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Corona Virus

La proposta dei presidenti di regione: vaccinare in vacanza

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Non e’ ancora una costante come era stato promesso, ma per la terza volta in poco piu’ di una settimana l’Italia ha superato le 500 mila dosi di vaccino anti-Covid somministrate in 24 ore. Tra scorte massicce nei frigoriferi, il nodo non sciolto di AstraZeneca e notevoli divari tra i territori la campagna procede a buon ritmo e si inizia a pensare all’estate. Il presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga preannuncia “un confronto con il Commissario Figliuolo” per verificare se a chi ha avuto la prima dose possa essere fatto il richiamo in vacanza. Insomma, li’ dove si trovera’ in villeggiatura e non nel luogo di residenza. Il governatore del Friuli Venezia Giulia non si nasconde le notevoli difficolta’ logistiche dell’operazione. Secondo una stima su dati del ministero della Salute la seconda dose – necessaria per 3 vaccini su 4 disponibili – potrebbe riguardare a luglio-agosto 15 milioni di persone. Con scadenze temporali molto spesso diverse all’interno della stessa famiglia. Finora oltre 16,1 milioni di italiani hanno ricevuto almeno una dose, quasi il 27% della popolazione, tra cui quasi 7 milioni anche il richiamo (o il monodose Johnson&Johnson). Tra gli over 70 – molto piu’ a rischio di malattia grave e di morte – la percentuale con almeno una dose sale al 76%. Tre milioni degli ultrasettantenni pero’ non sono ancora stati raggiunti dalla campagna, quasi 9 milioni se si considerano anche gli over 60, categoria su cui si e’ in ritardo. Lunedi’ saranno aperte le prenotazioni agli over 50, ma le differenze di sistema tra le Regioni rischiano di creare difficolta’. In una fase in cui la campagna vaccinale prova a diventare di massa in un Paese quasi tutto giallo e in movimento. Non lo scenario piu’ semplice. Inoltre la Lombardia, che sta compiendo una rimonta notevole dopo l’inizio stentato, chiede con la vicepresidente Letizia Moratti che le dosi non utilizzate dalle altre Regioni le siano assegnate. Per il momento l’ipotesi non e’ contemplata, assicurano fonti del Commissariato all’emergenza, mentre il Pd, con il deputato Filippo Sensi, parla di una “Moratti recidiva: chiede di nuovo un doppio standard, stavolta sui vaccini. Regione Lombardia faccia finalmente, tardivamente la sua parte, e si rassegni al fatto che siamo l’Italia”, conclude. Il problema principale resta sempre AstraZeneca e la diffidenza che ispira soprattutto in certe aree del Paese. Sono rimasti una cinquantina di giorni per usare almeno una parte dei richiami del prodotto anglo-svedese, prima che le fiale diventino inutilizzabili. Nell’ultima settimana la Lombardia ha fatto 2 mila iniezioni di Az ogni 100 mila abitanti – molte a 60enni e 70enni -, seguita dal Veneto e dalla Campania; la Sicilia all’estremo opposto appena 400. Il Lazio e’ a meta’ di questa speciale classifica perche’ il sistema di prenotazione permette di fatto di scegliersi (e cambiare) il vaccino in base al luogo di somministrazione. Prova a convincere gli italiani il direttore della Prevenzione del ministero della Salute Gianni Rezza, secondo il quale “c’e’ una riflessione sull’utilizzo di AstraZeneca e di J&J negli under 60”, ma “sono utilizzabili dai 18 anni in su e non c’e’ alcuna controindicazione”. Per gli over 60 c’e’ solo “un uso preferenziale”. Parole che forse non basteranno, mentre Germania e Spagna usano un vaccino diverso per il richiamo di AstraZeneca e la Gran Bretagna, che ha usato quest’ultimo massicciamente, offrira’ un’alternativa agli under 40. Berlino inoltre raccomandera’ J&J per gli over 60, cosi’ come e’ avvenuto finora in Italia. Oggi e’ iniziata da Capraia in Toscana e dalle Eolie in Sicilia la campagna di vaccinazione di massa nelle isole minori. Alcune stime dicono che i vaccini hanno evitato almeno 100 morti al giorno. Nonostante cio’ domani gli autoproclamati ‘sanitari coscienziosi’ terranno un sit-in a Roma contro l’obbligo di vaccinazione.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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