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Uccise i due poliziotti di Trieste Matteo Demenego e Pierluigi Rotta ma per i giudici “non è imputabile”

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Assolto in quanto ritenuto non imputabile. Il dispositivo della sentenza della Corte d’Assise di Trieste a carico di Alejandro Augusto Stephan Meran e’ stato letto questa sera, dopo oltre 3 ore di Camera di Consiglio. Meran, di origini dominicane, era accusato di aver ucciso gli agenti Matteo Demenego e Pierluigi Rotta durante una sparatoria in Questura a Trieste il 4 ottobre 2019. Nei suoi confronti sara’ applicata una misura di sicurezza detentiva del ricovero in una una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) per la durata minima di 30 anni. “Un processo vergognoso, un verdetto vergognoso. Mi vergogno di essere italiano”, le poche parole del padre di Demenego, Fabio. Momenti di concitazione, poi nell’abbandonare l’aula quando, a quanto si apprende, il fratello di Demenego avrebbe spintonato la difesa.

Pierluigi Rotta e Matteo Demenego. I funerali dei due agenti della polizia di Stato assassinati a Trieste

“La decisione – cosi’ il procuratore capo, Antonio De Nicolo – e’ il risultato di cio’ che gli elementi processuali portavano a ritenere. Non e’ che sono sono soddisfattissimo, perche’ mi rendo conto che questa e’ una tragedia che termina lasciando l’amaro in bocca su tanti, ma questa e’ la conclusione necessitata dalla norme che abbiamo”. Questa mattina a chiedere l’assoluzione dell’imputato, “e non a cuor leggero”, era stata per prima la pm Federica Riolino, al termine di quasi un’ora di requisitoria. Alla base della richiesta, tra le altre cose, gli esiti della perizia psichiatrica richiesta dalla Corte, secondo la quale “all’epoca dei fatti Meran era gia’ schizofrenico”: esclusa “totalmente la sua capacita’ di volere”. Nell’arringa finale la difesa, rappresentata dagli avvocati Paolo e Alice Bevilacqua, aveva insistito proprio sulla “totale infermita’”: “Il nostro grido va alle istituzioni” e alla “fallacia” registrata nella gestione della malattia, aveva detto Paolo Bevilacqua. Dalle parti civili era arrivata, univoca, invece la richiesta di condanna. “Proporremo immediatamente una istanza al procuratore generale presso la corte d’appello” affinche’ possa procedere “lui ad appellare la sentenza di assoluzione, poiche’ e’ ovvio che la Procura che ha chiesto l’assoluzione non proporra’ sicuramente appello alla sentenza”, hanno sottolineato Valter Biscotti e Ilaria Pignattini, che rappresentano Fervicredo, lasciando l’aula. I fatti. E’ il pomeriggio del 4 ottobre 2019. Meran, come ricostruisce la Polizia, viene accompagnato da alcuni agenti in Questura per il furto di un motorino. Con lui, che soffre di disturbi psichici, il fratello e la madre. Alejandro chiede di andare in bagno: quando esce riesce a impossessarsi della pistola di Rotta e lo ferisce a morte. Uditi gli spari Demenego accorre e a sua volta viene colpito e ucciso. Accade tutto in pochi minuti. Alejandro tenta di imboccare le scale ai piani superiori sparando ad alcuni agenti. Poi desiste e cerca di guadagnare l’uscita attraversando l’atrio, impugnando entrambe le pistole e sparando contro gli agenti del corpo di guardia che rispondono: uno di loro viene ferito. Fuori sara’ fermato. La citta’ e’ sotto shock, il Paese si chiude nel dolore. Meran oggi e’ detenuto nel carcere di Verona, reparto infermieristica. Non e’ mai intervenuto in aula. A inizio processo, nella sua lettera di rinuncia a comparire, aveva chiesto “scusa per i fatti gravi”.

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Chico Forti in Italia: tra buona condotta e benefici, ipotesi libertà vigilata

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In Italia Chico Forti potrebbe ottenere la libertà condizionale. Lo conferma l’avvocato Alexandro Tirelli, già consulente dello zio di Forti e presidente delle Camere penali internazionali. Un beneficio che si può concedere “dopo 26 anni dall’applicazione dell’ergastolo e se il condannato resipiscente ha dimostrato condotta irreprensibile”. L’ordinamento italiano, spiega Tirelli, “non prevede il ‘fine pena mai’ per un omicidio volontario, ovvero l’ergastolo ostativo e Forti negli Stati Uniti è stato condannato al ‘lifetime without parole’, corrispondente appunto al fine pena mai.

Lì ha già scontato tra i 24 e i 25 anni di detenzione, quindi allo scadere del 26/o anno di prigionia (ergastolo nominale, ndr) potrebbe chiedere di essere liberato e ottenere la libertà vigilata”. Dunque, “potrebbe uscire dal carcere e cominciare il periodo di cinque anni di libertà vigilata al termine del quale, se non avrà commesso ulteriori reati, potrà ottenere la piena libertà, cioè il fine pena”. Il surfista e produttore televisivo trentino, fu condannato nel 2000 all’ergastolo “lifetime without parole” da un tribunale della Florida per l’omicidio premeditato di un imprenditore australiano, quindi, “avendo già scontato ormai 24 anni, ritengo che il Tribunale di sorveglianza debba riconoscergli i benefici di legge: uno sconto di pena di tre mesi per ogni anno di pena sofferta in prigione”, spiega il legale.

E ricorda che “se l’amministrazione Trump, come quella di Biden, sono sempre state favorevoli, per quanto riguarda il caso Forti, all’applicazione del trattato tra i due Paesi in base al quale una persona condannata in Italia o negli Stati Uniti può scontare una parte residuale della pena in patria, Ron DeSantis, governatore della Florida, è sempre stato contrario”. In punta di dottrina, Forti non è stato estradato, gli è soltanto stato concesso di venire in Italia per scontare il residuo della pena. “Gli americani quando decisero di consegnarlo all’Italia – spiega Tirelli – imposero la condizione che venisse rispettata la sentenza americana. Condizione, come dicevo, dal mio punto di vista irrealizzabile: non si può irrogare una pena non prevista dal codice. In Italia l’ergastolo ostativo è inflitto solo per omicidi di mafia o fatti internazionali”.

C’è un’altra eventualità: in caso di “problemi di salute potrebbe anche arrivare un provvedimento clemenziale”. Il legale è convinto che uno degli ostacoli superati nelle trattative per il rilascio, sia stato che Forti accettasse il verdetto della giustizia americana e “non diffamasse il sistema di giustizia americano”. Condizione quest’ultima da rispettare anche una volta giunto in Italia. “Credo questa sia stata la chiave di volta ed infatti Forti, che fino a dicembre si dichiarava innocente, ha poi accettato il verdetto della giustizia americana. Oggi è finalmente in Italia”, conclude il legale.

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Atti di bullismo su una carabiniera, la denuncia alla procura militare

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Un presunto atto di bullismo in caserma a Modena, ai danni di una giovane carabiniera, è stato segnalato dal sindacato Nsc. “Auspichiamo una ferma indagine della Procura ordinaria e militare”, dice il segretario generale dell’Emilia-Romagna Giovanni Morgese su Facebook. Il sindacato Nsc non fornisce dettagli su quanto avvenuto, parla di “gesto intollerabile” e dice già che valuterà la costituzione di parte civile.

L’episodio oggetto della segnalazione, secondo quanto si è potuto apprendere, sarebbe avvenuto nei giorni scorsi, all’ingresso di una caserma, quando un superiore avrebbe apposto dei tratti di penna con un “visto”, sulla fronte della carabiniera. Un gesto che sarebbe emerso in un contesto ancora da definire, ma sarebbe circolato con foto in chat e che è stato oggetto di una relazione all’Autorità da chi l’ha saputo.

La Procura Militare, informata nell’immediatezza dall’Arma, avrebbe nei giorni scorsi disposto gli indispensabili approfondimenti investigativi per comprendere le esatte circostanze e le motivazioni del riferito gesto mentre l’Arma ha già avviato le procedure interne per la valutazione disciplinare del personale coinvolto nella vicenda e il suo trasferimento in altre sedi. Anche la Procura ordinaria di Modena si sarebbe attivata, aprendo un fascicolo e disponendo indagini.

Anche il sindacato Unarma è intervenuto, con il segretario provinciale Antonio Loparco: “Pensavamo subito ad uno scherzo, oppure ad una scena di un film comico. Pensiamo che la cosa, come riportata, sia davvero molto grave. Da genitori e coniugi, non immaginiamo l’effetto che può provocare ai familiari della carabiniera appena hanno appreso la notizia. Una cosa inaudita senza precedenti. Che provoca un discredito irreparabile all’Arma dei Carabinieri”.

L’avvocato Luca Camaggi, difensore dell’ufficiale in questione, in una nota ha detto che pur non volendo entrare nel merito, il suo assistito “intende precisare che la narrazione che degli stessi è stata data è quanto di più distante dai principi e dai valori che hanno sempre guidato il suo agire. Siamo certi che nelle sedi opportune ci sarà modo di offrire una ricostruzione veritiera dell’episodio, da non potersi certo ricondurre a gesti ridicolizzanti o offensivi della collega del comandante”. Sempre a Modena, è di ieri la notizia della richiesta di rinvio a giudizio per il tenente colonnello Giampaolo Cati, accusato di stalking ai danni di 11 sottoposti al centro ippico dell’Accademia militare, con condotte sessiste e umilianti. A marzo, ancora nella città emiliana, due ufficiali dell’Arma sono stati trasferiti dopo il caso dei video del brigadiere che picchiava persone fermate.

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Ucciso a 5 mesi dal pitbull, procura apre un’inchiesta

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Per il neonato ucciso ieri dal cane di casa, un pitbull, la procura di Vercelli ha aperto un fascicolo per appurare eventuali responsabilità. Il piccolo Michele, 5 mesi, era stato azzannato dall’animale nel tardo pomeriggio, mentre era nel cortile di casa a Palazzolo (Vercelli) con la nonna che lo accudiva, mentre i genitori si erano allontanati come accadeva ogni tanto, per la spesa o per seguire dei lavori di risistemazione di un’altra casa. La nonna ora è in ospedale a Vercelli, per lievi ferite riportate durante l’aggressione avvenuta da parte del cane, ma soprattutto perché sotto shock per l’accaduto.

Il bambino era stato improvvisamente assalito dal cane di proprietà dei genitori: l’animale aveva puntato più volte alla parte posteriore del collo e al cranio. Titolare dell’indagine è il sostituto procuratore Michele Paternò e al momento è stato disposto il sequestro del cane, Nerone, un pitbull di otto anni, per motivi di sicurezza e per verificare un’eventuale indole pericolosa. L’animale ora si trova quindi in un canile della zona. L’inchiesta è indirizzata anche all’accertamento di eventuali negligenze da parte dei proprietari del cane e ieri sera sarebbero stati portati via dall’abitazione dove la coppia viveva con bebè e nonna, altri due cani di proprietà della famiglia.

Erano stati gli stessi genitori, una volta rientrati in casa, a lanciare l’allarme e a portare il figlio in fin di vita verso l’elisoccorso, atterrato nel campo sportivo del paese per un tentativo estremo di salvarlo. Animalisti e associazioni dei consumatori hanno reagito chiedendo nuovamente di regolamentare “con urgenza la detenzione di determinate razze o simil-razze” come sottolinea ad esempio l’Oipa. I casi simili infatti si ripetono, dal bambino di un anno morto a Eboli, ad altre due aggressioni finite senza conseguenze estreme nel Foggiano, ai danni di una bimba e di un’adolescente, di cui era stata data notizia proprio ieri.

Viene inoltre evidenziato dal Codacons come “l’aver eliminato la lista delle 17 razze di cani a rischio introdotta dall’ ex ministro Sirchia ha di fatto cancellato qualsiasi obbligo per i loro proprietari, con conseguenze negative sul fronte della sicurezza”, chiedendo un “patentino per i cani potenzialmente pericolosi”. Dall’Aidaa, che esprime vicinanza alla famiglia, arriva intanto un appello anche per il pitbull: “Annunciamo fin da ora che faremo tutto il possibile per garantire salva la vita di quel cane, che in fondo si è solo comportato come il suo istinto gli ha suggerito”.

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