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Politica

Putin usa l’arma del gas con le aziende italiane. Ira Ue

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Un incontro “inopportuno”: dopo gli imbarazzi e le polemiche delle ultime 24 ore, e’ toccato ad un’alta fonte Ue, in serata, pronunciare una condanna secca per l’incontro online di alcuni dei maggiori gruppi industriali italiani con il presidente russo Vladimir Putin. Un’iniziativa che non puo’ essere accettata, ha insistito la fonte parlando a Bruxelles, al culmine di una crisi in cui Mosca “sta intimidendo l’Ucraina e cerca di minare le fondamenta della sicurezza in Europa”. Nessun interesse economico dunque, secondo i vertici dell’Unione, puo’ giustificare un’iniziativa del genere in questo momento. E nemmeno nessuna esigenza di approvvigionamento energetico. Cioe’ il tasto su cui Putin ha battuto in apertura dell’incontro. La Russia, ha avvertito lo zar, e’ “un fornitore affidabile di energia ai consumatori italiani”, e continua anzi a vendere all’Italia gas a “prezzi molto piu’ bassi di quelli di mercato” grazie ai contratti a lunga scadenza con Gazprom. Sedici, ha fatto sapere il Cremlino, le grandi imprese italiane rappresentate all’incontro. Solo tre hanno rinunciato. Ufficialmente non sono stati resi noti i nomi ne’ delle une ne’ delle altre, perche’, ha affermato il portavoce Dmitry Peskov, ci sono state “pressioni di qualcuno su qualcun altro”. Un modo per citare, senza citarlo, l’intervento di Palazzo Chigi trapelato su alcuni media, secondo i quali almeno alle aziende partecipate dallo Stato sarebbe stato chiesto di non prendere parte all’iniziativa. Peskov ha fatto comunque salvo il bon ton diplomatico, premurandosi di dire che il governo russo non ha ricevuto da quello italiano alcuna comunicazione ufficiale in proposito, e quindi non vale la pena di prendere in considerazione gli articoli dei giornali, perche’ “non hanno molta importanza”. Solo una la rinuncia annunciata ufficialmente, quella dell’Eni, mentre non e’ stato chiarito quale siano state le altre defezioni tra la nutrita lista circolata precedentemente, che comprendeva tra gli altri Enel, Unicredit, Intesa, Generali e Danieli, il gruppo siderurgico che solo la settimana scorsa ha firmato con la russa Magnitogorsk Iron Steel Works PJSC (Mmk) un contratto da 100 milioni di euro per la costruzione di quattro forni. Alla vigilia era stata annunciata anche la partecipazione di Marco Tronchetti Provera, presidente di Pirelli e co-presidente del Comitato imprenditoriale italo-russo, che con la Camera di commercio italo-russa, presieduta da Vincenzo Trani, ha promosso l’iniziativa. Foltissima la delegazione russa, con Putin affiancato da ben otto ministri titolari di dicasteri chiave. Lo zar e’ partito ricordando che “l’Italia e’ uno dei principali partner economici della Russia”. Il terzo per interscambio commerciale in ambito Ue, con un valore totale di oltre 20 miliardi di dollari solo nei primi nove mesi del 2021. Mentre gli investimenti italiani in Russia sono pari a 5 miliardi di dollari e quelli russi in Italia a 3 miliardi. Ma e’, appunto, sui rifornimenti di gas che il capo del Cremlino ha insistito maggiormente, ricordando i prezzi di favore praticati grazie alla collaborazione di lunga data con Mosca, nonostante le quotazioni di mercato “significativamente aumentate per la stagione invernale e la carenza di offerta”. Tradotto: in assenza di questi buoni rapporti, gli italiani si troverebbero a far fronte a rincari delle bollette ben piu’ gravosi di quelli di oggi. Oltre a questo, comunque, ci sono gli interessi di oltre 500 aziende a capitale italiano attive nel mercato russo. “La vita va avanti comunque”, nonostante tutte le crisi politiche, ha affermato il portavoce del Cremlino Peskov. E Vincenzo Trani, presidente della Camera di commercio italo-russa, gli ha fatto eco sostenendo che “il dialogo economico-imprenditoriale tra Italia e Russia” e’ “fondamentale”, e deve quindi continuare “lasciando da parte la retorica politica”. Un’opinione non condivisa da tutti, come ha chiaramente fatto capire l’Ue.

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Liliana Segre: «Israele e Palestina, intrappolati nell’odio. Ma la pace resta l’unica via possibile»

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Parole profonde, lucide, amare. Quelle della senatrice a vita Liliana Segre, che in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera si è espressa con fermezza sul conflitto in Medio Oriente, sull’antisemitismo, sulla crisi della democrazia in Europa e nel mondo. «Provo uno sconforto che rasenta la disperazione», ha detto commentando il riaccendersi della guerra tra Israele e Hamas. E ha lanciato un appello accorato: «Due popoli, due Stati resta l’unica via. Nonostante tutto».

«Due popoli in trappola»

Segre descrive il popolo israeliano e quello palestinese come due nazioni «intrappolate, incapaci di liberarsi da una condanna a odiarsi». Una spirale di violenza aggravata, secondo la senatrice, da una classe dirigente dominata dalle «componenti peggiori». Parole durissime su Hamas, definito un «movimento teocratico e sanguinario», e sul governo Netanyahu, che guida Israele con «una destra estremista, iper-nazionalista, con componenti fascistoidi e razziste».

«Il trauma del 7 ottobre – aggiunge – ha certamente imposto una reazione, ma la guerra a Gaza ha assunto connotati inaccettabili. Israele ha oltrepassato i limiti del diritto di difesa, provocando stragi e distruzioni immani».

Nessuna giustificazione per Hamas

Segre è chiara anche su un altro punto: Hamas non è il popolo palestinese. «Non si batte per la libertà del popolo palestinese, ma per distruggere Israele. E lo stesso vale per il regime iraniano, che li usa solo per combattere l’“entità sionista”». Anche Israele ha commesso gravi errori, ma la senatrice ricorda che il ritiro da Gaza nel 2005 apriva una strada verso la pace che è stata vanificata dalla presa del potere violenta di Hamas nel 2006.

«Il genocidio? No, ma crimini di guerra sì»

Nel corso dell’intervista, Segre torna su quanto già affermato in passato: a Gaza si sono visti crimini di guerra e contro l’umanità, da entrambe le parti. Tuttavia, non si può parlare di genocidio: «È un concetto preciso, giuridicamente e storicamente. Le atrocità commesse non bastano a definirlo tale».

La pace come unica via

Nonostante tutto, Segre continua a credere nella soluzione dei due Stati: «Ogni fiammata di violenza rende tutto più difficile, ma non ci sono alternative. Solo la volontà politica può aprire spiragli». E invita a guardare la storia, dove svolte improvvise e impensabili hanno spesso cambiato il corso degli eventi.

«Antisemitismo mai morto, ora è sdoganato»

Un passaggio forte è dedicato al ritorno dell’antisemitismo: «Non era morto, ma nascosto. Ora non ci si vergogna più. Si prende a pretesto la condotta del governo israeliano per giustificare l’odio contro tutto il popolo ebraico, anche contro la diaspora».

L’allarme globale: autoritarismi e il pericolo Trump

Liliana Segre allarga lo sguardo al mondo: «La rielezione di Trump destabilizzerebbe l’ordine globale». Poi punta il dito contro l’ascesa dell’estrema destra in Europa, le interferenze russe, l’influenza di magnati americani nei processi democratici. E una condanna durissima va alla scena dell’incontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky: «Un’umiliazione pubblica che mi ha disgustata. Gli Stati Uniti erano i liberatori dell’Europa dal nazifascismo. Vederli rinnegare quel ruolo è un dolore profondo».

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Politica

Comunali a Bolzano: Corrarati avanti con il 36,5%, Andriollo al 27,6% dopo 75 sezioni scrutinate

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Con lo scrutinio ormai quasi completato, Claudio Corrarati, candidato sindaco del centrodestra, si conferma in netto vantaggio alle elezioni comunali di Bolzano. Dopo lo spoglio di 75 sezioni su 80, l’ex presidente della Cna ha raggiunto il 36,5%, mentre il suo principale sfidante, l’assessore uscente Juri Andriollo del centrosinistra, è fermo al 27,6%.

Nel capoluogo altoatesino, dove il voto è storicamente influenzato dalla composizione linguistica e territoriale eterogenea, il dato resta comunque soggetto a variazioni nelle ultime sezioni. Tuttavia, il vantaggio consolidato di Corrarati fa già pensare con concretezza a un ballottaggio tra due settimane, per il quale sarà decisivo il posizionamento della Svp. La Südtiroler Volkspartei, che governa già con il centrodestra in Provincia, potrebbe sostenere proprio Corrarati, rendendo per lui più agevole la sfida finale.

Il candidato della Svp Stephan Konder è attualmente in terza posizione con il 18,46%, seguito dall’assessore regionale Angelo Gennaccaro (La Civica) con il 12,30%.

A Merano, dopo lo scrutinio parziale (3 sezioni su 28), è avanti il sindaco uscente Dario Dal Medico, sostenuto da liste civiche di centrodestra, con il 38,9%. Lo tallona la sua attuale vice della Svp, Katharina Zeller, al 23,6%, possibile sfidante al ballottaggio.

Situazione ancora in evoluzione a Trento, dove lo scrutinio procede a rilento. Nella notte, nessuna delle 98 sezioni risultava ancora scrutinata. Il sindaco uscente del centrosinistra Franco Ianeselli è considerato favorito, ma una riconferma al primo turno appare difficile.

Il vero dato politico di questa tornata elettorale è però il crollo dell’affluenza. A Bolzano ha votato solo il 52,16% degli aventi diritto, contro il 60,65% del 2020, quando si votò su due giorni. A Trento, l’affluenza è scesa dal 60,98% al 49,93%. A livello provinciale ha votato in Alto Adige il 60% (contro il 65,4% del 2019) e in Trentino il 54,53% (contro il 64,08%).

 

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Lega va avanti su Autonomia, legge delega al prossimo Cdm

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Con passo da maratoneta, la Lega non molla e va avanti sull’attuazione dell’Autonomia differenziata, sua battaglia storica. Il padrino della riforma, il ministro Roberto Calderoli, è pronto con la legge delega per la determinazione dei Lep, i Livelli essenziali di prestazione. La presenterà al Consiglio dei ministri la prossima settimana, al massimo quella successiva. Il responsabile degli Affari regionali e dell’Autonomia l’ha detto nel suo mini tour tra Trento e Bolzano, dove oggi si vota per le Comunali. In effetti, dopo i ritocchi fatti alla legge originaria e imposti dalla Corte Costituzionale che, nella sentenza di dicembre, ha dichiarato l’illegittimità di alcune parti, la delega è pronta per il passaggio a Palazzo Chigi e subito dopo in Parlamento.

Nel testo vengono individuati – distinti per funzioni e non più per materie, come indicato dalla Consulta – gli standard minimi di servizio pubblico che sono indispensabili a garantire, da Nord a Sud, i diritti civili e sociali che la Costituzione tutela. Si va dal lavoro al diritto all’istruzione, dall’ urbanistica alle reti di trasporto fino ad ambiente ed energia. Per Calderoli, l’obiettivo è chiudere la partita entro fine anno. Parallelamente procede l’altro fronte: quello delle negoziazioni sulle materie non Lep avviate con 4 regioni (Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria) che hanno chiesto forme differenziate di autonomia. Superate le riserve di alcuni ministeri (non guidati dalla Lega) su alcune funzioni come la Protezione civile, si prosegue e chissà che anche gli alleati più dubbiosi possano cedere. Specialmente Forza Italia, spinta dagli amministratori del Sud che temono disparità rispetto al più ricco Nord.

Apparentemente, si avvera l’auspicio di Matteo Salvini che, anche al congresso della Lega di aprile, ha associato l’Autonomia alla riforma del Premierato: “Vanno insieme, mano nella mano”. Un binomio che, secondo le opposizioni, tradisce uno scambio tra FdI e Lega. Di certo, il Presidenzialismo sta a cuore alla premier Giorgia Meloni che l’ha ribadito di recente all’AdnKronos (“Ci riusciremo”). E anche oggi i vertici del suo partito insistono sul fatto che la priorità sia la “madre di tutte le riforme” (nel copyright di Meloni), più della legge elettorale. A tirare in ballo, implicitamente, il sistema di voto sono state le parole della premier tentata da un secondo mandato.

Tuttavia, è innegabile che una riforma che potenzi i poteri del capo del governo debba definire anche il resto dell’architettura istituzionale del Paese, a partire proprio dalla legge elettorale. Il centrodestra ci sta ragionando, anche considerando che il premierato da 10 mesi è di fatto in standby alla Camera (al secondo dei 4 passaggi richiesti) e che è difficilissimo che l’iter si chiuda entro fine legislatura e si voti il referendum confermativo.

La bozza a cui si sta lavorando prevede di cancellare i collegi uninominali (anche nell’ottica di evitare il rischio di alleanze che tenterebbero il centrosinistra specie al Sud), puntare a una legge proporzionale con un premio di maggioranza del 15% per la coalizione che superi la soglia del 40%, indicare sulla scheda il candidato Premier della coalizione e fissare una soglia di sbarramento per i partiti più piccoli attorno al 3% e non oltre il 5%. Ma più fonti del centrodestra assicurano che non ci sono novità all’orizzonte, né confronti a breve.

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