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Putin recluta nuovi coscritti e addestra mercenari per riorganizzare la guerra fallimentare all’Ucraina

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Non solo le speranze di una tregua in Ucraina sfumate subito, ma anche un aggiustamento della strategia militare di Mosca che fa pensare a nuove e imminenti offensive russe. Mentre continuano i tentativi di mediazione infatti, Putin sembra tenere gli occhi fermi sul campo dove non intende cedere, anzi. Riorganizza piuttosto: non si ritira ma si rafforza. L’obiettivo e’ potenziare l’operazione militare in Donbass e mantenere allo stesso tempo la pressione su Kiev. E lo scopo ultimo resta immutato: la soluzione militare. Questo lo schema ricostruito con le indicazioni dell’intelligence e cui fa riferimento la Nato. Il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, parlando a Bruxelles, non lascia molto spazio a dubbi: “Ci possiamo aspettare altre azioni militari e ancora piu’ sofferenza”. Per Mosca, quindi, la parola chiave adesso e’ ‘regrouping’, una riorganizzazione che passa inevitabilmente dal rafforzamento del fronte per colmare le perdite di uomini che, pur difficili da conteggiare, per l’esercito russo in oltre un mese di guerra hanno raggiunto livelli di sicuro inaspettati. Quindi via con le nuove coscrizioni con una chiamata alle armi per 134.500 cittadini russi, di eta’ compresa tra i 18 e i 27 anni che non sono nella riserva. Putin lo ha messo nero su bianco con un apposito decreto, firmato oggi, e che fissa fra l’1 aprile e il 15 luglio 2022 la campagna di coscrizione. Potrebbe pero’ non bastare: per questo l’addestramento di mercenari in Siria, che sarebbe gia’ in corso secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani nel Paese arabo. Le forze russe avrebbero cominciato, nella regione costiera siriana e nella Siria centrale, l’addestramento di migliaia di mercenari locali inquadrati in gruppi armati filo-governativi siriani gia’ finanziati da Mosca, ponti a sbarcare in Europa. Sono “carne da cannone” destinata a cercare di limitare le perdite tra le forze regolari, commenta Jeremy Fleming, capo della Gchq, una delle agenzie d’intelligence britanniche che traccia un ulteriore scenario, parlando di “un enorme errore di calcolo” dietro le difficolta’ attribuite alle forze russe in Ucraina, ma anche un allarmante – per Mosca – calo del morale fra i soldati russi, alcuni dei quali si sarebbero addirittura rifiutati di eseguire gli ordini. Ad ogni modo, se di errore di valutazione si e’ trattato, la popolazione russa sembra essersi convinta che si tratti di un errore di poco conto, un errore per il quale comunque non intende punire il suo leader, cui e’ invece determinata a confermare la fiducia, al punto che Putin non perde consensi ma anzi li guadagna. Almeno se e’ vero quanto rileva un recente studio dell’Istituto statistico indipendente Levada, secondo cui il tasso di approvazione dei russi per il loro presidente e’ balzato all’83%, ai massimi degli ultimi anni, mentre sono il 69% coloro che ritengono che Mosca stia andando nella giusta direzione con la cosiddetta ‘operazione speciale militare’ in Ucraina. In febbraio il tasso di gradimento per Putin era al 71% e coloro che ritenevano che il Paese si muovesse nella giusta direzione erano il 52%.

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Raisi, delfino di Khamenei e ariete anti-Israele

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Ultraconservatore, ex giudice capo della magistratura iraniana, ayatollah delfino della Guida Suprema Ali Khamenei e in pole position per la successione, il presidente Ebrahim Raisi si è dimostrato un intransigente nemico di Israele, degli Stati Uniti e dell’Occidente ma anche delle rivali monarchie del Golfo in politica estera e un inflessibile tutore del regime islamico in politica interna. E’ stato eletto nel giugno del 2021 a succedere al moderato Hassan Rohan con il 62% dei voti in un’elezione nella quale si è toccata la più bassa affluenza alle urne della storia della Repubblica Islamica. Raisi si è trovato imbrigliato in una crisi economica generata dalle sanzioni occidentali, con elevata disoccupazione e inflazione alle stelle, sulla quale si è innestata la crisi del Covid-19.

Ma molti osservatori notano come la sua priorità quasi ossessiva fosse il mantenimento della sicurezza interna e un incremento delle spese per la difesa piuttosto che i problemi sociali ed economici nei quali la società iraniana si è avvitata. Sotto di lui nel settembre 2022 è dilagò l’ondata di proteste seguite alla morte della giovane Mahsa Amini, alla quale rispose con un ulteriore irrigidimento dell’ordine pubblico, con una serie di condanne a morte. Una tendenza, del resto, perfettamente in linea con il suo passato.

Nato il 14 dicembre del 1960 nella città santa di Mashhad, neanche 19enne, quando la rivoluzione islamica guidata da Ruhollah Khomeini trionfò, quasi subito entrò a far parte delle corti rivoluzionarie, dove fece una rapida carriera, che per i suoi oppositori resta piena di punti oscuri. Da giovane procuratore aggiunto di Teheran fu tra i 4 membri della cosiddetta Commissione della morte che nel 1988 fece impiccare in modo sommario migliaia di dissidenti, soprattutto attivisti di sinistra: almeno 3 mila esecuzioni accertate, per alcuni fino a 30 mila.

“A chi ci parla di compassione islamica e perdono, noi rispondiamo che affronteremo i rivoltosi fino alla fine e sradicheremo la sedizione”, aveva ribadito anche durante la repressione delle proteste del Movimento Verde, che nel 2009 si opponeva alla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad. Con in capo il turbante nero, simbolo dei discendenti del profeta Maometto (i sayyid), è ritenuto un delfino e possibile successore dell’anziana Guida suprema Ali Khamenei, fu suo allievo di giurisprudenza islamica. Dopo aver fallito quattro anni fa la corsa alla presidenza, Khamenei lo promosse capo dell’apparato giudiziario per i suoi “meriti” nell’aver salvato la Rivoluzione.

Sotto il suo impulso è ripartito il programma di arricchimento dell’uranio, dopo un periodo di stallo seguito all’uscita unilaterale degli Stati Uniti di Trump dall’accordo sul nucleare del 2015, e si è estesa, potenziata e perfezionata la guerra per procura in tutta la regione mediorientale, dall’Iraq alla Siria, da Libano e Gaza allo Yemen. Nel marzo del 2023, a sorpresa, ripristinò le relazioni diplomatiche di Teheran con l’Arabia Saudita, malgrado l’attrito in corso fra la monarchia i ribelli sciiti suoi protegées Houthi nello Yemen. Dando così prova di realismo politico e forse aprendo la strada a mosse di maggior respiro strategico, pochi mesi prima dello scoppio della guerra a Gaza con il sanguinoso attacco di Hamas a Israele, dietro al quale s’intravvede la lunga mano di Teheran. Guerra che ha portato anche al primo scontro diretto con l’arcinemico israeliano, con lo scambio di missili dello scorso aprile.

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Fico fuori pericolo, non esclusa più la pista del gruppo

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Non è più in pericolo di vita il premier slovacco Robert Fico, colpito mercoledì scorso dai proiettili di Juraj Cintula, il 71enne da ieri in custodia cautelare. Ma le indagini mostrano uno scenario più complesso di quanto si fosse ritenuto fino ad ora: a colpire infatti potrebbe non essere stato un “lupo solitario” e adesso si segue anche la pista di un “gruppo” dietro il tentato omicidio di mercoledì scorso. A riferire di questa ipotesi è stato il governo in una conferenza stampa a Bratislava, nella quale si è annunciata un’energica stretta sulla sicurezza. L’elemento che avrebbe fatto virare gli inquirenti è la circostanza che, due ore dopo l’aggressione, l’intera comunicazione di Cintola su Facebook fosse stata cancellata. “E non è stato né lui, né sua moglie”, ha scandito il ministro dell’Interno, Matus Sutaj Estock, davanti ai giornalisti. Si lavora dunque sull’ipotesi che l’attentatore si muovesse in un gruppo di persone, che si incitavano reciprocamente a commettere l’agguato.

“Dobbiamo salvare la democrazia slovacca”, ha esordito il ministro della Difesa Robert Kalinak, che regge l’esecutivo populista ad interim. Mentre per il collega Estock, “la Slovacchia è ferita perché quello che è accaduto è un attacco alla democrazia. Siamo qui per un messaggio chiaro: il governo fa di tutto per garantire la sicurezza al Paese”. “La polizia e le forze di sicurezza devono essere pronti a proteggere la gente. Tutti gli agenti sono nelle strade e vengono monitorati centri commerciali, esponenti costituzionali, politici che hanno ricevuto minacce di morte”, ha spiegato. “Saranno monitorate redazioni e televisioni, edifici importanti e internet”. Inoltre è stata rafforzata la sorveglianza degli ospedali, dal momento che, secondo i Servizi, ci sono minacce analoghe a quelle che di recente hanno colpito le scuole: “prima dell’attentato erano state circa 1000 le minacce bombe negli istituti scolastici slovacchi”.

“La paura di un attacco sistematico complica le cose”, ha aggiunto Kalinak. E a un cronista che ha chiesto se ci siano in vista modifiche legislative ha risposto: “ne parlerei se le avessi già delineate”. Intanto all’ospedale Roosevelt di Banska Bystrica, i medici sono finalmente apparsi sollevati, anche se non prevedono di trasportare il primo ministro a Bratislava. “Siamo tutti un po’ più tranquilli”, aveva detto in mattinata Kalinak, commentando il bollettino medico di Fico, che è anche uno dei suoi più cari amici. “Il primo ministro è uscito dall’ombra di un pericolo imminente per la sua vita, ma le condizioni restano gravi e richiedono ancora cure mediche intensive”. “Le complicazioni sono state evitate e le condizioni sono stabili, ma potrebbero cambiare domani. Anche se noi tutti crediamo che la sua costituzione fisica sia abbastanza forte da credere ogni giorno nella sua guarigione. La convalescenza richiederà almeno parecchie settimane”.

Il leader populista era stato colpito da 4 dei 5 colpi esplosi, e aveva riportato ferite al petto e alla pancia. La prognosi è positiva da ieri. Non migliora invece il clima politico: se il governo ha rinnovato l’appello alla distensione, Estock ha ribadito a muso duro di non voler partecipare alla tavola rotonda dei partiti proposta dal presidente designato Peter Pellegrini e dalla uscente Caputova. “Eravamo pronti a sederci, ma per far questo di parti ce ne vogliono due. Avete sentito cosa ha detto Igor Matovic”, ex premier del partito Slovensko. “Ha accusato me, ministro dell’Interno di aver organizzato l’attentato al premier ha sbottato -. Non mi sembra pronto a dialogare con noi”.

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Il presidente dell’Iran Raisi coinvolto in un atterraggio di emergenza, si teme per la sua vita

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Una fitta nebbia avvolge l’area dell’Azerbaigian persiano, circa 600 chilometri da Teheran, dove si è verificato un grave incidente che ha coinvolto l’elicottero del presidente iraniano Ebrahim Raisi. Il presidente Raisi era appena partito dopo l’inaugurazione di una diga insieme al presidente azero quando il mezzo si è trovato in difficoltà, con alcuni media che riferiscono di uno schianto e altri di un atterraggio di emergenza.

Immediatamente, quattro squadre di soccorritori sono state dispiegate nella zona per assistere e cercare eventuali sopravvissuti. Le difficili condizioni meteo e il terreno montuoso e roccioso complicano le operazioni di soccorso, che vedono l’impiego di droni e squadre a piedi, inclusi alpinisti esperti. La televisione di Stato iraniana ha confermato che le squadre di soccorso si stanno avvicinando al luogo dell’incidente, in attesa di ulteriori aggiornamenti.

Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. L’Iraq ha offerto assistenza nella ricerca attraverso il ministero dell’Interno e la Mezza Luna Rossa, mentre il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, è stato informato degli eventi. Tuttavia, emergono notizie contrastanti sulla condizione di Raisi, con la televisione israeliana che lo dà per morto, mentre non ci sono ancora conferme ufficiali in tal senso.

Nel frattempo, l’account Instagram ufficiale del presidente Raisi ha pubblicato un messaggio urgente: “Chiediamo a tutti i connazionali di pregare per la salute del presidente e per i suoi compagni di viaggio”. La tensione è palpabile sia in Iran che nella comunità internazionale, mentre si attendono aggiornamenti sulle condizioni di Raisi e sugli esiti delle operazioni di soccorso in un momento di grande incertezza politica e geopolitica nella regione.

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