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Economia

La Crescita del pil Usa supererà quello della Cina, è la prima volta dal ’74

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Per la prima volta dal 1974 l’economia Usa avra’ un tasso di crescita media annuale piu’ alto di quella cinese nel 2022: lo storico sorpasso e’ previsto da un rapporto di Bloomberg, secondo cui il Pil americano aumentera’ quest’anno del 2,8%, contro il 2% di quello di Pechino, rallentato in particolare dal lockdown contro la pandemia. Gli Stati Uniti avevano gia’ messo la freccia nell’ultimo trimestre dello scorso anno, con un +5,% contro il +4% di Pechino. Un risultato, quello per il 2022, che la Casa Bianca ha subito sbandierato su Twitter, in coincidenza col primo viaggio di Joe Biden come presidente in Asia, per unire il fronte anti Cina. La previsione di Bloomberg e’ una media in uno spettro che nella migliore delle ipotesi prevede una crescita di oltre il 4% ma che esclude tassativamente il target del 5,5% annunciato da Pechino. Se l’analisi verra’ confermata, sara’ la prima volta che il ritmo di crescita del Dragone scende sotto quello degli Stati Uniti dopo quasi mezzo secolo, quando la Cina emerse come una crescente potenza economica dal tumultuoso decennio della rivoluzione culturale, secondo i dati della Banca Mondiale. Una espansione rapida, anche se resta da colmare il gap del reddito pro-capite. Nonostante Pechino stia applicando misure di stimolo sul piano fiscale, monetario e regolatorio, la crescita risulta frenata dall’impatto della politica ‘Covid zero’ del presidente Xi Jinping, che richiede una severa riduzione delle attivita’ quando si registrano impennate del virus. Gli Usa invece, nonostante fatichino a contenere una inflazione record, vedono una economia in espansione, alimentata da un solido mercato del lavoro e una incoraggiante spesa dei consumatori. Il sorpasso e’ una buona notizia per Biden, che ha forgiato la sua agenda in parte con lo scopo di dimostrare che le democrazie possono competere e fare meglio delle autocrazie. Il presidente sta spingendo il Congresso anche per rafforzare la competitiva’ delle aziende Usa contro la Cina. Per Xi invece si tratta di un campanello d’allarme, anche in vista della attesa conquista in autunno di un terzo mandato come capo del partito comunista: una crescita del 2% sarebbe quasi due terzi in meno del previsto e al di sotto anche del 2020, quando la pandemia rallento’ l’incremento del pil a +2,2%.

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Economia

Inflazione, Codacons: con record cacao e caffè rischi rincari

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E’ boom per le quotazioni di cacao e caffè, con i prezzi delle due materie prime che sui mercati internazionali stanno raggiungendo nuovi preoccupanti record, aumenti che potrebbero portare a breve a forti rincari dei listini al dettaglio per una moltitudine di prodotti venduti in Italia. L’allarme arriva oggi dal Codacons, che ha monitorato l’andamento delle quotazioni negli ultimi mesi. A inizio gennaio il prezzo del cacao era pari a circa 4.250 dollari la tonnellata, mentre ieri, mercoledì 24 aprile, le quotazioni sui mercati avevano raggiunto quota 10.800 dollari, con un incremento del +154% da inizio anno, riporta il Codacons. Trend analogo si registra per il caffè, con il Robusta che è passato dai 2.800 dollari la tonnellata dello scorso gennaio ai 4.250 dollari del 24 aprile, segnando un +51,8%, mentre l’Arabica nello stesso periodo sale da 190 a 224 centesimi alla libbra (+18%).

Quotazioni alle stelle che interessano materie prime utilizzate per prodotti molto consumati in Italia, e che rischiano di determinare rincari a raffica per i prezzi al dettaglio di una moltitudine di alimenti, lancia l’allarme il Codacons. Basti pensare che solo per i prodotti a base di cacao e caffè gli italiani spendono oltre 10,2 miliardi di euro all’anno, circa 392 euro a famiglia: il giro d’affari del cioccolato nel nostro Paese è di circa 2 miliardi di euro, con un consumo procapite di circa 2 kg. Cialde e capsule valgono 595 milioni di euro annui, mentre il caffè per moka registra vendite per 640 milioni di euro. 7 miliardi di euro il business del caffè espresso consumato al bar. I prezzi al dettaglio hanno già risentito nell’ultimo periodo dell’andamento delle quotazioni, con i prezzi di prodotti a base di cacao e caffè che sono aumentati sensibilmente rispetto allo scorso anno – aggiunge il Codacons. Ipotizzando un rincaro medio dei listini al dettaglio del +5% come effetto dei rialzi delle materie prime, i consumatori andrebbero incontro ad una nuova stangata da 510 milioni di euro solo per i consumi di caffè e cioccolato.

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Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

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Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

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Bhp offre 36 miliardi per il rame di Anglo American

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Scossone nel mondo delle materie prime. Bhp, il primo gruppo mondiale, un gigante da 120 miliardi di sterline di capitalizzazione di Borsa, sta cercando di mettere le mani su un altro colosso del settore, Anglo American, ingolosito dalle sue miniere di rame, metallo reso sempre più ricercato e costoso dal ruolo centrale che riveste nei processi di transizione energetica e di elettrificazione. La multinazionale con sede a Melbourne, in Australia, ha inviato ad Anglo American una proposta di fusione attraverso uno scambio azionario che valuta la concorrente 31,1 miliardi di sterline (36 miliardi di euro), incluse le partecipazioni nelle controllate quotate Anglo American Platinum e Kumba (ferro), di cui è prevista la distribuzione agli azionisti di Anglo American prima della fusione.

L’offerta, che valuta le azioni 25,08 sterline l’una, ha fatto impennare il titolo alla Borsa di Londra, salito del 16,1% a 25,6 sterline, sopra il prezzo offerto da Bhp. Segno che la proposta degli australiani potrebbe non bastare: secondo gli analisti di Jefferies serviranno almeno 28 sterline ad azione per avviare “serie discussioni” e “ben più di 30” nel caso in cui si facessero sotto altri pretendenti. Il cda di Anglo American ha fatto sapere che sta analizzando l’offerta, che Bhp dovrà confermare o ritirare entro il 22 maggio. Ma non è questo l’unico ostacolo che Bhp si troverà ad affrontare. Anzitutto l’operazione passerà al setaccio delle autorità antitrust di diversi Paesi – dall’Australia, al Sudafrica, al Cile – alla luce del rafforzamento della posizione di Bhp in alcuni mercati, a partire da quello del rame, di cui diventerebbe da terzo a primo produttore mondiale, con una quota di mercato di circa il 10% e una produzione annua superiore ai due milioni di tonnellate.

In secondo luogo occorrerà convincere il governo sudafricano, dove si trovano un quinto degli asset di Anglo American e che controlla il primo azionista del gruppo, il fondo pensione Pic. Il ministro delle Risorse minerarie, Gwede Mantashe, ha già chiarito all’Ft di non vedere di buon occhio l’operazione avendo avuto un’esperienza “non positiva” con Bhp in occasione dell’acquisizione di Billiton nel 2001, tradottasi in un impoverimento per l’industria mineraria del Paese. Pic ha dichiarato che valuterà l’offerta ma ha precisato che le nuove opportunità dovranno tener conto del ruolo “fondamentale” che il settore minerario riveste per l’economia sudafricana e i suoi stakeholder e della “sostenibilità a lungo termine”. Oltre ad “aumentare l’esposizione alle materie prime del futuro” integrando “gli asset di livello mondiale nel rame di Anglo American”, Bhp ha detto di essere interessata alle attività nei metalli ferrosi e nel carbone metallurgico australiano mentre gli altri asset, inclusa la quota nel produttore di diamanti De Beers, saranno sottoposti a “revisione strategica” e dunque potrebbero essere messi sul mercato a valle dell’acquisizione.

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