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Coronavirus, nuova ricerca conferma legame con smog solo con molti contagi

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Dopo l’adozione del position paper (pubblicato su “BMJ Open” il 24 settembre scorso) che evidenziava per la prima volta un’associazione tra incidenza di Covid-19 e frequenza di sforamenti di particolato atmosferico nelle città del nord Italia investite dalla prima ondata, la Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) ha annunciato nel mese di aprile la costituzione di una grande rete internazionale (denominata RESCOP) per la ricerca del coronavirus SARS-COV2 sia nell’aria ambiente che nei luoghi chiusi (indoor). La RESCOP è oggi una commissione tematica della prestigiosa rivista scientifica “Environmental Research” e sta contribuendo a generare evidenza sul tema grazie a un numero speciale dedicato a Covid-19 e inquinamento outdoor/indoor. A distanza di 8 mesi, le prime evidenze scientifiche dell’effetto dell’inquinamento sulla diffusione e la mortalità di SARS-COV2 sono state ripetutamente studiate in più parti del mondo con oltre 17.000 pubblicazioni prodotte, a conferma della corretta intuizione dei ricercatori.

“Nelle prime settimane di marzo” – afferma il professore Alessandro Miani, Presidente SIMA – “abbiamo riscontrato il genoma del SARS-COV2 sul PM10 di Bergamo pubblicando metodologia e risultati a fine maggio su ‘Environmental Research’. La rete RESCOP ha condotto una campagna di monitoraggi a Milano, Bergamo, Napoli, Madrid e Bruxelles nel corso del lockdown tra aprile e maggio, giungendo alle stesse conclusioni della ricerca condotta in Veneto e in Puglia dal CNR ISAC negli stessi giorni: il coronavirus SARS-COV2 non si ritrova nell’aria ambiente se non circola in maniera massiccia tra la popolazione, fatto che ne rimane il presupposto necessario ma non sufficiente. Infatti, oltra a un’ampia diffusione del virus – peraltro oggi resa più difficoltosa dall’uso di mascherine anche all’aperto – è necessario che vi siano condizioni climatiche ideali all’adesione del virus al particolato – come, per esempio, giornate di nebbia, con tassi di umidità idonei e temperature basse – e trovarsi in presenza di picchi di PM10 molto elevati”.

I risultati di entrambi i gruppi di ricerca indicano che il virus entra strettamente a contatto con il particolato e questo può essere possibile solo attraverso l’interazione tra le goccioline di espettorato e le polveri sospese. Nel recente lavoro su “BMJ Open”, i ricercatori SIMA hanno proposto per la prima volta un modello meccanicistico secondo cui le goccioline, interagendo con il particolato sospeso, rallentano la loro velocità di dispersione outdoor mantenendosi più stabili nell’aria e permettendo una maggiore probabilità di contagiare persone a distanze superiori a 2 metri, portando così la distanza di sicurezza a 8 metri. Questa maggiore stabilità ha verosimilmente portato a fenomeni di superspread con Rt che passano da 1-2 a 3-4, come si è osservato in molte province del nord Italia anche durante la seconda ondata tra ottobre e novembre, quando gli sforamenti di polveri sottili hanno interessato Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, così come l’area metropolitana di Napoli. “Durante i monitoraggi che hanno portato al duplice riscontro del genoma del SARS-COV2 da parte dei laboratori dell’Università di Trieste e dell’attigua Azienda Ospedaliera Giuliano Isontina, avevamo valori medi di PM10 superiori a 40 microgrammi per metro cubo, con picchi oltre gli 80 microgrammi, che favoriscono un’elevata probabilità di collisioni tra goccioline e particelle” – aggiunge il professor Leonardo Setti dell’Alma Mater di Bologna. “È per questo che non ci sorprendono i successivi rilevamenti della RESCOP e del CNR-ISAC: è normale non aver trovato il virus nell’aria ad aprile e maggio, con temperature miti, lontano dagli umidi giorni di nebbia, in belle giornate assolate caratterizzate da valori di inquinamento relativamente bassi. A nostro parere, lo studio del CNR ISAC ha confermato i nostri riscontri su Bergamo, in quanto ha rilevato fino a 0,8 copie di coronavirus per metro cubo in un periodo di bassissime concentrazioni di PM10 e di contagiati in circolazione. Gli stessi autori dello studio affermano che probabilmente avrebbero riscontrato una maggiore presenza del virus se avessero campionato nel periodo di picco della circolazione virale, come abbiamo fatto noi di SIMA nell’ultima settimana di febbraio, in concomitanza con l’ultima serie di giornate di sforamento delle polveri.”

Non si dichiara sorpreso nemmeno il professore Gianluigi De Gennaro dell’Università di Bari e membro del comitato scientifico SIMA: “Paradossalmente il fatto che nessun campionamento eseguito dalla nostra rete RESCOP o da altri enti abbia riscontrato il coronavirus nelle belle giornate di lockdown della scorsa primavera è di fatto una conferma alla nostra ipotesi di ricerca: l’effetto di accelerazione del processo di contagio è determinato da alte concentrazioni di polveri e meteorologia sfavorevole, oltre che da un’elevata circolazione del virus. Questi elementi incrementano la probabilità di aerodispersione dei fomiti.” Infine, la SIMA ricorda l’importanza dell’uso della mascherina – è recente la notizia che anche le mascherine in tessuto multistrato hanno una buona efficacia testata dai CDC negli USA – e che i maggiori rischi di contagio sono negli ambienti chiusi (indoor), da dotare pertanto inderogabilmente di adeguati sistemi di ventilazione meccanica controllata, specie se si tratta di scuole, ristoranti, uffici o locali aperti al pubblico.

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Procida, la Corricella sulla copertina di Lonely Planet

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Una bellissima foto della Marina Corricella, il suggestivo e policromo borgo dei pescatori dell’isola di Procida, è sulla copertina della guida Lonely Planet nella edizione dedicata al Sud Italia appena pubblicata. L’immagine dall’alto dell’anfiteatro di case dipinte di mille colori che si affaccia sul Tirreno è stata scelta dai curatori della guida tustistica più famosa del mondo per rappresentare esaustivamente “Il sud essenziale e sbiancato dal sole dell’Italia è il paese nella sua forma più antica, piena di sentimento e sensuale. Quaggiù le rovine sono più antiche, i pranzi più lunghi, i paesaggi più selvaggi e intensi”. La copertina di Lonely Planet arriva pochi giorni dopo l’annuncio che, sempre la Corricella, è stata scelta dalla Accademia Europea del Cinema presieduta da Juliette Binoche, tra gli otto nuovi “Tesori della cultura cinematografica europea”, luoghi simbolici per il cinema del nostro continente e da preservare per le generazioni a venire.

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Avvistata in Italia una nuova specie di uccelli

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Piccoli migratori con piumaggio fra il marrone e il grigio, finora mai visti in Italia, sono stati avvistati per la prima volta in Campania. Si allunga così l’elenco delle specie di uccelli presenti nel nostro Paese- Il risultato. annunciato in occasione della Giornata della Terra, è pubblicato sulla rivista Dutch Birding da Marco del Bene, Alessia Addeo e Rosario Balestrieri ,della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli. La specie avvistata per la prima volta in Italia si chiama Monachella dal cappuccio (Oenanthe monacha) ed è stata vista durante rilievi ambientali nei pressi di Bacoli (Napoli), il 24 maggio 2023. Per Balestrieri è la “prima testimonianza del passaggio della specie nel Mediterraneo Centrale”. Finora, infatti, la Monachella dal cappuccio era nota in Egitto, Israele, Penisola Arabica e Pakistan.

“L’esemplare osservato a Bacoli – dicono i ricercatori – si trovava su un muro di contenimento degli argini di un canale, vicino al mare. Presentava un piumaggio marrone camoscio/grigio chiaro, con coda marrone, sottocoda camoscio e timoniere scure”. La scoperta, osservano ancora i ricercatori, sottolinea l’importanza di monitorare costantemente la biodiversità e proteggere gli ambienti che l’accolgono, ma anche l’importanza di documentare quel che si vede e di confrontarsi fra specialisti del settore”. Del Bene rileva che si conferma “l’importanza dei monitoraggi ai fini della conservazione e gestione delle specie” e per Addeo questa scoperta permette di “ampliare sempre di più le reti di conoscenze che ci permettono di comprendere al meglio le rotte migratorie”.

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Rifiuti, planet contro plastic: obiettivo è il – 60% entro il 2040

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Ridurre il 60% delle plastiche sul pianeta entro il 2040, sensibilizzando i cittadini del mondo sui danni arrecati dalla plastica alla salute umana, animale e alla biodiversità; eliminare la plastica monouso entro il 2030, investire in tecnologie e materiali innovativi per costruire un mondo senza plastica: questi gli obiettivi della 54esima Giornata mondiale della terra sul tema Planet Vs Plastics. “Una Giornata e insieme una richiesta pressante per agire subito a salvaguardia della salute di ogni essere vivente sul pianeta non solo per limitare il più possibile l’uso della plastica, ma anche per chiedere iniziative e politiche di sensibilizzazione. Prendere consapevolezza è il primo passo”, spiega il direttore scientifico dell’Osservatorio Waste Watcher International Andrea Segrè, fondatore della campagna Spreco Zero.

I dati dell’indagine Waste Watcher, realizzata su monitoraggio Ipsos ed elaborazione dell’Università di Bologna-Distal, segnalano che in Italia oltre otto cittadini su 10, l’85%, sono disposti a ridurre l’acquisto di prodotti con packaging plastico, malgrado il consumatore italiano riconosca al packaging un’importante funzione per la conservazione del cibo e quindi per la prevenzione e riduzione degli sprechi. E quasi un terzo dei consumatori italiani è disposto a rinunciare all’acquisto di un prodotto di cui ha bisogno, qualora fosse contenuto in un packaging non riciclabile. Sempre secondo Waste Watcher, quasi il 75% dei consumatori nella scelta di un prodotto considera la tipologia dell’imballaggio e l’impatto che quest’ultimo ha sull’ambiente grazie alla sua potenziale riciclabilità. “Un piccolo passo avanti nella sensibilità diffusa sul tema delle plastiche, anche se molto resta da fare”, per Segrè.

Planet Vs Plastics ci ricorda che non c’è un’altra Terra: dalla prima edizione della Giornata Mondiale, il 22 aprile 1970, nostro pianeta non ha certo migliorato il suo stato di salute. Fra meno di 30 anni, ai ritmi attuali, negli oceani ci sarà il quadruplo della plastica e uno degli hotspot globali per le microplastiche è il Mediterraneo. Nelle sue acque si trova la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nelle profondità di un ambiente marino, ben 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato, secondo l’ultimo rapporto Wwf. Ogni anno il Mediterraneo ingurgita 229.000 tonnellate di rifiuti di plastica, come se ogni giorno 500 container scaricassero in acqua il proprio contenuto.

Di queste, ben il 15% arriva dall’Italia. Se i mari del pianeta sono invasi dalle plastiche, non sta meglio la Superficie Agricola Utilizzata (SAU), quella su cui si producono gli alimenti: la perdita di terreni coltivati determina un deterioramento degli ecosistemi, che porta a dissesti ambientali e sociali. Waste Watcher International ha calcolato quanti terreni coltivabili stanno producendo rifiuti alimentari domestici: in Italia lo spreco medio pro capite pari a 566.3 g secondo le rilevazioni del “Caso Italia” Waste Watcher (febbraio 2024), vanifica e ‘brucia’ il raccolto di una Superficie Agricola Utilizzata (SAU) pari a 1,643 milioni di ettari e quindi quasi come l’estensione agricola di Belgio + Slovenia (1,833 milioni di ettari).

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