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Putin è più “farabutto” di Maduro? E Mohammad Bin Salman al-Saud? Attendiamo nuove da Washington 

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Dunque, vediamo se, almeno qualche volta, parliamo della stessa cosa. Gli Stati Uniti intervengono sistematicamente nelle vicende interne del Venezuela. E’ la dottrina Monroe (1823), bellezza! Come sappiamo, autorizza ideologicamente gli Stati Uniti, grazie a una curiosa “teoria geografica degli emisferi”, a considerare il Continente americano come il cortile di casa. Ma vi sono anche altri pretesti, mediatizzati come altrettante “buone ragioni”. Come dite? Sì, è proprio così. Non c’è solo Putin: tutti -Cina compresa, Stati Uniti compresi- tentano di manipolare la realtà per i loro scopi. Si chiama “guerra politica” e quella più creativa e ad ampio raggio, in questo momento, la sta portando avanti Pechino, a quanto pare.

 

Hugo Chavez. Ex presidente del Venezuela 

Pretesti spacciati per “buone ragioni, dunque: il cuore della “guerra politica”. Per esempio, il “comunismo”. E quindi da qualche tempo, in Venezuela, Chavez e Maduro: insomma, faccende ideologiche. Vecchie, replicative. Come dite? No, non siamo adepti dell’antiamericanismo. Anzi, se proprio volete saperlo, amiamo gli Stati Uniti. La realtà è quella che è. E se se ne parla, bisogna provare a dirla per intero. Del resto, l’interventismo americano in Venezuela lo conoscono tutti. Viene documentato e raccontato in molte parti, compreso uno studio riassuntivo dell’Istituto Affari Internazionali del 2018 che ho davanti a me in questo momento. (https://www.academia.edu/38346285/Focus_euroatlantico_n_10_ottobre_dicembre_2018_).

 Dopo alterne vicende sanzionatorie, indirizzate allo Stato ma che colpiscono pesantemente la popolazione venezuelana (32 milioni di persone), due anni fa, gli USA decidono che il Presidente del Venezuela regolarmente eletto, Nicolas Maduro, è un “farabutto”: bé sì, è questo il lessico della valutazione politica USA, a quanto sembra. O meglio, “farabutto” lo era anche prima, Maduro, ma raggiunge a quel tempo il livello per cui si vieta, tra l’altro, l’acquisto di petrolio. Il Venezuela, tutti voi sapete, è (era) il IV produttore mondiale dopo Arabia Saudita, USA, Russia, con le più grandi riserve planetarie. Il Venezuela è il suo petrolio. Crolla l’economia degli idrocarburi, crolla il Paese. E’ semplice, si dicono a Washington. E difatti, i venezuelani non riescono più a vendere il loro petrolio. La produzione crolla: da 2 milioni di barili al giorno a 500.000. Il popolo venezuelano affonda in questo marasma: fughe massive dal Paese, tra crisi alimentari e sanitarie, corruzione, violenza.

Nicolas Maduro. Presidente del Venezuela, eletto dai venezuelani

Già perché le sanzioni “americane” non dovrebbero significare nulla per gli altri Paesi, visto che sono “americane”, appunto. E difatti è la Cina che importa oggi la quasi totalità del petrolio venezuelano. Ma gli alleati USA seguono gli USA, a quanto pare. Perlomeno l’Italia e la Spagna. Bene: in questi giorni ENI e Repsol, compagnie nazionali di questi due Paesi, sono state autorizzate [dagli USA!] a comprare petrolio da Caracas, nel quadro della crisi ucraina. E dunque per aiutare gli europei a implementare le sanzioni in campo energetico contro la Russia. 

Joe Biden. Presidente degli Usa

Ecco cerchiamo di capire: Maduro non è più un farabutto, o lo è meno di prima? In ogni caso non raggiunge il livello del farabutto massimo, che oggi si chiama Putin. E siccome il sistema energetico mondiale, come che sia, non si può permettere il lusso di più d’un farabutto, ecco che ubi maior…..

Vladimir Putin. Presidente della Federazione Russa

D’altra parte, vista la mala parata che avevano preso le cose dalle parti del Golfo, dove certi “farabuttelli” locali -ma grandissimi produttori di petrolio- non avevano voluto aderire con l’entusiasmo europeo alle sanzioni USA contro la Russia, c’è stato addirittura un arresto preventivo del processo di “fabuttizzazione”. Per cui, tanto per dire, Mohammad bin Salman (nella foto in evidenza) è uscito proprio dal cesto del “farabuttismo”, mentre ha contato molto nella campagna elettorale di J. Biden quando il futuro Presidente si preoccupava di “diritti umani” e lo additava come il responsabile dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita di Istanbul (2018). “Periscano tutte le colonie piuttosto che un principio” ebbe a dire Pierre Samuel du Pont de Nemours nel suo discorso all’Assemblea Nazionale del 15 maggio 1791. Poi si vide come andò, ad esempio con la tratta schiavistica. Qui il principio da combattere per il candidato Biden era “America First”, il cardine della politica estera di D. Trump. Al suo cinismo realpolitico bisognava opporre tutta la fermezza di chi sa dire no, nella difesa dei diritti umani dovunque questi siano calpestati. E ora che Biden è stato eletto Presidente degli Stati Uniti? Bé poche storie: serve il farabutto che serve. Che a volte si chiama Maduro, a volte bin Salman mentre ora si chiama, semplicemente, Putin.   

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Maradona, nuove rivelazioni dal processo: «Luque vietò l’ingresso ai medici chiamati dalle figlie»

Il chirurgo che seguì Diego negli ultimi giorni avrebbe impedito le valutazioni cliniche dopo l’intervento alla testa.

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Durante il processo per la morte di Diego Armando Maradona, il dottor Fernando Villarejo, capo del reparto di terapia intensiva della clinica Olivos, ha rilasciato dichiarazioni importanti e potenzialmente decisive. Secondo il medico, Leopoldo Luque, il neurochirurgo a capo del team che seguì Maradona negli ultimi giorni, avrebbe impedito l’accessoad altri specialisti che volevano visitare l’ex campione dopo l’intervento alla testa del 3 novembre 2020.

Medici bloccati all’ingresso: «Chiamati dalle figlie»

Villarejo ha precisato che i medici esclusi erano stati convocati dalle figlie di Maradona, tra cui il dottor Mario Schitere una psichiatra. Il loro compito era valutare la possibilità di un trasferimento del paziente in una struttura di riabilitazione, data la complessità della sua condizione clinica.

«Luque ha vietato l’ingresso ai medici che dovevano valutare Maradona», ha dichiarato Villarejo in aula, definendo il divieto «strano e intempestivo».

Cartella clinica: «Pluripatologie di difficile controllo»

Nonostante il divieto, il dottor Villarejo è riuscito comunque a consultare la cartella clinica di Maradona, dalla quale ha tratto conclusioni preoccupanti: il paziente era ancora in condizioni critiche, affetto da patologie complesse e difficili da gestire.

«Era un paziente molto complesso», ha spiegato, «e necessitava di un monitoraggio costante e di interventi mirati, che forse non gli sono stati garantiti».

Un processo che riaccende i riflettori sulla gestione medica

Le parole di Villarejo si inseriscono in un processo delicato, che mira a chiarire eventuali responsabilità e negligenzenella gestione sanitaria del più grande calciatore argentino. Il comportamento di Luque e le decisioni prese nei giorni successivi all’intervento chirurgico saranno al centro dell’analisi dei giudici.

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La crociata di Ursula contro ‘i populisti filo-Putin’

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Lontano dalle suggestioni populiste, fermamente contro gli “estremisti di destra e di sinistra che non sono a favore della pace ma sono amici di Putin”, per usare le parole di Ursula Von der Leyen. E’ il Partito popolare europeo che si è ritrovato al Congresso di Valencia forte di una stagione di successi elettorali, a trazione sempre più tedesca, convinto di essere il motore propulsore di un’Europa che vuole rilanciarsi ed essere sempre più protagonista anche fuori dai confini dei 27. L’Europa disegnata dai popolari è un’entità politica capace di difendere i propri interessi nei confronti dell’alleato tradizionale, gli Usa, ma anche in grado di aprirsi nei confronti dei mercati emergenti, dalla Cina all’India, dall’Australia ai Paesi del Mercosur. Impegnata a voltare pagina sul fronte della difesa comune, della crescita e della lotta ai clandestini. L’asse formato da Ursula Von der Leyen, l’applauditissimo cancelliere in pectore Merz e il neo eletto presidente del partito, Manfred Weber tiene banco e dà la linea. “L’Europa è la nostra casa. E la nostra prima missione è proteggere il luogo che tutti chiamiamo casa”, ha sintetizzato Ursula Von der Leyen.

“Abbiamo vinto le ultime europee – ha detto Manfred Weber – grazie all’allargamento della famiglia del Ppe: non sono più conservatori o liberali ma stanno con noi. Il Ppe è il partito dell’Europa, dello stato di diritto. Viktor Orban se ne andrà in pensione e la nuova Ungheria sarà popolare”, ha aggiunto Weber tra gli applausi. Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha concordato sulla necessità per l’Unione europea di “voltare pagina”, a partire dalla lotta contro l’eccesiva burocratizzazione legislativa. E soprattutto chiudendo quanto prima la stagione del Green Deal, lasciandosi alle spalle “quella visione di Timmermans e di Greta Thunberg che – ha osservato il leader azzurro – aveva creato una sorta di dea natura, una forma di panteismo che non teneva conto della presenza dell’uomo, facendo perdere decine se non centinaia di migliaia di posti di lavoro”. Dalla pace in Ucraina, alla tensione con Trump sui dazi, dalla lotta contro l’immigrazione clandestina alla partita sulla crescita, il Ppe serra le file sulla responsabilità della leadership europea, consapevole che l’Unione, con i suoi valori e la sua storia, è destinata ad avere un ruolo centrale, in prima fila, nel mondo del futuro. L’Europa a guida popolare lancia poi un monito a Trump: “I mercati globali – ha ammonito Von der Leyen – sono scossi dall’imprevedibile politica tariffaria dell’amministrazione Usa. I loro dazi sul resto del mondo sono ai massimi da un secolo a questa parte. Le tariffe sono come le tasse. Fanno male sia ai consumatori che alle imprese. Non possiamo e non dobbiamo permettere che questo accada”.

Un partito popolare e una Commissione europea che oggi può incassare la discesa in campo di una sua nuova e fondamentale supporter, la Germania a guida Merz, il cui intervento è stato quello più applaudito nella sede della Fiera di Valencia. “Se altri Paesi mettono in discussione la legittimità della difesa dei confini e della sovranità – ha ammonito Merz – noi lotteremo ancora più forte a favore di questi valori”. Molto determinato anche sul dossier difesa: “Dobbiamo lavorare insieme come mai prima, con una sola voce, soprattutto sulla difesa: dobbiamo essere pragmatici nel nuovo progetto. Tutto deve avvenire nella cornice Nato ma dobbiamo essere capaci di difenderci meglio che nel passato”, ha concluso tra gli applausi.

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Tre morti in una sparatoria in Svezia, caccia al killer

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Una sparatoria davanti a un barbiere in pieno centro, tre morti a terra, l’aggressore in fuga. La città universitaria di Uppsala, in Svezia, è sotto shock. Alle 17:04 è scattato l’allarme con molte segnalazioni di spari uditi nel centro abitato a 70 km a nord di Stoccolma. Sul posto sono intervenuti i soccorritori e la polizia e, secondo diverse testimonianze, tre ambulanze si sono allontanate a sirene spiegate. Attorno alle 19:30 la polizia ha dichiarato che le vittime sono tre e di non averle ancora indentificate. “Si indaga per omicidio”, si legge sul sito internet della polizia. Un testimone ha detto al quotidiano Aftonbladet di aver visto un uomo su un monopattino elettrico pochi istanti prima della sparatoria: poi ha sentito gli spari e si è rifugiato in un locale nelle vicinanze.

“Stiamo lavorando a pieno ritmo e abbiamo molto lavoro da fare”, ha dichiarato il portavoce della polizia Magnus Jansson Klarin. Gli agenti confermano che sono giunte segnalazioni di un uomo con una maschera che si è allontanato dalla scena a bordo di un monopattino e che stanno cercando una o più persone. Una grossa area attorno alla scena del crimine è stata transennata mentre in serata era ancora in corso una maxi caccia all’uomo con l’ausilio di un elicottero, droni e diverse unità cinofile. Le ricerche sono ancora più complesse dalla vigilia di Valpurgis, una festività svedese particolarmente sentita nella città universitaria di Uppsala che annualmente si trasforma in un enorme festival studentesco.

Per le strade ci sono dunque più persone del solito ma per la polizia non sarebbero in pericolo: “In questo momento non riteniamo che ci sia un pericolo per il pubblico. Ci tengo a sottolinearlo visto che molte persone sono in giro per i festeggiamenti”, ha aggiunto Jansson Klarin, citato da Aftonbladet. “Questo è avvenuto mentre Uppsala stava iniziando i festeggiamenti di Valborg”, ha dichiarato il ministro della giustizia svedese, Gunnar Strömmer. “Ciò che è successo è estremamente grave. Il ministero di giustizia tiene uno stretto contatto con la polizia e segue con attenzione gli sviluppi” ha aggiunto Strömmer, citato dalla radio pubblica Sveriges Radio. Il quartiere dove è avvenuta la sparatoria è molto tranquillo, un misto di zona residenziale e negozi a poca distanza dalla stazione ferroviaria e non è nota per episodi violenti in passato.

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