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Slitta Astrazeneca, obiettivo 500mila dosi al giorno

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Le prime dosi del vaccino Johnson & Johnson saranno in Italia nella seconda meta’ di aprile, ma si trattera’ di “quantita’ limitate che poi andranno ad aumentare da maggio e giugno”. Intanto e’ slittato per questa settimana l’invio delle fiale di AstraZeneca e il carico verra’ recuperato il prossimo 24 marzo, quando con il nuovo arrivo saranno recapitate in tutto 279mila dosi. Per fortuna, a tamponare le richieste ci sono le oltre 333.600 di Moderna stoccate nell’hub militare di Pratica di Mare. Sulle tabelle con le promesse e i ritardi delle varie case farmaceutiche, tra le mani del commissario per l’Emergenza Covid, Francesco Figliuolo, ci sono i numeri di un Paese che dovra’ somministrare ancora per un mese alla meta’ delle potenzialita’ previste dal Piano (al momento di viaggia intorno alle 150 mila dosi al giorno). Ma per il generale l’obiettivo resta lo stesso: “500mila inoculazioni al giorno dalla terza settimana di aprile, un numero che salira’ se saremo ancora piu’ bravi – dice – E i quattro giorni persi dopo la sospensione di AstraZeneca “si possono recuperare in breve tempo”. In attesa che i vip del mondo della cultura e dello sport tendano il braccio agli aghi dei medici (in Piemonte e Campania sono stati gia’ annunciati), i primi veri testimonial sono proprio i due uomini chiave della campagna vaccinale: al drive through della Difesa alla Cecchignola, nella cittadella militare di Roma, Figliuolo e il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, hanno atteso in fila il proprio turno e dopo qualche minuto – in un rito necessario quanto simbolico – erano pronti ad entrare nelle tende dell’esercito per ricevere la somministrazione di AstraZeneca. In alcune regioni l’annullamento delle prenotazioni dei vaccini anglo-svedesi “e’ stato del 20%, in altre del 10% e in altre come il Lazio non c’e’ stato. Quindi il differenziale e’ praticamente zero”, ha assicurato il Commissario Covid, il quale punta da subito a “un’accelerazione”. E per il generale anche il nuovo black out settimanale sugli arrivi di AstraZeneca non avra’ un impatto sulla campagna vaccinale. Si lavora gia’ al futuro, a quando si spera arrivino 52 milioni di dosi previste nel secondo trimestre dell’anno: “ci sono regioni che hanno avuto dei problemi organizzativi che stanno risolvendo: stiamo sondando le situazioni per capire come poterle supportare meglio”, spiega il generale, che presto avra’ i propri uffici a Palazzo Caprara a Roma, nell’ex sede dello Stato Maggiore della Difesa. Per potenziare i territori aldila’ dei numeri attuali ancora relativamente ridotti e oltre le possibilita’ gia’ dichiarate, anche la Protezione Civile ha appena messo in campo le sue ‘truppe’ di civili: Curcio ha appena “attivato il volontariato nazionale del Dipartimento, tutte le strutture sono autorizzate ad operare”. Se in tutto, su questo fronte, si contano risorse per 300mila persone pronte a mettersi a disposizione del Paese, “saranno impegnate quelle migliaia di unita’ che le Regioni richiederanno a supporto delle strutture vaccinali”. Volontari che dovranno, pero’, essere tutti immunizzati prima di essere operativi. Dalle esigenze logistiche alla carenza di personale, i desiderata sono differenti e la mappa dei fabbisogni e’ ancora in costruzione. In attesa delle inoculazioni in farmacie e aziende, il numero di punti vaccinali e’ gia’ cresciuto del 25% dall’inizio di marzo, passando da 1510 a 1868. Al sistema si aggiungeranno presto anche i pediatri, che – indica il ministro della Salute, Roberto Speranza, “saranno in prima linea a partire dai genitori dei bambini piu’ fragili”. Si cominciano dunque a scalare le categorie: sono appena cominciate le somministrazioni ai cittadini ‘fragili’ nella Capitale, proprio alla Cecchignola e dalla prossima settimana si andra’ a regime con le inoculazione nell’arco di intere giornate. Anche la sperimentazione non si ferma: e’ partita a Caserta quella del vaccino italiano ReiThera, con testimonial d’eccezione come lo scrittore Enrico Carofiglio e il giornalista Rai Geo Nocchetti. Ma serve trovare centri di produzione e sbloccare le licenze: in un appello a Mattarella, un centinaio di amministratori locali hanno chiesto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di schierarsi per lo stop ai brevetti sui sieri anti Covid.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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