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Putin ordina raid di morte sui civili ucraini e si lamenta dell’attacco al ponte: terrorismo degli 007 di Kiev

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L’attacco al ponte in Crimea e’ opera dei “servizi speciali dell’Ucraina”, che hanno commesso “un atto di terrorismo” contro “un’infrastruttura civile critica della Russia”. All’indomani dall’esplosione che ha danneggiato il simbolo dell’invasione, che collega la Russia alla penisola annessa nel 2014, Vladimir Putin rompe il silenzio e accusa pubblicamente Kiev dell’attacco. Un’operazione di intelligence in cui sono stati “coinvolti cittadini russi e stranieri”, ha denunciato il presidente del Comitato investigativo di Mosca Alexander Bastrykin, annunciando che le indagini verranno ora affidate agli 007 dell’Fsb e al ministero dell’Interno. Un coinvolgimento dell’intelligence ucraina, d’altronde, sarebbe stato ammesso anche da un funzionario anonimo di Kiev al New York Times. Le parole di Putin aprono la strada alla risposta militare russa, che potrebbe essere definita durante il Consiglio di sicurezza convocato lunedi’ dallo zar. Sul tavolo ci sono tutte le opzioni, dalla rappresaglia con armi convenzionali al temuto ricorso al nucleare tattico, previsto dalla dottrina della Russia in caso di minaccia alla sua integrita’ territoriale. Tanto piu’ che, oltre alla Crimea, gli 007 dell’Fsb hanno denunciato pubblicamente che in una settimana sono stati registrati oltre 100 bombardamenti ucraini nelle regioni frontaliere di Bryansk, Kursk e Belgorod: una dichiarazione che sembra schiacciare l’acceleratore verso un’escalation nella rappresaglia. “Naturalmente – ha minacciato il leader filorusso in Crimea, Serghei Aksyonov – si sono scatenate le emozioni e c’e’ un sano desiderio di vendetta”. Ma un nuovo avvertimento a Putin e’ arrivato dal presidente Usa Joe Biden e dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, che in una telefonata hanno criticato i recenti “gesti minacciosi” dello zar sul nucleare e “sono stati concordi sul fatto che un passo del genere provocherebbe conseguenze straordinariamente gravose per la Russia”. Mentre i sommozzatori esaminano l’entita’ dei danni sul ponte di Kerch, e un’indagine dettagliata e’ in corso anche sulla stabilita’ dell’infrastruttura sopra la linea di galleggiamento, la commissione d’inchiesta voluta dal Cremlino e’ al lavoro per cercare di accertare la dinamica dell’attacco. Secondo fonti di Mosca, prende sempre piu’ corpo l’ipotesi che il conducente del camion bomba fosse ignaro dell’esplosivo trasportato. Non un attentatore ne’ un kamikaze, dunque, ma la vittima di un inganno architettato appunto dai servizi ucraini: un utente gli avrebbe infatti commissionato il trasporto merci via internet. In ogni caso, l’attacco sembra aver scatenato il caos in Crimea. Secondo i media di Kiev, all’indomani dell’esplosione centinaia di auto avrebbero cercato di attraversare il ponte, subito riaperto al traffico, per rifugiarsi in Russia, formando code lunghe cinque chilometri. Intanto, Kiev ha denunciato una nuova strage di civili. Le forze russe hanno bombardato zone residenziali a Zaporizhzhia, provocando almeno 13 morti, tra cui bambini, e 89 feriti. Un attacco compiuto con nove missili S-300 e Kh-22 contro i quartieri abitati della citta’ nel sud dell’Ucraina, che la Russia ha inglobato all’interno della Federazione dieci giorni fa, pur non avendone il pieno controllo. Decine di abitazioni, due condomini e altre infrastrutture civili sono state colpite, secondo la polizia regionale. “Il mondo deve vedere la verita’”, ha reagito il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, pubblicando su Facebook foto e video della distruzione causata dai raid. “L’Ucraina non ha mai voluto questa guerra. L’Ucraina non ha fatto nulla per provocarla. Abbiamo a che fare con uno Stato che non vuole la pace, con uno Stato terrorista”, e’ la denuncia del leader di Kiev. La tensione resta alle stelle anche con l’Occidente. L’Europa risentira’ delle conseguenze negative di aver rifiutato l’energia russa per i prossimi 10-20 anni, ha avvertito il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, accusando gli Usa di approfittare della crisi energetica vendendo al Vecchio Continente il proprio gas “tre volte piu’ costoso”. A scatenare l’escalation, ha minacciato ancora Mosca, sarebbe anche un maggiore sostegno militare occidentale. E la fornitura all’Ucraina di “armi a lungo raggio o piu’ potenti” supererebbe una delle “linee rosse” tracciate dalla Russia.

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Lukashenko sta costruendo una mega residenza in Russia

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Una società privata legata al presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, sta costruendo un’enorme residenza con un hotel, ristoranti e chalet sulle montagne vicino a Sochi, in Russia: lo riporta The Insider, che cita un’inchiesta congiunta dei giornalisti dell’emittente polacca Belsat e dell’associazione delle ex forze di sicurezza bielorusse Belpol. Secondo quest’ultima, il nuovo complesso – che sorgerà su un terreno di oltre 97.248 metri nel villaggio di Krasnaya Polyana – è destinato al leader bielorusso. Dall’inchiesta è emerso infatti che il progetto coinvolge i suoi più stretti collaboratori e viene finanziato con fondi riconducibili a Lukashenko.

Secondo i giornalisti di Belsat il presidente bielorusso si trasferirà in questa proprietà dopo aver lasciato l’incarico: Lukashenko avrebbe deciso di costruire una residenza fuori dalla Bielorussia dopo le elezioni e le successive proteste del 2020. Nel villaggio di Krasnaya Polyana ci sono alcune tra le più esclusive ed eleganti stazioni sciistiche del Paese, tra cui quella di Roza Khutor, che ha ospitato alcune gare delle Olimpiadi invernali 2014. E la nuova residenza promette di non essere da meno, con piscine, una “sicurezza armata” e maniglie delle porte placcate in oro. Il progetto prevede la costruzione di 12 immobili – tra cui un hotel e diversi chalet – con una superficie totale di 7.374 metri quadrati. L'”edificio principale”, destinato al proprietario, dovrebbe occupare un terzo della superficie edificabile totale.

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Re Carlo torna in pubblico e sorride, ‘sto bene’

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Un ritorno a mezzo servizio sulla scena degli impegni pubblici che non scioglie tutte le incognite, ma certo fa tirare un sospiro di sollievo al Regno Unito. Re Carlo III riavvolge il film di questo inizio d’anno maledetto per la monarchia britannica e si ripresenta alla platea dei sudditi per il primo appuntamento ufficiale fra la gente da oltre tre mesi, dopo la diagnosi di cancro svelata urbi et orbi a febbraio e i risultati “molto incoraggianti” (parola dei suoi medici) d’una prima fase di terapie tuttora in corso. Una rentrée all’insegna dei sorrisi e del contatto umano per il monarca 75enne, affiancato dall’inseparabile regina Camilla, pilastro della sua vita. Ma pure un momento altamente simbolico, vista la meta prescelta per la visita d’esordio di questa sorta di nuovo inizio, nel rispetto di quanto preannunciato da Buckingham Palace venerdì: l’University College London Hospital e l’annesso Macmillan Cancer Centre, istituto oncologico d’eccellenza sull’isola dove la coppia reale si è soffermata a parlare fitto fitto con medici, infermieri e soprattutto pazienti, non senza far rilanciare dalla viva voce di Sua Maestà un accorato messaggio a favore della prevenzione, dei controlli, delle cure “precoci” come armi “cruciali” per affrontare una malattia che non fa distinzioni fra teste coronate e non.

Accolti già fuori dall’ospedale da fan e curiosi, e poi fra le corsie da mazzi di fiori e auguri, Carlo e Camilla hanno cercato in tutti i modi di dare un’immagine incoraggiante, se non proprio da business as usual. “Non sei solo”, hanno fatto sapere al monarca alcuni dei presenti, in uno scenario in cui a tratti il primogenito di Elisabetta II – da oggi neo patrono del Cancer Research UK – è parso scambiare confessioni intime, persino qualche inusuale contatto fisico fatto di strette di mani prolungate con i malati: quasi come un paziente tra i pazienti. “Sto bene”, ha detto fra l’altro a una di loro, Asha Miller, in chemioterapia, rispondendo all’affettuoso “come si sente?” che la donna gli aveva rivolto stando a quanto da lei stessa raccontato più tardi ai giornalisti. Mentre vari testimoni hanno riferito di aver visto un re emozionato, ma “pieno di energia”. Parole che suggellano gli spiragli di ottimismo alimentati in queste ore dai vertici politici del Paese come da diversi commentatori dei media mainstream dopo le congetture allarmistiche di certa stampa scandalistica Usa.

Anche se sullo sfondo restano gli elementi di prudenza suggeriti dagli stessi comunicati di palazzo, che per i prossimi mesi si limitano per adesso ad evocare una ripresa parziale dell’attività pubblica di rappresentanza dinastica del sovrano: “calibrata con attenzione” e soggetta a conferme da formalizzare di volta in volta in relazione a eventi chiave quali la tradizionale parata di giugno di Trooping the Colour, l’agenda della visita di Stato a Londra della coppia imperiale del Giappone, o quella d’un viaggio in Australia di due settimane fissato orientativamente per ottobre. Già dalla settimana prossima, intanto, a rubare la scena in casa Windsor sarà un fugace rientro in patria del principe ribelle Harry, in arrivo entro l’8 maggio dall’autoesilio americano per partecipare al decimo anniversario degli Invictus Games, giochi sportivi riservati ai militari mutilati che egli patrocina sin dalla fondazione. Anche se non si sa se nell’occasione vi sarà spazio per un nuovo faccia a faccia fra padre e figlio, dopo la visita fatta di getto dal duca di Sussex al genitore a febbraio all’indomani della notizia della diagnosi di un cancro la cui natura resta per ora imprecisata.

Viaggio in cui del resto il principe cadetto – come confermato da una sua portavoce – non sarà accompagnato da Meghan, né dai figlioletti Archie e Lilibet, salvo ricongiungersi con la consorte in una successiva missione in Nigeria, Paese del Commonwealth. E che tanto meno sembra poter preludere a un disgelo col fratello maggiore William. Il tutto mentre rimane ad oggi ignota qualsiasi scadenza su un potenziale ritorno in pubblico anche della 42enne principessa di Galles, Kate, moglie dell’erede al trono, colpita a sua volta da un cancro di tipo non specificato reso noto nel toccante video alla nazione di marzo, due mesi dopo una delicata operazione all’addome. E reduce da una celebrazione privatissima, strettamente familiare, del suo 13esimo anniversario di matrimonio: il più difficile, in una favola regale divenuta dolorosa realtà.

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Netanyahu: entreremo a Rafah con o senza accordo

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Rafah resta nel mirino di Benyamin Netanyahu, con o senza accordo con Hamas per una tregua di lunga durata. Nonostante l’ottimismo per un’intesa che nelle prossime 48 ore si dovrebbe concretizzare nelle trattative al Cairo, il premier israeliano insiste – almeno a parole – nel rivendicare la necessità dell’operazione militare nella città più a sud di Gaza, piena di sfollati palestinesi. Durante un incontro con i rappresentanti delle famiglie dei circa 130 ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas dal 7 ottobre scorso, Netanyahu ha ribadito che “l’idea di porre fine alla guerra prima di raggiungere tutti i nostri obiettivi è inaccettabile”. “Noi – ha spiegato – entreremo a Rafah e annienteremo tutti i battaglioni di Hamas presenti lì, con o senza un accordo, per ottenere la vittoria totale”.

Una mossa tuttavia che deve fare i conti con la netta opposizione degli Stati Uniti, che non vogliono l’operazione di terra, oltre che dell’Onu (“sarebbe un’escalation intollerabile”, secondo il segretario generale Guterres), e con lo spettro di possibili mandati di arresto per crimini di guerra da parte della Corte penale internazionale dell’Aja sia per il premier sia per altri membri della leadership politico-militare di Israele. Non a caso Netanyahu ha denunciato che la Corte non ha “alcuna autorità su Israele” e che gli eventuali mandati sarebbero “un crimine d’odio antisemita”.

Spetta ora al segretario di Stato Usa Antony Blinken alla sua ennesima missione, da stasera, in Israele spingere sull’accordo che sembra in dirittura d’arrivo e fare della ventilata iniziativa della Cpi il grimaldello con Netanyahu per rimuovere dal tavolo l’operazione militare a Rafah, per la quale l’Idf ha già i piani pronti. Le indiscrezioni sull’intesa riportate dal Wall Street Journal prevedono due fasi: la prima con il rilascio di almeno 20 ostaggi in 3 settimane per un numero imprecisato di prigionieri palestinesi; la seconda include un cessate il fuoco di 10 settimane durante le quali Hamas e Israele si accorderebbero su un rilascio più ampio di ostaggi e su una pausa prolungata nei combattimenti che potrebbe durare fino a un anno. Un obiettivo così importante, a quasi 7 mesi dall’inizio della guerra, che ha spinto Blinken a rivolgersi direttamente ad Hamas per chiedere alla fazione palestinese di accettare “senza ulteriori ritardi” la proposta.

Lo spettro dell’Aja per Israele sta assumendo intanto contorni sempre più netti visto che gli investigatori della Cpi, secondo la Reuters, hanno raccolto testimonianze tra il personale dei due maggiori ospedali di Gaza. “Le fonti, che hanno chiesto di non essere identificate per la delicatezza dell’argomento, hanno riferito che gli investigatori della Cpi hanno raccolto testimonianze dal personale che ha lavorato nel principale ospedale di Gaza City, l’Al Shifa, e nel Nasser, il maggior nosocomio di Khan Younis”. “La possibilità che la Cpi emetta mandati di arresto per crimini di guerra contro comandanti dell’Idf e leader di Stato, è uno scandalo su scala storica”, ha ribattuto Netanyahu.

“Sarà la prima volta che un Paese democratico, che lotta per la propria esistenza secondo tutte le regole del diritto internazionale, verrà accusato di crimini di guerra. Se dovesse accadere – ha tuonato il primo ministro israeliano – sarebbe una macchia indelebile per tutta l’umanità. Un crimine d’odio antisemita, che aggiungerebbe benzina all’antisemitismo”. Al 207esimo giorno di conflitto intanto, si comincia a intravedere la concretezza della continuità degli aiuti umanitari a Gaza. Il portavoce del Consiglio per la sicurezza americana John Kirby ha fatto sapere che “il molo temporaneo per l’ingresso di aiuti a Gaza sarà completato nei prossimi giorni” dato che i lavori di costruzione stanno procedendo “molto velocemente”. Il Centcom ha anche diffuso le immagini del molo costruito al largo della costa della Striscia. Le foto mostrano l’equipaggio di diverse navi militari impegnato nella costruzione della piattaforma, che avrà un costo di circa 320 milioni di dollari.

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