Se c’era qualcosa di cui non aveva bisogno la Confcommercio è lo scandalo sessuale/patrimoniale che sta investendo i vertici. La più importante organizzazione di piccoli e medie imprese ferma, macerata tra veleni, denunce e polemiche. Accuse reciproche di molestie sessuali, estorsione e dio solo sa che cos’altro deve venire fuori. In queste ore il presidente Carlo Sangalli è impegnato assieme ai suoi legali a bloccare gli effetti della donazione da 216 mila euro fatta alla sua ex segretaria, quella che lo accusa di presunte molestie sessuali. Molestie che lui nega con fermezza e che ha contrastati anche in sede penale, denunciando un complotto estorsivo ordito per costringerlo a pagare e a lasciare la guida di Confcommercio. È questa la difesa di Sangalli che ora vorrebbe rivolgersi anche alla giustizia civile per chiedere di annullare d’urgenza l’atto di donazione che il presidente ha firmato a gennaio 2018 di fronte a un notaio. Per debito di verità occorre dire che questa segretaria che denuncia molestie sessuali da anni mai si è rivolta ad un giudice penale. Anche questo è un fatto che va tenuto in considerazione nel racconto di questo verminaio.
Contro di lui sarebbe stata orchestrata una manovra per defenestrarlo, accusa Sangalli, che accusa Francesco Rivolta, il direttore generale che aveva licenziato in tronco il 5 ottobre, di essere il protagonista, forse il regista. Il licenziamento ha per il Rivolta “motivazioni ritorsive mascherate da esigenze organizzative” e il manager collega, introducendo un nuovo elemento di scontro, alla richiesta fatta con i sindacati ai vertici di Confcommercio di chiarire “i rapporti opachi con un’agenzia” che, “partecipata da fiduciarie senza trasparenza sui beneficiari”, percepiva “risorse importanti” per intermediare tra l’associazione e le società assicurative per la sanità integrativa nel settore, “contrariamente a quanto deciso e conosciuto dall’ente”.
In quello stesso giorno, Carlo Sangalli firmò l’esposto alla magistratura in cui sosterrebbe l’esistenza di una relazione affettiva tra la signora (la quale non ha mai denunciato in Procura le presunte molestie cominciate nel 2010) e Rivolta. Legame che, a parere di Sangalli, avrebbe avuto un peso nell’intera vicenda e che sarebbe stato documentato da un investigatore privato che ha pedinato i due. “Menzogne e false verità messe in giro ad arte” per “distogliere l’attenzione dai fatti, quelli veri”, risponde il manager, che fece da testimone alla donazione e che ha fatto ricorso contro il licenziamento.
Sangalli nega con fermezza le molestie. “Chi mi conosce bene potrà meglio di me descrivere il mio rispetto per il prossimo”, afferma. Perché cedette a quella che solo ora, e non prima della donazione, denuncia come estorsione?
Risponde che c’era stata “una lunga e ben orchestrata sequenza di episodi” che lo avevano distrutto. Siamo nel 2017, quando all’assemblea dell’associazione si materializza uno scontro senza precedenti tra lui e Rivolta. Sangalli dice di essere stato vittima di un “vero e proprio stillicidio” di pressioni in relazione alle presunte molestie confidate dalla donna nel 2014 ad alcuni personaggi di Confcommercio. “Una vera violenza letteralmente invalidante. Arrivavano messaggi a tutte le ore e in ogni forma, alle 2 del mattino, alle 5 o a mezzanotte, lettere anonime e copie di articoli di giornali eloquenti durante il fine settimana o in occasioni pubbliche in cui presenziavo accompagnato da mia moglie”. Anche Rivolta avrebbe spedito messaggi: “Veri e propri ultimatum del tipo: “Paga e dimettiti””. Gli avrebbe “imposto” di firmare due lettere di dimissioni da usare in “date precise”, poi bloccate dai legali di Sangalli.
Non si dimise neppure il 7 giugno quando glielo chiesero tre vice presidenti (Maria Luisa Coppa, Renato Borghi e Paolo Uggé) per motivi etico-morali. Travolto dalla situazione, prostrato psicologicamente, l’ 81enne presidente decise di pagare con un atto notarile in modo di avere così “la prova delle minacce, della violenza che ho subito senza avere alternativa o scelta, sperando che questo avrebbe definitivamente tacitato” le pressioni e “salvaguardato la Confederazione e la serenità della mia famiglia”.
“La verità verrà appurata nelle sedi opportune e spazzerà via le enormità che sono state seminate per occultarla”, risponde Rivolta.
Un nuovo terremoto istituzionale potrebbe abbattersi su Torre Annunziata, a meno di un anno dalla fine del commissariamento imposto dallo scioglimento per infiltrazioni mafiose della precedente amministrazione. Un dossier della Guardia di Finanza, già trasmesso alla Prefettura di Napoli, propone lo scioglimento dell’attuale Consiglio comunale guidato dal sindaco Corrado Cuccurullo, invocando il ricorso all’articolo 143 del Testo Unico degli Enti Locali, non come sanzione, ma come misura preventiva, in linea con la giurisprudenza consolidata e il parere del Consiglio di Stato.
Un’amministrazione nel mirino: tre informative e un’indagine per false dichiarazioni
Il dossier delle Fiamme Gialle non è isolato. Altri due rapporti informativi, uno dei Carabinieri e uno della Polizia municipale, completano il quadro di elementi già all’attenzione della Prefettura. Al centro, anche un’indagine giudiziaria per falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, che vede coinvolti tre consiglieri comunali e un ex assessore. I quattro avrebbero dichiarato falsamente l’assenza di cause di incompatibilità, pur avendo pendenze economiche con il Comune, condizione che avrebbe dovuto comportare l’incandidabilità e l’inconferibilità.
Irregolarità e pressioni: nomine sospette, assunzioni anomale e sgomberi ostacolati
Il dossier non si limita all’aspetto penale, ma evidenzia una lunga serie di scelte discutibili sotto il profilo dell’opportunità amministrativa. Tra le criticità:
La volontà dell’amministrazione di far passare la processione della Madonna della Neve in zone sconsigliate dalle forze dell’ordine, perché frequentate da soggetti legati a clan camorristici, poi fortunatamente annullata.
La frequentazione irregolare degli uffici comunali da parte di persone non autorizzate, alcune delle quali successivamente assunte nello staff del sindaco. Tre soggetti avrebbero lavorato per mesi senza titolo, occupando postazioni e partecipando a riunioni. Tra questi, anche una persona sentimentalmente legata alla figlia di un’esponente del clan Gallo-Cavalieri.
Pressioni da parte di esponenti dell’amministrazione per ritardare alcuni sgomberi che interessavano famiglie vicine o imparentate con consorterie criminali.
Ombre sul consiglio comunale: legami con la criminalità organizzata
Un altro passaggio del dossier ricorda come diversi consiglieri comunali risultino legati a clan camorristici, secondo quanto già emerso nella precedente relazione della commissione d’accesso che aveva portato allo scioglimento del 2022. In tale contesto, l’ipotesi di una nuova commissione d’accesso appare sempre più concreta.
Il silenzio del sindaco
Il sindaco Corrado Cuccurullo, nonostante sia stato interpellato dai giornalisti, ha scelto per ora di non commentarele rivelazioni contenute nei dossier. Un silenzio che pesa, mentre la Prefettura valuta se avviare ufficialmente la procedura per un nuovo scioglimento.
Roberto Saviano (le foto sono di Imagoeconomica)torna a parlare. Lo fa in una lunga e intensa intervista rilasciata al Corriere della Sera, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro L’amore mio non muore (Einaudi). Dall’esperienza ai funerali di Papa Francesco alla memoria dolorosa della sua zia scomparsa, dal prezzo pagato per la scrittura alla condanna della solitudine, Saviano racconta senza filtri la sua vita da recluso, il senso di colpa, il peso degli attacchi e l’ossessione per la verità.
“Ho partecipato ai funerali di Francesco, come a quelli di Wojtyla. Ma lì c’era la camorra a vendere i panini”
La sua presenza in Vaticano ha destato curiosità. Ma Saviano spiega: «Ero stato anche ai funerali di Wojtyla, da cronista. Seguivo la vendita dei panini, organizzata dal clan». E sottolinea quanto la figura di Francesco, a differenza delle autorità presenti, abbia voluto essere toccata dagli ultimi.
“Mi sento in colpa. La mia famiglia ha pagato tutto. Io ho scelto, loro hanno solo perso”
Saviano ammette il dolore più intimo: la scomparsa recente della zia, vissuta in solitudine. «Ho la sensazione di aver sbagliato tutto», confessa. «I miei genitori si sono sradicati da Caserta per proteggermi. Io ho fatto carriera, loro hanno solo pagato».
E ancora: «Pensavo di cambiare la realtà con i libri, di accendere una luce. Ma ho solo generato isolamento».
“Il simbolo è di pietra. Non puoi sbagliare, non puoi contraddirti. Non sei più uomo, ma solo rappresentazione”
La condizione di scrittore-simbolo lo opprime: «Esisto per quello che rappresento, non per quello che sono». E il suo ruolo pubblico – protetto, attaccato, giudicato – ha inciso su tutto: amicizie, amore, libertà. «Quando vuoi bene a qualcuno, quella persona deve restare fuori dalla gabbia in cui tu sei chiuso. Nessun amore sopravvive così».
“Ho pensato di farla finita. Ma il corpo ha reagito. E ho capito che la fine non era quella”
Parla anche di pensieri estremi: «Ho pensato al suicidio. Volevo mettere il punto. Poi, guardandomi allo specchio, ho capito che non era quella la soluzione». E oggi convive con crisi di panico, insonnia, ansia. «Alle 5 del mattino non respiro. E mi chiedo: dove vado adesso?».
“Rushdie è vivo solo perché l’attentatore non sapeva usare il coltello. Ma almeno ora nessuno può dire che la minaccia era inventata”
L’amicizia con Salman Rushdie è per Saviano un nodo emotivo forte. L’attacco subito dallo scrittore anglo-indiano ha svelato la verità del pericolo: «È vivo per miracolo, e ora nessuno può più dire che la fatwa era un’esagerazione. Lui almeno ha avuto una liberazione. Io no: sono ancora dentro».
“Vorrei sparire. Cambiare nome. Prendere un camion e guidare lontano. Ma so che non posso”
L’idea della fuga è ricorrente: «Vorrei una nuova identità, un’altra vita. Ho preso la patente per il camion. Sogno di fare come Erri De Luca, partire per una missione umanitaria». Ma aggiunge con amarezza: «Non ne uscirò mai. Sono un bersaglio».
ROBERTO SAVIANO
“In Italia, se non muori, ti dicono che il pericolo non era reale. La scorta diventa uno stigma, non una protezione”
Saviano riflette sull’ossessione per la scorta: «In Italia, se non ti uccidono, allora vuol dire che hai esagerato». Racconta l’episodio surreale di una signora che lo accusa in aeroporto di aver mentito sul pericolo perché era da solo.
“Con Gomorra ho illuminato l’ombra. Ora racconto Rossella, uccisa dall’amore e dalla ’ndrangheta”
Il suo nuovo libro ricostruisce la storia di Rossella Casini, ragazza fiorentina scomparsa nel 1981 perché si era innamorata del figlio di un boss. Una tragedia sommersa, raccontata con sguardo letterario e civile. «Una Giovanna d’Arco ingenua e lucida. Il suo corpo non è mai stato trovato. La sua colpa: amare dissidenti».
“Michela Murgia mi ha insegnato la libertà nei legami. E mi ha donato vita. Ora mi manca anche l’amore”
Commuove il ricordo dell’amicizia con Michela Murgia: «Mi ha insegnato a tagliare i lacci ai sentimenti». E confessa: «Mi manca l’amore. Ma come si ama, se vivi da prigioniero? L’amore ha bisogno di leggerezza. Io sono pesante, ormai».
La destituzione di madre Aline Pereira Ghammachi, 41 anni, la più giovane badessa d’Italia, è arrivata come un fulmine a ciel sereno lo scorso 21 aprile 2025, gettando nel caos il monastero cistercense dei Santi Gervasio e Protasio di San Giacomo di Veglia, alle porte di Treviso. Un provvedimento inatteso del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata, che ha commissariato il monastero nonostante le ispezioni precedenti avessero escluso anomalie. Il caso è esploso dopo che undici consorelle hanno abbandonato il convento in segno di solidarietà con la badessa rimossa.
«Mi hanno cacciata all’improvviso, senza spiegarmi il motivo»
Intervistata dal Corriere della Sera, madre Aline ha raccontato la sua versione dei fatti, parlando per la prima volta dopo la destituzione: «Il giorno di Pasquetta mi è stata comunicata la rimozione. Una cosa inaspettata. Non mi è stato chiarito il motivo del commissariamento. Mi è stato riferito solo che due anni fa sarebbe stata inviata una lettera a Papa Francesco che mi accusava di maltrattamenti. Ma quella vicenda era stata archiviata». Secondo la religiosa, a sostenere l’assenza di irregolarità era stata anche l’ispettrice madre Ester Stucchi, in una relazione che avrebbe confermato la regolarità della vita comunitaria.
Undici suore via con lei: «Pregherò per riaccoglierle»
Madre Aline racconta che l’ambiente in monastero era diventato pesante: «Il clima era insopportabile. Per questo abbiamo deciso di andar via. Undici suore hanno lasciato il convento una dopo l’altra. Alcune si sono presentate dai carabinieri per evitare allarmi. Viviamo separate, ma il mio sogno è quello di poterle accogliere tutte in un nuovo luogo, se Dio me lo permetterà».
Le accuse dell’Ordine: «Falsità e affermazioni diffamatorie»
La religiosa ha poi risposto con fermezza a chi la descrive come una figura divisiva, forse troppo moderna: «Mi sono laureata in Economia e Commercio, ho riorganizzato le attività del convento. Qualcuno parla d’invidia. L’abate Lepori avrebbe detto che sono “troppo giovane e bella per essere badessa”. Io prego soltanto perché emerga la verità».
E ancora: «Mi preoccupo per il monastero, che ha spese importanti e tante attività sociali: accoglievamo persone sole, donne in difficoltà. Avevamo un orto, una serra per l’aloe, facevamo miele, vino biologico. Non so cosa ne sarà adesso».
Infine, conclude: «L’Ordine ha diffuso falsità e affermazioni lesive della mia dignità. D’ora in avanti parleranno i miei avvocati. Ma tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto per il bene del monastero».