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Oltre 1 milione contagiati e 57 mila morti in Usa ma Trump vuole riaprire le scuole

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Oltre un milione di americani contagiati dal coronavirus, un terzo dei casi di tutto il mondo, con oltre 57 mila morti che, secondo le ultime proiezioni degli esperti, con l’avvio della fase due potrebbero diventare oltre 74 mila entro agosto. Ma questo non basta a frenare una decina di stati Usa che, seppur a macchia di leopardo, hanno dato il via alla ripartenza di molte attivita’, alcune non proprio essenziali come barbieri, saloni di bellezza, sale da bowling. E riaprendo spiagge (vedi la Florida e la California) o addirittura i cinema (come in Texas). Del resto la spinta a allentare la stretta delle misure antivirus arriva direttamente dalla Casa Bianca, con il presidente Donald Trump che nelle ultime ore ha insistito persino per la riapertura delle scuole al di fuori degli ‘hot spot’, i focolai di contagio. Un ritorno di milioni di studenti in classe anche se ormai solo per poche settimane, ma che – avvertono gli esperti – potrebbe costare molto caro in termini di diffusione dei contagi. Perche’ con i numeri attuali, insistono gli studiosi, il virus in America e’ lungi dall’essere domato. Anzi, ha ribadito con forza il virologo Anthony Fauci, una nuova ondata di contagi nella seconda parte dell’anno “e’ inevitabile”, come per nulla scontata sara’ l’auspicata tregua estiva. Ma Trump, si sa, da sempre e’ allergico agli allarmi e alle raccomandazioni della scienza, che si parli di clima o di medicina. E cosi’ tira dritto per la sua strada, cavalcando le proteste dei manifestanti anti-lockdown e minacciando tramite il ministro della giustizia William Barr azioni legali contro gli stati che avrebbero adottato misure troppo restrittive per le liberta’ personali, violando – si afferma – la Costituzione. Il presidente americano ha poi ordinato che i grandi impianti di lavorazione della carne, come il colosso Tyson Foods, restino aperti a dispetto dei rischi per i lavoratori. “Sono infrastrutture critiche”, ha affermato il tycoon, dopo che l’industria del settore ha dichiarato di essere sull’orlo della bancarotta a causa della chiusura della ristorazione e delle difficolta’ di trasporto verso le catene della grande distribuzione. Intanto prosegue la caccia ai responsabili (o al capro espiatorio secondo i detrattori del tycoon) della diffusione della pandemia. Nel mirino soprattutto Pechino: “Gli Usa stanno conducendo un’indagine seria sull’operato della Cina in risposta all’epidemia”, ha detto Trump. Ma riesplode la polemica sugli allarmi degli 007 ignorati dalla Casa Bianca. Allarmi che risalirebbero al periodo tra gennaio e febbraio quando – scrive il Washington Post – le minacce costituite dal virus, dai rischi sulla sua trasmissibilita’ e dalle possibili catastrofiche conseguenze furono presentate al tycoon in almeno una decina di briefing, con tanto di documenti top secret. Aggiornamenti quotidiani che sarebbero di fatto stati snobbati da Trump.

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‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Kiev, più di 30 località sotto il fuoco russo nel Kharkiv

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Sono ancora in corso i combattimenti nella regione di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, dove più di 30 località sono sotto il fuoco russo e quasi 6.000 residenti sono stati evacuati, secondo il governatore regionale. “Più di 30 località nella regione di Kharkiv sono state colpite dall’artiglieria nemica e dai colpi di mortaio”, ha scritto Oleg Synegoubov sui social network.

Il governatore ha aggiunto che dall’inizio dei combattimenti sono stati evacuati da queste zone un totale di 5.762 residenti. Le forze russe hanno attraversato il confine da venerdì per condurre un’offensiva in direzione di Lyptsi e Vovchansk, due città situate rispettivamente a circa venti e cinquanta chilometri a nord-est di Kharkiv, la seconda città del Paese.

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Insulti sui social tra Netanyahu e il leader colombiano Petro

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Scambio di insulti, sui social, tra il presidente colombiano, Gustavo Petro, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo ha detto che il suo Paese non avrebbe preso “lezioni da un antisemita che sostiene Hamas”, dopo che Petro, pochi giorni fa, aveva chiesto alla Corte penale internazionale dell’Aja di emettere un ordine d’arresto nei confronti di Netanyahu. “Signor Netanyahu, passerai alla storia come un genocida”, ha risposto a sua volta il leader progressista colombiano, smentendo di appoggiare Hamas in quanto “sostenitore della democrazia repubblicana, plebea e laica”. “Sganciare bombe su migliaia di bambini, donne e anziani innocenti non fa di te un eroe. Ti poni al fianco di coloro che hanno ucciso milioni di ebrei in Europa. Un genocida è un genocida, non importa se ha una religione o no. Cerca almeno di fermare il massacro”, ha postato Petro.

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