tutta in salita alle primarie repubblicane. Secondo il sondaggista repubblicano Whit Ayres, l’elettorato Gop si può dividere in tre blocchi. Quello più piccolo, il 10%, è il gruppo dei ‘never Trumpers’, quelli che si sono sempre opposti al tycoon; gli ‘always Trumpers’, la base sempre per Trump, sono il 40%, mentre il restante 50% sono i ‘maybe Trumpers’, repubblicani che l’hanno votato due volte e che generalmente amano le sue politiche ma che ora sono desiderosi di evitare il caos che solitamente l’accompagna e quindi sono pronti a sostenere qualcun altro che le porti avanti in modo meno ingombrante.

“La domanda quindi diventa: chi può farlo?”, chiede Ayres. Intanto nel Grand Old party si apre la guerra interna anche per la leadership alla Camera e al Senato, con l’ala più conservatrice che vorrebbe mettere in discussione Kevin McCarthy e Mitch McConnell, mentre la speaker dem Nancy Pelosi attende i risultati definitivi per decidere il suo futuro.

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Putin ringrazia i soldati nordcoreani, ‘sono eroi’

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Il presidente russo, Vladimir Putin, ha ringraziato in un messaggio i soldati nordcoreani che hanno preso parte alla “liberazione della regione di Kursk” dalle truppe d’invasione ucraine, definendoli “eroi”. Lo riferisce il servizio stampa del Cremlino.

“Il popolo russo non dimenticherà mai l’impresa delle forze speciali coreane, onoreremo sempre gli eroi coreani che hanno dato la vita per la Russia, per la nostra comune libertà, al pari dei loro compagni d’armi russi”, si legge nel messaggio di Putin. Il presidente russo sottolinea che l’intervento è avvenuto “nel pieno rispetto della legge internazionale”, in base all’articolo 4 dell’accordo di partenriato strategico firmato nel giugno dello scorso anno tra Mosca e Pyongyang, che prevede assistenza militare reciproca in caso di aggressione a uno dei due Paesi. “Gli amici coreani – ha aggiunto Putin – hanno agito in base a un senso di solidarietà, giustizia e genuina amicizia. Lo apprezziamo molto e ringraziamo con sincerità il presidente Kim Jong-un personalmente”.

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Trump: Zelensky vuole un accordo e rinuncerebbe alla Crimea. Putin smetta di sparare e firmi

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Volodymyr Zelensky è “più calmo” e “vuole un accordo”. È quanto ha riferito Donald Trump, secondo quanto riportato dai media americani, dopo il loro incontro avvenuto nella suggestiva cornice di San Pietro, a margine dei funerali di papa Francesco.

Un incontro positivo e nuove prospettive

Trump ha descritto l’incontro con il presidente ucraino come «andato bene», sottolineando che Zelensky sta «facendo un buon lavoro» e che «vuole un accordo». Secondo il tycoon, il leader ucraino avrebbe ribadito la richiesta di ulteriori armi per difendersi dall’aggressione russa, anche se Trump ha commentato con tono scettico: «Lo dice da tre anni. Vedremo cosa succede».

La questione della Crimea

Tra i temi toccati nel colloquio, anche quello della Crimea. Alla domanda se Zelensky sarebbe disposto a cedere la Crimea nell’ambito di un eventuale accordo di pace, Trump ha risposto: «Penso di sì». Secondo il presidente americano, «la Crimea è stata ceduta anni fa, senza un colpo di arma da fuoco sparato. Chiedete a Obama». Una posizione che conferma il suo approccio pragmatico alla questione ucraina.

L’appello a Putin: “Smetta di sparare”

Trump ha ribadito di essere «molto deluso» dalla Russia e ha lanciato un nuovo appello al presidente Vladimir Putin: «Deve smettere di sparare, sedersi e firmare un accordo». Il tycoon ha anche rinnovato la convinzione che, se fosse stato lui presidente, la guerra tra Mosca e Kiev «non sarebbe mai iniziata».

Un contesto suggestivo

Riferendosi all’incontro tenutosi a San Pietro, Trump ha aggiunto: «È l’ufficio più bello che abbia mai visto. È stata una scena molto bella». Un commento che sottolinea anche la forza simbolica del luogo dove i due leader si sono parlati, all’ombra della basilica vaticana.

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Media, due giornalisti italiani espulsi dal Marocco

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Due giornalisti italiani sarebbero stati espulsi ieri sera dalle autorità marocchine con l’accusa di aver cercato di entrare illegalmente nella città di Laayoune (El Aaiun). Lo rivela il quotidiano marocchino online Hespress. Matteo Garavoglia, 34 anni, giornalista freelance originario di Biella e collaboratore del ‘Manifesto’, e il fotografo Giovanni Colmoni, avrebbero tentato di entrare nella città marocchina meridionale al confine con la regione contesa del Sahara Occidentale “senza l’autorizzazione richiesta dalla polizia”.

I due erano a bordo di un’auto privata e, secondo quanto riporta il quotidiano marocchino, sarebbero stati fermati dagli agenti che hanno interpretato il tentativo di ingresso come un “atto provocatorio, in violazione delle leggi del Paese che regolano gli ingressi dei visitatori stranieri”. Sempre secondo l’Hespress, i due reporter avrebbero cercato di “sfruttare il fatto di essere giornalisti per promuovere programmi separatisti. Per questo sono stati fermati e successivamente accompagnati in auto nella città di Agadir”. Non era la prima volta che i due tentavano di entrare a Laayoune, secondo il quotidiano, ma sempre “nel disprezzo per le procedure legali del Marocco”.

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