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Covid, il contagio in Italia: intensive piene di giovani, sale ricovero affollate e 529 morti

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Terapie intensive sempre piu’ sotto pressione, con i posti letto che gia’ iniziano a scarseggiare anche se il picco atteso dei ricoveri non e’ ancora stato raggiunto, e pazienti sempre piu’ giovani che arrivano in ospedale con un quadro gia’ molto severo: quelli tra 40 e 60 anni hanno raggiunto il 25% circa del totale. La fotografia aggiornata delle ospedalizzazioni da Covid-19 in Italia preoccupa medici ed infettivologi, a partire dal dato nazionale di occupazione delle intensive che ha ormai toccato il 41%, ben oltre la soglia di allerta fissata al 30%, mentre resta ancora molto alto il bilancio delle vittime pari a 529 nelle ultime 24 ore. Un quadro di allerta che si accompagna ai dati del bollettino giornaliero del ministero della Salute che segnala ancora 16.017 positivi nelle ultime 24 ore. Sono 3.716 i pazienti ricoverati invece in terapia intensiva per Covid, 5 meno di ieri nel saldo giornaliero tra entrate e uscite, mentre gli ingressi giornalieri in rianimazione sono 269 (192 ieri). Nei reparti ordinari sono ricoverate 29.231 persone, in aumento di 68 unita’ rispetto a ieri. Scende invece il tasso di positivita’: su 301.451 tamponi molecolari e antigenici effettuati nelle ultime 24 ore, e’ sceso al 5,3%, (in calo del 2,9% rispetto a ieri quando era all’8,2%.). Secondo alcuni modelli matematici messi a punto da Giovanni Corrao docente di Statistica medica dell’Universita’ Milano Bicocca “tra il 6 e il 7 di aprile avremo il picco della mortalita’ per Covid. Qualche giorno prima, tra Pasqua e Pasquetta, il picco per le terapie intensive. Intanto per quanto riguarda la curva dei positivi al virus, dice, l’appiattimento lo abbiamo gia’ adesso”. Complessivamente, la situazione resta di allerta come dimostra anche l’ultima rilevazione dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali aggiornata al 29 marzo, che attesta al 41% la soglia nazionale di occupazione delle rianimazioni: la scorsa settimana era al 38% ed e’ in crescita da tre settimane. Sale invece al 44% (rispetto alla soglia critica del 40%) la percentuale di posti letto occupata da pazienti Covid nei reparti ordinari. Dodici Regioni piu’ la PA di Trento hanno gia’ superato la soglia critica del 30% per occupazione delle Rianimazioni. Sottolinea la gravita’ della situazione l’Associazione nazionale medici delle direzioni ospedaliere (Anmdo). Le terapie intensive, spiega il presidente Gianfranco Finzi, “sono ampiamente oltre il limite di guardia”. E la situazione nel prossimo futuro, avverte, “e’ tutt’altro che confortante, dato che l’aumento dei ricoveri in rianimazione si muove generalmente con un ritardo di una/due settimane rispetto alla risalita dei contagi. Questo vuol dire che il picco nelle terapie intensive non e’ stato ancora raggiunto ma i posti letto gia’ scarseggiano”. Inoltre, rileva, “il personale sanitario e’ fisicamente e psicologicamente provato e la situazione particolarmente difficile in tantissime strutture del Paese”. Elemento nuovo e’ poi l’abbassamento dell’eta’ media dei nuovi casi ospedalizzati. Oggi, spiega Massimo Andreoni, direttore scientifico della Societa’ italiana malattie infettive e professore associato di Malattie Infettive all’Universita’ di Roma Tor Vergata, “circa il 25% dei pazienti ospedalizzati e’ costituito da 40-60enni, una percentuale di gran lunga maggiore rispetto alle scorse ondate pandemiche, ed allarma ‘il modo’ in cui la malattia tende a presentarsi in questi pazienti piu’ giovani: arrivano in ospedale presentando quadri gravi di insufficienza respiratoria e hanno spesso bisogno di un sostegno respiratorio, anche se non sempre necessitano della Terapia intensiva. Sono situazioni che, per questa peculiare fascia d’eta’, fino a poche settimane fa si riscontravano molto piu’ raramente”. Ma per quale motivo i soggetti piu’ giovani sono ora colpiti dal virus in maggior numero? “Da un lato – sottolinea – pesa l’effetto positivo della vaccinazione tra gli anziani, ma e’ anche probabile che, avendo la variante UK ormai dominante una trasmissibilita’ e capacita’ di replicazione maggiori rispetto al virus ‘tradizionale’, questa variante dia luogo ad infezioni caratterizzate da una maggiore carica virale e, quindi, con una sintomatologia piu’ forte, che e’ quella che stiamo appunto riscontrando in questi pazienti 40-60enni”. Tutti segnali, conclude, che “la circolazione del virus e’ ancora ampia ed aggravata dal fattore ‘varianti’. In questo contesto, riaprire tutto, o quasi, sarebbe come gettare benzina sul fuoco”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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