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Cronache

Il Nuovo Ponte Morandi che nasce da un’ecatombe causata dell’avidità umana senza limiti mentre le vittime vengono dimenticate

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Per chi come me difende due vittime del Ponte Morandi, due onesti e capaci lavoratori ai quali è stato  negato un futuro professionale e di serenità personale costruito in decenni di fatiche e rinunce,  assistere al penoso teatrino tra politicanti e non di questi giorni, tra rinnovate accuse, annunci sensazionalistici, vane promesse di giustizia, dispetti mediatici e acrobatiche soluzioni completamente fuori dal mondo, significa vedere perpetrato il totale dispregio di un’ecatombe causata solo dall’avidità umana e dalla mala politica. Perché ancora adesso, a due anni dal crollo del viadotto a pagare sono solo i morti e feriti con i loro cari, uniche vittime di questa maledetta pagina di storia che si perde in uno squallore tutto italiano.

Giovanni Mastroianni. Legale di due cittadini rimasti sepolti sotto le macerie del Ponte Morandi e salvati dopo ore

Forse bisogna iniziare a ricordare che era il 14 Agosto dell’anno 2018, ormai di due anni fa, una stramaledetta mattina sferzata da una pioggia torrenziale quando un pezzo di autostrada, un viadotto da oltre mille metri di acciaio e calcestruzzo, iniziò ad oscillare a quaranta metri sopra la città di Genova. Pochi attimi e poi il crollo, la tragedia, il sangue di quarantatré mori, lo strazio dei feriti, la devastazione dei parenti dei sopravvissuti, il sudore ed il pianto dei soccorritori eroi, le urla degli sfollati.

All’indomani, il ponte che non c’era più faceva però da macabra passerella ai soliti  presenzialisti e agli inquisitori di turno, tra cui eminenti personalità politiche che nella gravità del momento annunciarono che giustizia sarebbe stata fatta. Eh già proprio la “Giustizia”, quella che nel nostro Paese viene sistematicamente invocata anche da chi sa di essere colpevole, in un vergognoso atteggiamento che nasce dalla quasi certezza, non di certo infondata, che grazie ad un sistema giudiziario appesantito ad arte (in particolare proprio dalla malapolitica che da esso tenta così di defilarsi) le condanne possono giungere dopo anni ed anni … se le cose vanno “bene”.

Ponte Morandi. Tutto quel che restava dopo il crollo

In quel surreale domani, in quel cupo Ferragosto che ne seguì, i governanti ed amministratori di turno facevano a gara per ribadire che avrebbero garantito immediati aiuti per tutti, ricercato tutti i colpevoli, risarcito in tempi brevi ogni danno, avviato azioni ministeriali di inchiesta, provveduto ad ogni atto ed azione del caso. Tutte prospettazioni che in un contesto sano avrebbero avuto come obiettivo il superiore perseguimento della Verità, che altro non è che un sinonimo sociale della Giustizia. Ma tale monito è rimasto ad oggi solo teorema mai dimostrato, disperso nella mutazione delle alleanze politiche che vedono adesso governare assieme chi fino a ieri addossava all’altro proprio le mancate verifiche, anzi no l’insufficienza degli interventi, anzi no la generosità della concessione a danno dei conti pubblici, anzi no l’amicizia di quello con quell’altro. La sensazione è quella di assistere alla realizzazione dell’ennesimo labirinto di accuse affinché passi più tempo possibile. Tanto a pagare ci sono solo persone comuni che tra le macerie del Ponte Morandi hanno perso la loro vita o si rovinati il futuro.

Il ponte Morandi. Sotto il cemento furono recuperati anche i corpi di quattro ragazzi di Torre del Greco

Come da copione, a due anni dalla immane tragedia in molti hanno tentato di dirottare l’attenzione  sulla mirabolante ricostruzione del nuovo ponte, questo sì realizzato con massima efficienza in tempi record e con una spesa di centinaia di milioni di euro. Ma questa opera nasce da troppa sofferenza, talmente tanta che non possiamo dimenticarla, perché è costruita con cemento misto al sangue, con l’acciaio forgiato dalle urla di dolore che per sempre si uniranno al vento che ululerà sul fiume Polcevera, dove mai smetterà di proiettarsi l’ombra nera del “vecchio” Ponte Morandi.

Intanto il premier Giuseppe Conte in queste ore preannuncia ancora altre riunioni del Consiglio dei Ministri, promettendo ancora una volta che saranno intraprese (finalmente!)  le tanto decantate azioni che il caso imponeva di mettere in pratica mesi e mesi addietro. Di certo tutti noi continuiamo a seguire con la massima attenzione gli incerti sviluppi di questa triste vicenda ma la sensazione è quella di assistere ad una solita rissa preelettorale modulata più sulle preferenze dei sondaggi che sulle giuste scelte da adottare. Eppure ancora nulla di concreto viene posto in essere per onorare davvero le vittime di tale disastro.

Così, malgrado lo sforzo immane della Magistratura di Genova e degli Organi Inquirenti, che hanno lottato e combattono tutt’ora come leoni feriti contro la tirannia del tempo e le trappole della burocrazia, il sangue dei morti e lo strazio dei sopravvissuti reclamano ancora non già vendetta, ma che sia data dignità alla loro memoria o al loro dolore al quale si unisce quello inconsolabile dei loro cari.

Noi avvocati che abbiano l’onere e l’onore di difendere le vittime del “Ponte Morandi” lo ricorderemo sempre ai responsabili che oggi si nascondono dietro ad uno squallido scaricabarile che però non potrà durare in eterno, affinché anche la realizzazione di questa nuova opera, ormai prossima all’inaugurazione e di cui è sacrosanta la necessità per rivolgerci al futuro, non diventi però una via di fuga dal passato, perché quella tragedia senza precedenti noi li costringeremo a riviverla ogni giorno ritornando indietro dalla opposta corsia del tempo. Perché la gravità di quello che è successo prima, ma non di meno di quello che non sta accadendo ora, non ci permette di dimenticare neanche per un istante.

* L’autore di questo articolo è Giovanni Mastroianni, editorialista di Juorno ma soprattutto eccellente avvocato che nel processo per il crollo del Ponte Morandi difende due sopravvissuti rimasti sepolti sotto le macerie per ore

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Torture al Beccaria, in arrivo 47 guardie carcerarie

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Sono 47 gli agenti di polizia penitenziaria in arrivo entro la prossima settimana nel carcere Beccaria, al centro dell’indagine della Procura di Milano su presunte torture e aggressioni ad alcuni giovani detenuti e che il 22 aprile scorso ha portato in cella e alla sospensione dal servizio di 21 guardie. A inviare i rinforzi per risanare la situazione in cui è precipitato il penitenziario, dove il personale, già ridotto all’osso, è stato falcidiato dagli arresti, è il Dipartimento per la Giustizia Minorile guidato da Antonio Sangermano, il quale fin da subito ha annunciato l’intervento per ripristinare “legalità e dignità umana” Il Dipartimento per la giustizia minorile, nell’immediatezza dell’esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare, ha inviato una squadra speciale di pronto intervento composta da una quindicina di agenti per tamponare l’emergenza e la grave carenza di organico. Ma dai prossimi giorni, assieme al nuovo direttore, Daniele Alborghetti, che si insedierà già domani, al posto di questa squadra arriveranno 47 unità : 25 ‘dirottate’ nel carcere minorile dall’Ufficio Esecuzione Penale Esterna della Lombardia e altre 22 saranno applicate dal Dap in seguito a un interpello regionale.

Oltre a ciò, nell’istituto milanese, un tempo ritenuto un modello in tutta Italia, verranno potenziati anche gli staff di educatori e psicologi. Intanto, mentre gli investigatori stanno analizzando le cartelle mediche dei ragazzi passati in infermeria dal 2022 fino ai mesi scorsi, da dopodomani il pm Rosaria Stagnaro, titolare del fascicolo assieme alla collega Cecilia Vassena e all’aggiunto Letizia Mannella, sentirà i primi tre dei dieci ragazzi che si ritiene siano stati vittime di ulteriori episodi rispetto a quelli contestati nei provvedimenti cautelari. Si tratta di altre sospette aggressioni su cui si sta indagando non solo grazie a nuove denunce, ma anche a una serie di elementi raccolti e ad approfondimenti sulle immagini di videosorveglianza interna.

“Telecamere che parlano”, per dirla come uno degli agenti intercettati, che avrebbero filmato altre violenze su cui i pubblici ministeri stanno facendo luce. Sarà, infatti, l’incrocio tra le testimonianze che i pm raccoglieranno, secondo la tabella di marcia, in un paio di settimane, i filmati, gli esiti delle analisi della documentazione clinica e altri elementi, a confermare o meno le ipotesi. Dalla nuova attività istruttoria potrebbero essere individuati altri pestaggi o altre manipolazioni di referti e relazioni di servizio al fine, come si ricostruisce, di cancellare le botte e quelle che sono ritenute torture. Sempre per martedì mattina, davanti al tribunale del Riesame, sono state fissate le udienze in cui si discuterà la richiesta di scarcerazione di due degli arrestati. La linea di difesa generale smentisce le violenze.

Parla invece di “interventi di contenimento”, decisi in autonomia, di ragazzi difficili. E poi di carichi di lavoro massacranti, turni non stop per carenza di personale, e assenza di una linea direttiva. Tanti anche alle prime armi o con alle spalle mansioni di ufficio, come hanno spiegato durante gli interrogatori, si sono sentiti “abbandonati” e costretti a lavorare in condizioni critiche. Una linea non condivisa dal gip Stefania Donadeo, la quale, sebbene abbia concesso i domiciliari a tre di coloro che sono finiti in carcere e reintegrato, ma con altre mansioni, cinque di coloro che sono stati sospesi, con i provvedimenti da lei depositati due giorni fa non ha scalfito l’ipotesi accusatoria.

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Le forbici e l’acido per uccidere l’amico

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Decine di coltellate e colpi di forbici hanno ucciso sabato sera, Stefano Iurigh, 43enne friulano, mentre si trovava nella sua abitazione di Bicinicco (Udine). Non paga, la sua assassina, Silvia Comello, una coetanea di Reana del Rojale, ha spruzzato sul volto dell’amico dell’acido muriatico. Un’azione giunta al culmine di un acceso diverbio. Ai carabinieri ha detto di essere stata lei a commettere l’omicidio farfugliando richiami a Satana come mandante del delitto. Una morte violenta che al momento non ha ancora una spiegazione, anche se gli investigatori si stanno orientando nel mondo della tossicodipendenza: i due si erano conosciuti al Sert di zona. Entrambi da anni erano prigionieri della droga.

L’omicidio è avvenuto ieri sera attorno alle 21.30. L’uomo – manutentore nel settore della cantieristica navale, spesso all’estero – era stato visto rientrare a casa, a piedi, poco prima. Nessuno dei vicini ha sentito urla o richieste di aiuto. È stata la stessa Comello, dopo aver ripetutamente colpito a morte l’amico, a comporre il 112 ammettendo le proprie colpe e chiedendo l’arrivo immediato di soccorsi e forze dell’ordine. I carabinieri sono giunti in pochi minuti e hanno trovato la donna in strada, con gli abiti sporchi di sangue che pronunciava frasi sconnesse.

Non era lucida e non riusciva a fornire una spiegazione plausibile dell’accaduto. Per tutta la notte i militari dell’Arma del Nucleo investigativo provinciale e della Compagnia di Palmanova hanno provato a ricostruire l’accaduto con l’obiettivo di risalire al movente di un delitto così violento. Tentativi vani. All’arrivo dell’avvocato di fiducia, alla donna è stato consigliato di avvalersi della facoltà di non rispondere. Saranno gli esami tossicologici – già eseguiti su Comello e in programma anche sulla salma nel corso dell’autopsia – a fornire risposte forse definitive all’inchiesta.

Per ora gli investigatori non tralasciano alcuna pista sul movente, ma hanno già escluso il coinvolgimento di altre persone nell’evento diretto. Diverso sarà capire chi abbia fornito l’eventuale droga alla donna, nel caso venisse accertato che il crimine è stato compiuto sotto l’effetto di stupefacenti. A Bicinicco il delitto è stato vissuto come una deflagrazione: nella piccola realtà di fatto nessuno conosceva i due. L’uomo si era trasferito di recente dopo il naufragio di una lunga relazione sentimentale da cui aveva avuto anche dei figli, lei non era un volto in alcun modo noto, abitando a chilometri di distanza. Un crimine che resta brutale e che in queste ore ha sconvolto la piccola comunità del Friuli rurale.

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Tir si scontra con auto sulla Statale ionica, due morti

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Due persone sono morte in un incidente stradale avvenuto questo pomeriggio sulla statale 106 ionica, nei pressi dello svincolo per Castellaneta Marina (Taranto) in direzione Reggio Calabria. Le vittime, a quanto si è appreso, sono un uomo di 46 anni nato a Noci (Bari) ma residente a Mottola e una donna di 45 anni di Mottola (Taranto) che viaggiavano a bordo di una Mini Countryman precipitata in una scarpata dopo un violento scontro con un autotreno adibito al trasporto di frutta che si è ribaltato sulla carreggiata perdendo il carico.

Il conducente del mezzo pesante, originario di Monopoli (Bari), è rimasto ferito, mentre sono decedute le due persone a bordo del veicolo. Sul posto i sanitari del 118, i vigili del fuoco e i carabinieri, a cui è affidato il compito di ricostruire l’esatta dinamica dell’incidente e stabilire le responsabilità. La strada è stata chiusa alla circolazione con deviazione del traffico automobilistico su percorsi alternativi.

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