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Iran: Usa rassicura alleati Golfo, impediremo a Teheran di avere arma nucleare

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Il segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin ha promesso di impedire all’Iran di ottenere l’arma nucleare e di contrastare il suo “uso pericoloso” di attacchi con droni nel Medio Oriente. Austin ha parlato in Bahrain all’annuale Manama Dialogue mentre i negoziati sull’accordo sul nucleare (Jcpoa) restano in stallo. Il segretario ha voluto così rassicurare gli alleati arabi del Golfo mentre l’amministrazione Biden sta cercando di rilanciare l’accordo che ha limitato l’arricchimento dell’uranio da parte di Teheran in cambio della revoca delle sanzioni economiche. Sullo sfondo il ritiro caotico degli Usa dall’Afghanistan che hanno sollevato perplessità tra gli sceiccati sull’impegno dell’America nella regione.

“Gli Stati Uniti rimangono impegnati a impedire all’Iran di ottenere un’arma nucleare. E rimaniamo impegnati per una soluzione diplomatica della questione nucleare”, ha detto Austin a un evento organizzato dall’International Institute for Strategic Studies, “Ma se l’Iran non è disposto a impegnarsi seriamente, allora esamineremo tutte le opzioni necessarie per mantenere gli Stati Uniti al sicuro”. L’Iran ha a lungo mantenuto il suo programma nucleare pacifico, anche se le agenzie di intelligence statunitensi e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica affermano che Teheran ha un programma di armi organizzato dal 2003. La missione iraniana presso le Nazioni Unite non ha risposto immediatamente a una richiesta di commento. Da quando l’allora presidente Donald Trump ha ritirato unilateralmente gli Usa dall’accordo nucleare iraniano nel 2018, nel Medio Oriente si sono registrati diversi attacchi. Tra cui attacchi di droni e mine contro navi in mare, così come assalti attribuiti all’Iran e ai suoi delegati in Iraq e Siria. Gli Stati Uniti hanno anche ucciso un alto generale iraniano a Baghdad all’inizio del 2020. EST

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Storica condanna per Trump per i soldi alla pornostar

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“Guilty”, colpevole, per tutti i 34 capi di imputazione: Donald Trump è rimasto impassibile alla lettura dello storico verdetto raggiunto all’unanimità dopo due giorni di camera di consiglio dai 12 membri della giuria sul caso pornostar, aggrottando le sopracciglia solo quando il giudice Juan Merchan ha chiesto ufficialmente alla giuria se quella fosse la sua decisione. “E’ stato un processo farsa, è una vergogna. Sono un uomo innocente”, il primo commento del tycoon fuori dall’aula, dove ha annunciato che “continuerà a combattere”.

“Il vero verdetto sarà il 5 novembre”, ha aggiunto, riferendosi all’ Election Day. “C’è un solo modo per tenere Donald Trump fuori dallo Studio Ovale: andare alle urne”, ha replicato su X Joe Biden. “Il verdetto di colpevolezza dimostra che nessuno è al di sopra della legge”, gli ha fatto eco la sua campagna. Il tycoon diventa così il primo ex presidente americano condannato in un processo penale e anche il primo candidato presidenziale a correre come pregiudicato, uno status che comunque non gli impedisce di essere eletto e fare il commander in chief. Da vedere l’effetto sulla campagna elettorale, in un duello testa a testa che potrebbe essere deciso da poche migliaia di preferenze negli stati in bilico: secondo i sondaggi una fetta di elettori moderati e indipendenti non è disposto a votare un ‘nominee’ condannato. Intanto il suo social Truth è crollato in Borsa nelle contrattazione after hours.

La pena sarà stabilita in un’udienza fissata per l’11 luglio, alla vigilia della convention repubblicana che lo incoronerà candidato per la Casa Bianca, probabilmente non senza qualche imbarazzo. La condanna potrà variare da un massimo di 4 anni di carcere alla messa in prova sino ad una multa. La galera appare improbabile perchè è anziano ed incensurato, oltre alle complicazioni logistiche di dover prevedere agenti del Secret Service in prigione per difenderlo. In ogni caso il tycoon farà appello e quindi ci vorranno mesi, se non anni per la conclusione della vicenda.

Nel frattempo resterà a piede libero. Il verdetto è arrivato relativamente veloce, dopo due giorni di camera di consiglio in cui i giurati avevano chiesto la rilettura di alcune istruzioni del giudice e di alcune testimonianze, tra cui quella di Michael Cohen: segno forse che qualcuno aveva dei dubbi o voleva approfondire, ma alla fine è stata raggiunta l’unanimità richiesta, evitando il rischio di uno stallo e di un annullamento del procedimento.

Trump era accusato di 34 capi di imputazione per aver falsificato altrettanti documenti contabili della sua holding per occultare i 130 mila dollari pagati alla pornostar Stormy Daniels perchè non rivelasse durante la sua precedente campagna elettorale del 2016 la notte di sesso che aveva avuto con lui dieci anni prima. Soldi pagati dal suo ex avvocato tuttofare Michael Cohen – reo confesso già condannato per vari reati, diventato testimone chiave dell’accusa – e poi rimborsati come spese legali fittizie, violando anche la legge sui finanziamenti elettorali e quindi l’integrità del voto. Questo caso riguarda “un complotto e un insabbiamento”, il primo “per corrompere le elezioni del 2016”, il secondo “per nascondere il complotto e mascherarlo falsificando i documenti aziendali”, aveva accusato il pm nella sua requisitoria.

“I documenti non sono falsi, Trump è innocente, non aveva alcuna intenzione di truffare”, aveva sostenuto la difesa, dopo aver cercato di minare la credibilità sia di Cohen che di Stormy Daniels, dipinti come due “mentitori” mossi dalla sete di denaro, fama e vendetta. Il processo, iniziato oltre un mese fa, è stato teso, con Trump silenziato da un ‘gag order’ per i suoi ripetuti attacchi a giudice, procuratori e testimoni. Non sono mancati i colpi di scena e i particolari piccanti.

Come quando la pornostar ha raccontato la fugace notte di sesso in una suite d’albergo durante il torneo di golf a Lake Tahoe. Con Trump deriso dall’attrice hard per il suo pigiama da Hefner (il fondatore di Playboy) e sculacciato con la rivista dove si era appena vantato di essere in copertina, prima di consumare “nella posizione del missionario” il tradimento di Melania, all’epoca in dolce attesa di Barron. Non l’unico, come dimostra l’altro affair quasi contemporaneo evocato in aula con la coniglietta di Playboy Karen McDougal, anch’esso messo a tacere con i soldi.

Il verdetto spaccherà nuovamente il Paese. I repubblicani hanno già cominciato a fare quadrato intorno al loro leader: “Oggi è un giorno vergognoso nella storia americana. I democratici esultano per la condanna del leader del partito avversario con accuse ridicole, basate sulla testimonianza di un criminale radiato dall’albo e condannato”, ha scritto su X lo speaker della Camera Usa, il repubblicano Mike Johnson, accusando Joe Biden di “aver strumentalizzato la giustizia” contro Donald Trump.

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Attacchi aerei in Yemen. Gb: operazione congiunta con Usa

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Nella notte attacchi aerei hanno colpito diverse aree dello Yemen, tra cui la capitale Sanaa e la città portuale di Hodeida. Si tratta, ha precisato il ministero della Difesa britannico, di una operazione congiunta tra Londra e Washington. Si sono udite forti esplosioni nelle due città. Secondo il canale al-Masira, controllato dai ribelli yemeniti Houthi, gli attacchi hanno preso di mira anche le infrastrutture di telecomunicazioni nella città di Taiz. Al-Masira ha riferito di “diversi” morti e feriti. Il canale Houthi ha da subito attribuito tutti questi attacchi aerei alle forze americane e britanniche nella regione.

– Gli attacchi notturni nello Yemen sono una “operazione congiunta” di Stati Uniti e Regno Unito volta a “minare” le capacità militari dei ribelli Houthi, ha affermato il Ministero della Difesa britannico. “Gli Houthi – si legge in una nota del ministero – continuano a effettuare attacchi alle navi internazionali nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden”.

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Biden valuta l’ok a Kiev sugli attacchi in Russia

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Il presidente Usa Joe Biden “sta prendendo in considerazione” di revocare i limiti all’uso da parte di Kiev delle armi “a corto raggio” statunitensi per attaccare in Russia. A scriverlo è il Washington Post, secondo cui cresce la preoccupazione dell’amministrazione americana per la vulnerabilità ucraine sul campo di battaglia. Sarebbe l’ennesima svolta a favore delle richieste di Volodymyr Zelensky, con Mosca che accusa la Nato di trascinare il mondo verso una guerra totale e ha già allertato le forze nucleari. Nei corridoi della Casa Bianca il dibattito è aperto, mentre di ora in ora crescono gli Alleati che si dicono favorevoli a usare le armi occidentali in Russia, capitanati dalla Francia di Emmanuel Macron.

Resta invece inamovibile il no bipartisan dell’Italia, che esclude l’utilizzo del suo materiale militare per colpire il territorio russo e l’invio di soldati in Ucraina. Il portavoce del dipartimento di Stato Matthew Miller ha ribadito per il momento che “la politica Usa è quella di non incoraggiare né consentire attacchi al di fuori dei confini dell’Ucraina”. Ma la questione è ben più complicata, secondo le ricostruzioni dei media americani: il segretario di Stato Antony Blinken sarebbe infatti favorevole ad una revoca mirata del veto, per consentire di colpire almeno le basi vicino al confine da dove partono i missili russi. Contrari sarebbero invece il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan e, ad ora, il commander in chief in persona.

Le indiscrezioni giungono a poche ore dalla ministeriale Esteri della Nato in programma giovedì a Praga, dove i Paesi più inclini a “fare di più” per Kiev proveranno a convincere i più cauti a “rimuovere le restrizioni” sull’uso delle armi, secondo fonti dell’Alleanza. Sarebbero almeno dieci gli Stati favorevoli: il Regno Unito è stato il primo ad annunciare che l’Ucraina ha il diritto di colpire basi militari su suolo russo con armi britanniche. Il presidente francese Emmanuel Macron, mappa alla mano, ha chiesto di autorizzare l’Ucraina a colpire “in Russia” le postazioni da cui viene attaccata, mentre si prepara ad annunciare l’invio di “istruttori” in Ucraina, quasi certamente alle celebrazioni del D-Day accanto a Zelensky.

arsavia ha già precisato che “non ci sono restrizioni sulle armi polacche fornite all’Ucraina”, e anche Stoccolma – che ha annunciato aiuti militari per 1,16 miliardi di euro all’Ucraina – non è contraria all’uso delle armi svedesi in Russia. Della stessa idea sono Repubblica Ceca, Olanda e i Baltici. Per ultime, anche la Finlandia e il Canada hanno dato luce verde all’uso delle loro armi su suolo russo. La cordata dei favorevoli vede l’endorsement del segretario della Nato Jens Stoltenberg, che a Praga proverà a far sentire le loro ragioni. L’idea non è quella di favorire “un’escalation”, assicura una fonte atlantica.

Ma sarà difficile abbattere il muro dei contrari, tra questi l’Italia, con il ministro degli Esteri Tajani che da giorni ribadisce come il materiale militare italiano in Ucraina non potrà mai essere usato oltre confine. Più duro il vicepremier Matteo Salvini che senza mezzi termini ha attacco le “idee folli” da parte di Macron e anche del cancelliere tedesco Olaf Scholz, che in realtà non si è espresso a favore dell’uso delle munizioni tedesche in Russia ma non ha nemmeno bocciato l’idea, parlando invece di “accordi confidenziali” sulle armi tra Kiev e Berlino e di necessità di “rispettare il diritto internazionale”. Contro la posizione di Parigi si è espressa anche la segretaria del Pd Elly Schlein, mentre per il leader M5s Giuseppe Conte l’Europa “è già in guerra” e le parole di Macron e Scholz sono “uno schiaffo” alla prudenza richiesta dalla premier Giorgia Meloni.

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