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Politica

Meloni pianifica le priorità del nuovo governo

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Un altro giorno di silenzio e lavoro, e oggi lontano da casa. A oltre 24 ore dal voto che ha fatto lievitare 4 volte i consensi per Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni non perde tempo. Si mette all’opera e traccia le priorita’ della sua nuova probabile creatura di governo che convergono molto, nella fase iniziale, sull’allarme economia e il piu’ impellente caro bollette. La leader di FdI alterna riunioni, telefonate e l’esame di documenti, facendo la spola tra gli uffici della Camera e la sede del partito, a meta’ strada tra la Camera e il Senato. Protetta dal suo staff, esce dai radar di cronisti e fotografi che l’aspettano sotto casa di mattina, alla periferia sud di Roma. La rivedono nel tardo pomeriggio, dopo un incontro con Antonio Tajani nel palazzo di via della Scrofa. Primo faccia a faccia per discutere di elezione dei presidenti delle Camere e squadra di governo con gli alleati. Manca il confronto con Matteo Salvini, oggi alle prese con il Consiglio federale convocato a Milano. In ogni caso, per Meloni la parola d’ordine e’ coinvolgere gli alleati. Nei limiti del possibile e sempre tenendo conto dei nuovi equilibri nati dal voto. A fine incontro, il numero due di Forza Italia e’ abbottonatissimo: “La Meloni? La sento cento volte al giorno. Non c’e’ niente da dire, lavoriamo per l’Italia”. Poco dopo lei si infila in macchina da un’uscita laterale, tace e va via. Del resto non c’e’ tempo per festeggiare o godersi la vittoria, fanno sapere dal partito. Tra bollette alle stelle, boom dell’inflazione e l’allarme rosso sul gas russo, la situazione non lo permette. Serve concentrazione e dialogo, per affrontare quella che e’ considerarata la priorita’ numero uno: lo stop all’aumento delle bollette di luce e gas. Il resto si fara’ e verra’, e’ il mood. Fotografia dello spirito della giornata, per FdI, e’ il tweet “Al lavoro per l’Italia” che appare nel pomeriggio sul profilo del partito conservatore. Da quel che trapela, Meloni sente l’onere e l’onore dell’incarico che molto probabilmente avra’ dal capo dello Stato. E si concentra sulle urgenze dettate dai conti pubblici e da quelli di famiglie e imprese, sempre piu’ in affanno. Ma non da sola. Forte dei buoni rapporti coltivati gia’ da leader dell’opposizione, continua a tenere aperti il dialogo con il Quirinale e il coordinamento con Palazzo Chigi. Cercato, voluto e sicuramente necessario quasi alla vigilia della presentazione della Nadef, la Nota di aggiornamento al Def che il governo uscente presentera’ probabilmente il 29 settembre ma solo nella parte tendenziale (e non quella programmatica) lasciando al successore decisioni e impegni. A cominciare dalla prossima Manovra economica che quest’anno avra’ necessariamente tempi piu’ stretti. Da qui i rapporti diretti tra Meloni e Mario Draghi, e prova ne e’ la telefonata tra la leader di Fdi ed il premier la sera prima. E forse non e’ un caso l’accelerazione che esecutivo uscente annuncia sui 55 obiettivi da centrare entro fine anno. Traguardi che sono l’anticamera della terza rata di finanziamenti – altri 19 miliardi – che Roma potra’ chiedere a Bruxelles. In questa direzione procede anche il lavoro degli sherpa della presidente. Gli stessi che formano il suo personale cerchio magico: dal capogruppo alla Camera, Francesco Lollobrigida allo storico ‘colonnello’ Ignazio La Russa, da Giovanni Donzelli factotum dell’organizzazione FdI al senatore Giovanbattista Fazzolari. Altra priorita’ sul tavolo e’ il taglio delle tasse, su cui si vorrebbe dare un segnale intervendo sul cuneo fiscale ad esempio dirottando fondi dal reddito di cittadinanza per una migliore distribuzione dei 9 miliardi della misura, e’ il ragionamento. Meno urgente invece il nodo delle riforme: il partito che ha trionfato domenica non le disdegna e di certo vorrebbe portarle a casa nei 5 anni in cui spera di stare al governo. Dal presidenzialismo all’autonomia differenziata. Ma voci di corridoio smentiscono che il primo Consiglio dei ministri possa chiudere la riforma-bandiera della Lega e dei governatori (l’autonomia potrebbe creare tensioni sul concetto di unita’ nazionale e su questo FdI non vuole correre rischi). Cautela anche sul tema dell’elezione diretta del capo dello Stato, per mantenere un clima politico il piu’ sereno possibile e forse anche per una questione di garbo istituzionale nei confronti del presidente della Repubblica.

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Politica

Opposizione frena su legge elettorale: Meloni vuole voto?

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Reintrodurre le preferenze o mantenere i listini bloccati: rischia di essere il primo dei bivi da affrontare nella discussione sulla legge elettorale che il centrodestra sta iniziando ad avviare. Finora si contano solo ipotesi, di fronte a cui le opposizioni hanno rizzato le antenne, anche alla luce dell’ultima intervista in cui Giorgia Meloni ha fatto allusioni a un bis. C’è chi come Angelo Bonelli (Avs) che davanti a questa “accelerazione” si domanda se la premier voglia “andare a elezioni anticipate”. Chi come la leader del Pd Elly Schlein si limita a dire che “non c’è stato nessun contatto” con la maggioranza. E chi come il presidente del M5s Giuseppe Conte resta attendista: “Non c’è nessuna proposta. Quando sarà e se ci sarà, questa disponibilità” al confronto “noi valuteremo”.

Meloni intanto si prepara, mercoledì in Senato, a ribattere alle critiche delle opposizioni, che nel premier question time la interrogheranno sugli impegni assunti con gli Usa nell’incontro con Donald Trump, sulle strategie contro il caro-bollette, su politica industriale, spese militari e riforme da realizzare. Difficilmente la leader di FdI cambierà la linea sul premierato, la “madre di tutte le riforme”, da portare avanti. Ma i dieci mesi di stallo alla Camera fanno ritenere a molti che non sia più una priorità. “È stata ridotta – l’affondo di Davide Faraone, di Iv – ad un accordicchio old style per una modifica alla legge elettorale”.

“Non c’è nessun cantiere aperto sulla legge elettorale, figurarsi se vogliamo destabilizzare il Parlamento con due anni davanti…”, prova a frenare un big di FdI. I ragionamenti, però, sono avviati. Se ne sta discutendo “tra noi all’interno del partito e anche con gli alleati, e il confronto si allargherà necessariamente anche alle opposizioni”, ammette Alberto Balboni (FdI), presidente della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama dove sta per essere incardinato il ddl che interviene sui ballottaggi per i comuni sopra i 15 mila abitanti. Una modifica vista negativamente dalle opposizioni. Balboni è anche “favorevole” alle preferenze, pur riconoscendo che “non sono così necessarie” se “le liste sono corte, quattro, cinque o massimo sei candidati”.

Meloni si è sempre dichiarata contro i listini bloccati, ma secondo gli umori che emergono per ora in Parlamento l’idea di reintrodurre le preferenze proprio non alletta FI e Lega. Una novità in cantiere è l’eliminazione dei collegi uninominali, all’interno di una cornice proporzionale con premio di maggioranza. “A noi – dice il capogruppo di FI alla Camera Paolo Barelli – il proporzionale, sempre su base maggioritaria, non dispiace. Sempre maggioritario, quindi, non un proporzionale assoluto. Ma è ancora prematuro”. I tempi non sono stretti se si guarda all’orizzonte della primavera 2027. Se invece dovesse realizzarsi uno scenario di voto anticipato di un anno, non sono escluse accelerazioni non troppo lontane. Intanto nel centrodestra proseguono le riflessioni sul terzo mandato dei governatori.

Il prossimo bivio è entro il 18 maggio, quando scadono i termini del governo per impugnare la legge trentina che introduce il terzo mandato per il presidente della Provincia autonoma. Dopo la sentenza della Consulta che ha fissato a due il limite nelle Regioni ordinarie, le varie anime dell’esecutivo (da una parte la Lega, dall’altra FdI e FI) cercano un punto di caduta. Il tema è stato affrontato nell’ultimo Consiglio dei ministri, mercoledì scorso, e potrebbe tornare sul tavolo il prossimo venerdì. Intanto c’è attesa anche per il parere del Consiglio di Stato sulla finestra elettorale per il Veneto: autunno 2025 o primavera 2026, i due scenari.

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Liliana Segre: «Israele e Palestina, intrappolati nell’odio. Ma la pace resta l’unica via possibile»

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Parole profonde, lucide, amare. Quelle della senatrice a vita Liliana Segre, che in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera si è espressa con fermezza sul conflitto in Medio Oriente, sull’antisemitismo, sulla crisi della democrazia in Europa e nel mondo. «Provo uno sconforto che rasenta la disperazione», ha detto commentando il riaccendersi della guerra tra Israele e Hamas. E ha lanciato un appello accorato: «Due popoli, due Stati resta l’unica via. Nonostante tutto».

«Due popoli in trappola»

Segre descrive il popolo israeliano e quello palestinese come due nazioni «intrappolate, incapaci di liberarsi da una condanna a odiarsi». Una spirale di violenza aggravata, secondo la senatrice, da una classe dirigente dominata dalle «componenti peggiori». Parole durissime su Hamas, definito un «movimento teocratico e sanguinario», e sul governo Netanyahu, che guida Israele con «una destra estremista, iper-nazionalista, con componenti fascistoidi e razziste».

«Il trauma del 7 ottobre – aggiunge – ha certamente imposto una reazione, ma la guerra a Gaza ha assunto connotati inaccettabili. Israele ha oltrepassato i limiti del diritto di difesa, provocando stragi e distruzioni immani».

Nessuna giustificazione per Hamas

Segre è chiara anche su un altro punto: Hamas non è il popolo palestinese. «Non si batte per la libertà del popolo palestinese, ma per distruggere Israele. E lo stesso vale per il regime iraniano, che li usa solo per combattere l’“entità sionista”». Anche Israele ha commesso gravi errori, ma la senatrice ricorda che il ritiro da Gaza nel 2005 apriva una strada verso la pace che è stata vanificata dalla presa del potere violenta di Hamas nel 2006.

«Il genocidio? No, ma crimini di guerra sì»

Nel corso dell’intervista, Segre torna su quanto già affermato in passato: a Gaza si sono visti crimini di guerra e contro l’umanità, da entrambe le parti. Tuttavia, non si può parlare di genocidio: «È un concetto preciso, giuridicamente e storicamente. Le atrocità commesse non bastano a definirlo tale».

La pace come unica via

Nonostante tutto, Segre continua a credere nella soluzione dei due Stati: «Ogni fiammata di violenza rende tutto più difficile, ma non ci sono alternative. Solo la volontà politica può aprire spiragli». E invita a guardare la storia, dove svolte improvvise e impensabili hanno spesso cambiato il corso degli eventi.

«Antisemitismo mai morto, ora è sdoganato»

Un passaggio forte è dedicato al ritorno dell’antisemitismo: «Non era morto, ma nascosto. Ora non ci si vergogna più. Si prende a pretesto la condotta del governo israeliano per giustificare l’odio contro tutto il popolo ebraico, anche contro la diaspora».

L’allarme globale: autoritarismi e il pericolo Trump

Liliana Segre allarga lo sguardo al mondo: «La rielezione di Trump destabilizzerebbe l’ordine globale». Poi punta il dito contro l’ascesa dell’estrema destra in Europa, le interferenze russe, l’influenza di magnati americani nei processi democratici. E una condanna durissima va alla scena dell’incontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky: «Un’umiliazione pubblica che mi ha disgustata. Gli Stati Uniti erano i liberatori dell’Europa dal nazifascismo. Vederli rinnegare quel ruolo è un dolore profondo».

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Politica

Comunali a Bolzano: Corrarati avanti con il 36,5%, Andriollo al 27,6% dopo 75 sezioni scrutinate

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Con lo scrutinio ormai quasi completato, Claudio Corrarati, candidato sindaco del centrodestra, si conferma in netto vantaggio alle elezioni comunali di Bolzano. Dopo lo spoglio di 75 sezioni su 80, l’ex presidente della Cna ha raggiunto il 36,5%, mentre il suo principale sfidante, l’assessore uscente Juri Andriollo del centrosinistra, è fermo al 27,6%.

Nel capoluogo altoatesino, dove il voto è storicamente influenzato dalla composizione linguistica e territoriale eterogenea, il dato resta comunque soggetto a variazioni nelle ultime sezioni. Tuttavia, il vantaggio consolidato di Corrarati fa già pensare con concretezza a un ballottaggio tra due settimane, per il quale sarà decisivo il posizionamento della Svp. La Südtiroler Volkspartei, che governa già con il centrodestra in Provincia, potrebbe sostenere proprio Corrarati, rendendo per lui più agevole la sfida finale.

Il candidato della Svp Stephan Konder è attualmente in terza posizione con il 18,46%, seguito dall’assessore regionale Angelo Gennaccaro (La Civica) con il 12,30%.

A Merano, dopo lo scrutinio parziale (3 sezioni su 28), è avanti il sindaco uscente Dario Dal Medico, sostenuto da liste civiche di centrodestra, con il 38,9%. Lo tallona la sua attuale vice della Svp, Katharina Zeller, al 23,6%, possibile sfidante al ballottaggio.

Situazione ancora in evoluzione a Trento, dove lo scrutinio procede a rilento. Nella notte, nessuna delle 98 sezioni risultava ancora scrutinata. Il sindaco uscente del centrosinistra Franco Ianeselli è considerato favorito, ma una riconferma al primo turno appare difficile.

Il vero dato politico di questa tornata elettorale è però il crollo dell’affluenza. A Bolzano ha votato solo il 52,16% degli aventi diritto, contro il 60,65% del 2020, quando si votò su due giorni. A Trento, l’affluenza è scesa dal 60,98% al 49,93%. A livello provinciale ha votato in Alto Adige il 60% (contro il 65,4% del 2019) e in Trentino il 54,53% (contro il 64,08%).

 

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