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Politica

Mossa di Draghi, contro il caro-bollette i fondi ammontano 3,8 miliardi

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Uno sforzo in piu’ sulle bollette, per proteggere dai rincari soprattutto le famigile piu’ fragili: dopo avere piu’ volte confermato in pubblico la disponibilita’ a intervenire, Mario Draghi vara una operazione in due step che consente di anticipare al 2021 alcune spese e liberare cosi’ nuove risorse nel 2022 che andranno, tra l’altro, a rafforzare la dote contro gli aumenti dei prezzi di luce e gas. Un segnale per rispondere a una delle preoccupazioni crescenti tra le famiglie, che nella maggioranza si confida sia colto anche dai sindacati, che al momento confermano lo sciopero del 16 dicembre nonostante lo stop del Garante. In tutto contro il caro-bollette per il primo trimestre dell’anno si dovrebbe arrivare quindi a uno stanziamento di 3,8 miliardi, come ha spiegato ai colleghi il ministro dell’Economia Daniele Franco, nel corso del Cdm che ha varato il decreto legge con “misure urgenti finanziarie e fiscali”. Ma per avere le cifre definitive bisognera’ aspettare la scrittura dell’emendamento del governo alla manovra – atteso per l’inizio della prossima settimana in Senato – che concretizzera’ l’intesa sul taglio delle tasse, la decontribuzione e l’aumento dei fondi per le bollette. Intanto e’ arrivata la prima mossa, una operazione di “ingegneria finanziaria” complessa, preparata negli ultimi giorni dal premier insieme al ministro dell’Economia – entrambi profondi conoscitori della macchina dei conti pubblici – ma che produce un risultato semplice: si anticipano al 2021 alcune spese, visto che a fine anno alcuni fondi risultano avanzati, e si liberano cosi’ spazi fiscali per il 2022. In consiglio dei ministri il premier porta quindi un decreto legge che utilizza diversi fondi non spesi – a partire ad esempio dai 497 milioni che restano per l’assegno temporaneo per i figli dei lavoratori autonomi – per dare subito 1,4 miliardi a Rfi per gli investimenti sulla rete e 1,85 miliardi alla struttura del commissario Figliuolo per l’acquisto di vaccini e medicinali anti-Covid. Il decreto vale in tutto 3,3 miliardi e stanzia subito anche 49 milioni per gli straordinari delle forze dell’ordine impegnate sul fronte dell’emergenza. L’impiego di questi fondi “liberati”, che serviranno per le bollette ma anche per confermare la decontribuzione per i redditi medio bassi per 1,5 miliardi, arrivera’ invece nei prossimi giorni attraverso l’emendamento del governo alla manovra che potrebbe anche inglobare altri temi, se si dovessero chiudere le intese di maggioranza. L’emendamento recepira’ l’accordo sul taglio delle tasse, indigesto Cgil e Uil, che proprio a partire dal fisco hanno proclamato lo sciopero generale: l’intesa, raggiunta a fatica coi partiti della maggioranza, non dovrebbe subire variazioni e dovrebbe destinare a taglio e rimodulazione delle aliquote Irpef 7 miliardi e un altro miliardo alla riduzione dell’Irap. Altro discorso e’ quello delle bollette: tutti i partiti premevano per fare di piu’ e il premier aveva piu’ volte detto che il governo era pronto a intervenire. In manovra ci sono 2 miliardi, cui si era gia’ stabilito di aggiungere altri 800 milioni (500 dal ‘tesoretto’ del taglio delle tasse e altri 300 dalle pieghe del bilancio dopo che era saltata l’idea del contributo di solidarieta’ sui redditi alti congelando la riforma dell’Irpef). Ora, grazie a questa nuova operazione contabile, si arriva a un ulteriore miliardo in piu’ che porta la dote complessiva a 3,8 miliardi che andranno, ancora una volta, a ridurre gli oneri di sistema per calmierare i prezzi delle bollette. Si tratta anche “di un segnale di apertura” ai sindacati, osserva Loredana de Petris di Leu, uno dei partiti di maggioranza piu’ sensibili ai temi sollevati dai rappresentanti dei lavoratori. Mentre dal centrodestra, come fa il ministro Mariastella Gelmini, si sottolinea al contrario che si tratta di uno “sforzo senza precedenti” che rende ancora piu’ “incomprensibile” la scelta dello sciopero generale.

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Stretta di FdI sui ballottaggi. La Lega punta sui salari

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Il centrodestra torna alla carica sulla battaglia per cancellare i ballottaggi dei sindaci delle grandi città (con più di 15 mila abitanti). Fallito il blitz di un mese fa al Senato, in forma di emendamento al decreto Elezioni, ci riprova con l’iter più tradizionale di un disegno di legge ad hoc, identico a quello. Martedì partirà l’esame in Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama, forte anche della spinta di Fratelli d’Italia che guida la Commissione con il meloniano Alberto Balboni, che è anche relatore del provvedimento. Stesso ruolo che ha per il ddl per aumentare il numero di assessori e consiglieri regionali e di quello costituzionale per allungare a 90 i giorni per la conversione in legge dei decreti (oggi sono 60).

Insomma, la strategia è tracciata. Sui sindaci, dopo le polemiche innescate a inizio aprile dall’emendamento anti ballottaggi che la maggioranza presentò e ritirò subito dopo, per evitare la figuraccia di non essere ammesso (per scarsa attinenza al decreto Elezioni, dedicato alle prossime Amministrative e ai referendum), ora si cambia strada. Ma la meta è decisa, assicurano soprattutto i Fratelli d’Italia. Sottoscritto da tutti i capigruppo di maggioranza, il disegno di legge punta a dire addio al doppio turno che quasi mai ha portato fortuna ai propri candidati e chiede di eleggere al primo turno il candidato sindaco che abbia avuto almeno il 40% dei consensi, oltre a prevedere un premio alla lista o al gruppo di liste collegate a quel candidato. Obiettivo: blindarsi sempre più sui territori, approfittando del buon vento di oggi.

Occasione ancor più allettante per un partito come quello della premier Meloni, che vanta consensi alti, ma viene spesso additato per avere pochi dirigenti e amministratori. Una sfida condivisa dagli alleati. Compresi i leghisti, protagonisti spesso di distinguo, nella coalizione, come ad esempio sul riarmo europeo. Una questione che continua a dividere i tre partiti e che giovedì sarà sul tavolo del Consiglio supremo di difesa, convocato dal Quirinale. Nel breve, la Lega si concentra sui temi economici e scommette sui salari. Nell’aria da giorni, è il leghista Claudio Durigon, nella veste di sottosegretario al Lavoro, a spiegare al Corriere i dettagli della proposta di legge targata Lega che a breve sarà in Parlamento. Il partito di Matteo Salvini lancia il pressing, anche rispetto agli alleati, per garantire stipendi realmente adeguati all’inflazione crescente.

L’escamotage è quello di anticipare in busta paga i soldi in più che normalmente derivano dal rinnovo contrattuale e spesso in ritardo di anni. E sui costi della misura, Durigon replica: “I soldi li stiamo valutando. Troveremo soluzioni”. Parole su cui FdI glissa, pur condividendo la lotta. Fredda e più scettica Forza Italia. In primis, sulle coperture. Secondo i vertici economici di FI, la novità potrebbe costare almeno un miliardo e forse più. Inoltre, non convince il tema delle contrattazioni: da un lato si vorrebbe rafforzare la contrattazione e delegarla ai territori e dall’altro introdurre meccanismi centralizzati, è la critica degli azzurri. Alessandro Cattaneo, responsabile Dipartimenti di FI, chiama in causa il ministro dell’Economia: “Giorgetti dovrà esprimersi perché bisogna stimare quanto sia oneroso intervenire”. Parallelamente FI annuncia la prossima battaglia contro le morti e gli infortuni sul lavoro. Un ddl sarà presentato “prima dell’estate”, garantisce il viceministro alla Giustizia e forzista Francesco Paolo Sisto. (

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Mattarella convoca il Consiglio Supremo di Difesa giovedì 8 maggio

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Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha convocato il Consiglio Supremo di Difesa al Palazzo del Quirinale per giovedì 8 maggio 2025 alle ore 17. Lo comunica la Presidenza della Repubblica.”L’ordine del giorno prevede le “valutazioni sul Libro bianco della difesa europea, sulle infrastrutture strategiche nazionali, sull’adeguamento dello strumento militare e le prospettive per l’industria della difesa italiana”. Inoltre, il Consiglio esaminerà “l’evoluzione nelle principali aree di crisi con particolare riferimento ai conflitti in Ucraina e Medio Oriente ed alle iniziative di pace in ambito internazionale ed europeo”.

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Interrogazione parlamentare di Fratoianni: carabiniere denuncia chi canta Bella ciao

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“Chissà se il maresciallo dei carabinieri che ha denunciato, a Mottola in provincia di Taranto, 10 cittadini accusati di aver voluto cantare ‘Bella Ciao’ e ‘Fischia il Vento’ durante le celebrazioni del 25 aprile, sa che per liberare l’Italia dai nazisti e dai loro servi fascisti l’Arma dei Carabinieri ha perso quasi 3mila uomini. E chissà se ha compreso le parole utilizzate dall’attuale comandante generale che solo pochi mesi fa ricordando il sacrificio di Salvo D’Acquisto lo ha definito ‘un esempio luminoso di coraggio, abnegazione e amore per il prossimo, che supera i confini del tempo: un modello di riferimento per tutti i Carabinieri e per le future generazioni’. Evidentemente non lo sa o meglio non intende riconoscerlo”.

Lo afferma Nicola Fratoianni di Avs in una nota. “Non comprendiamo ad esempio – prosegue il leader di SI – perché i suoi superiori non siano ancora intervenuti per sospenderlo dal servizio. La denuncia di cui si è fatto promotore è assolutamente inaccettabile e in contrasto con i valori costituzionali”. “È per questo che in attesa di conoscere i provvedimenti che intende assumere il Comando Generale, presenteremo un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno – conclude Fratoianni – su questa vicenda surreale e nello stesso tempo gravissima”.

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