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Cronache

Willy, i complici del branco: presto nuovi indagati

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L’indagine sui tragici momenti di violenza e follia di Colleferro va avanti e potrebbe allargarsi con nuove iscrizioni nel registro degli indagati. La convalida degli arresti da parte del gip ha confermato la tenuta dell’impianto accusatorio dei pm di Velletri nei confronti delle cinque persone al momento finite nel registro degli indagati. Gli inquirenti, pero’, sono chiamati ora a definire ulteriormente il quadro in cui si e’ consumato il drammatico pestaggio di Willy Monteiro Duarte. “C’era moltissima gente”, ha raccontato uno dei testimoni oculari citati dal giudice nell’ordinanza con cui ha confermato il carcere per i fratelli Marco e Gabriele Bianchi, Mario Pincarelli e disposto i domiciliari Francesco Belleggia. Le testimonianze convergono tutte sul ruolo svolto dai “gemelli Bianchi” giunti ‘a palla’ su un Suv partiti contro Willy e un suo amico “senza proferire alcuna parola”, come in una azione omicidiaria, quasi un regolamento di conti. E proprio sul profilo penale di quanto accaduto potrebbe presto arrivare una svolta con l’aggravamento del capo di imputazione in omicidio volontario. Il gip ha riconosciuto i “futili motivi” ma il quadro indiziario che emerge dalle testimonianze definisce condotte che vanno ben oltre la preterintenzionalita’. “Saltavano sul corpo inerme di Willy” e “ci passeggiavano sopra”, come detto da testimoni oculari, raccontano di un accanimento “inaudito” dei quattro. intanto arrivano le drammatiche testimonianze di quei momenti con le prime telefonate al 112 e l’allarme lanciato per i soccorsi. ” Qui di fronte al ‘Duedipicche’ c’e’ un ragazzo che e’ stato menato. Per favore correte e’ urgente”, dice all’operatore del 112 un ragazzo agitatissimo. Erano le 3.25 della notte tra sabato e domenica, dopo quella telefonata ne seguiranno altre. E gli inquirenti continueranno ad ascoltare testimoni per sgombrare qualsiasi dubbio su “chi ha fatto cosa”. In questo ambito chi indaga convochera’ anche le persone che i difensori dei fratelli Bianchi, che valutano il ricorso al Riesame, hanno indicato come quelle “coinvolte nella rissa”. Un escalation di violenza partita da un banale apprezzamento ad una ragazza. Un parapiglia che ha scatenato il ‘fuggi fuggi’ delle tante persone presenti nella zona dei locali. “Intorno c’erano parecchi ragazzi – racconta un testimone -. Ho visto il giovane di carnagione scura cadere a terra ma solo di sfuggita”. Dopo che il suv con a bordo i quattro aggressori e’ ripartito in molti sono intervenuti per prestare soccorso a Willy, a cui e’ stato praticato anche un massaggio cardiaco da una ragazza esperta di tecniche di primo soccorso. “L’ambulanza e’ arrivata dopo 40 minuti”, dicono i testimoni. Dal canto suo l’amico che era con il 21 enne di origini capoverdiane e vittima della furia del branco, ammette di essere intervenuto per cercare di proteggere dai colpi Duarte. “Ricordo l’immagine di lui steso per terra e i ragazzi che lo colpivano violentemente – dice agli inquirenti – con calci e pugni. Il mio istinto di protezione mi spingeva a gettarmi addosso per cercare di proteggerlo dai colpi che stava ricevendo urlando agli aggressori che io e Willy non c’entravamo niente con quanto eventualmente era accaduto prima”. In molti hanno cercato addirittura riparo dietro le auto per cercare di non diventare obiettivo dei quattro. Un quadro di violenza diffusa che ha portato oggi il sindaco di Colleferro a lanciare un appello: “credo che se ci siano ancora testimoni che non l’hanno fatto, sia giusto e doveroso che concorrano alla ricostruzione di una verita’ che si fa sempre piu’ chiara andando dai carabinieri per parlare: solo cosi’ si fara’ giustizia”, ha detto Pierluigi Sanna in un post su Facebook.

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Vincenzo Nibali: «Ero un carusu dannificu. La bici mi ha salvato dalla strada»

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Messina, la Sicilia, la fatica, la gloria. Vincenzo Nibali si racconta al Corriere della Sera, tra ricordi di un’infanzia ribelle, il riscatto sulla bicicletta e la consapevolezza maturata solo dopo il ritiro. Un’intervista intensa, autentica, a cuore aperto.

Una giovinezza a rischio: «Compagni con la pistola nello zaino»

«Ero un carusu dannificu», dice Nibali, usando l’espressione siciliana per “bambino disastroso”. Uno che attirava guai: sassate alle vetrate, petardi nelle cassette postali, motorini lanciati contro i muri. Una giovinezza vissuta in un quartiere difficile di Messina, dove alcuni compagni portavano la pistola a scuola. Nessuna mafia organizzata, ma il pizzo sì: «Colpì anche la cartoleria dei miei genitori».

La salvezza arriva su due ruote: «Sempre in salita, come da Messina»

La svolta arriva con la bici, a 12 anni, grazie al padre e ai suoi amici cicloturisti. Le prime gare, l’ammiraglia della Cicli Molonia, il traghetto per Villa San Giovanni che diventava un passaggio simbolico verso il sogno. A 15 anni vince a Siena e non torna più: «Mai avuto nostalgia. I miei genitori mi dissero: se ti impongono cose sbagliate torna, qui avrai sempre un lavoro. Mi ha aiutato a non cedere al doping».

L’ascesa, la gloria, il peso della vittoria

Nibali è uno dei pochi ciclisti ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri. Il Tour de France del 2014 è stato l’apice, ma anche l’inizio di un incubo: «Non potevamo camminare con la carrozzina di nostra figlia senza essere assaliti. Solo adesso che ho smesso, vivo davvero». E confessa: «Mai provato e mai pensato di doparmi. Ma ho pagato il sospetto solo perché vincevo ed ero italiano».

La caduta che fa crescere: l’Olimpiade sfumata

Nel 2016 era lanciato verso l’oro olimpico, ma cadde in curva. «Scelsi io di rischiare, e sbagliai. Nessuna scusa». Parla anche del secondo posto alla Liegi-Bastogne-Liegi, “scippato” da un dopato, ma senza rancore: «Non mi chiedo mai quanto ho perso per colpa del doping».

Il ritorno da turista: «Messina è ‘u megghiu postu nto munnu’»

Oggi Nibali è ambasciatore del Giro e padre presente. Ha visitato la Sicilia con le figlie per farla conoscere da turista: «Antonello da Messina, i templi di Agrigento, i boschi dei Peloritani… È il posto più bello del mondo». Un campione che, a distanza di anni, può guardarsi indietro con orgoglio: «A testa alta, sempre».

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Guerra dei cassonetti ai Parioli: scompaiono i bidoni davanti a casa Castellitto

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Nel quartiere elegante e silenzioso dei Parioli esplode una singolare guerra urbana, fatta di strisce gialle, rifiuti e cortili privati. Oggetto del contendere: un set di cassonetti della raccolta differenziata, misteriosamente spariti dalla carreggiata davanti alla villa dell’attore Sergio Castellitto.

I cassonetti finiscono nel cortile dell’attore

La miccia si accende nella notte tra il 20 e il 21 aprile. I bidoni che servivano i residenti della zona vengono spostati oltre il cancello della villa in cui vive Castellitto, allineati ordinatamente nel cortile. Una rimozione anomala che di fatto priva della raccolta l’intero isolato. Le strisce gialle, predisposte per accogliere i cassonetti, rimangono desolatamente vuote.

Secondo indiscrezioni, l’attore avrebbe più volte manifestato il suo malcontento per la presenza dei contenitori davanti all’ingresso della sua abitazione, considerandoli poco decorosi. I vicini, al contrario, li ritengono un servizio essenziale, invocandone semmai una manutenzione più frequente.

Denuncia in arrivo e reazione dei residenti

A seguito dell’episodio, il quartiere insorge. I residenti, costretti a girovagare per il quartiere con buste e cartoni, scattano foto e si interrogano sul destino dei contenitori. Tra loro anche il regista premio Oscar Paolo Sorrentino, recentemente trasferitosi nella zona.

Dopo poche ore, i cassonetti scompaiono anche dalla visuale del villino: né davanti al cancello né sul marciapiede. Ma non vengono ricollocati nella loro sede originaria. La vicenda, lungi dal concludersi, potrebbe ora avere conseguenze legali.

Ama pronta a sporgere denuncia

La municipalizzata dei rifiuti, Ama (foto Imagoeconomica), non intende lasciar cadere il caso. I vertici dell’azienda starebbero preparando una denuncia ai carabinieri per la scomparsa dei contenitori. Anche l’assessore al Verde del Municipio, Rosario Fabiano, si è attivato per fare luce sull’accaduto.

Il comitato Le Muse: “I cassonetti tornino al loro posto”

Dal comitato di zona Le Muse l’appello è chiaro: «Speriamo che quei cassonetti tornino al più presto al loro posto. Sarebbe grave se così non fosse. Si tratta di oggetti che appartengono alla collettività, ricordiamolo».

Intanto, nel quartiere ovattato dei Parioli, il decoro urbano si trasforma in una guerra di nervi, tra privacy e servizio pubblico, in attesa che si ristabilisca un fragile equilibrio tra rifiuti e rispetto.

 

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La madre del 17enne condannato per l’omicidio di Santo Romano: «Non è lui l’autore dei post provocatori»

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Ha deciso di rivolgersi alla polizia postale la madre del 17enne condannato a 18 anni e 8 mesi per l’omicidio di Santo Romano, ucciso nella notte tra l’uno e il due novembre scorsi a San Sebastiano al Vesuvio. Lo fa per chiedere chiarezza su una vicenda che – a suo dire – rischia di danneggiare ulteriormente il figlio.

La denuncia: «Quei post non li ha scritti mio figlio»

«Mio figlio è detenuto ad Airola, non ha accesso ai social e non è stato mai segnalato per l’uso di telefoni cellulari in modo clandestino», spiega la donna, assistita dall’avvocato Luca Raviele. E chiarisce: «Non può essere lui l’autore dei messaggi comparsi in rete dopo la sentenza». Messaggi che – accompagnati da immagini del ragazzo risalenti a mesi fa – contengono frasi provocatorie e offensive, come: «Io 18 anni e 8 mesi me li faccio seduto su un cesso».

Una pioggia di messaggi offensivi

Quei post, circolati in modo virale sui social, hanno fatto riesplodere le tensioni tra i familiari delle due fazioni coinvolte nella tragica vicenda. E la madre del minore condannato prende le distanze: «Non c’entriamo nulla. Né io, né parenti o conoscenti abbiamo scritto o condiviso quei contenuti. Spero che la polizia postale indaghi per risalire ai veri responsabili».

La notte dell’omicidio: una lite per una scarpa sporca

Tutto è iniziato in piazza Capasso, cuore della movida di San Sebastiano. Un banale litigio per una scarpa pestata ha innescato lo scontro tra due gruppi di ragazzi. Dopo un primo alterco, la situazione sembrava rientrata, ma secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – anche grazie a un video – Santo Romano sarebbe tornato indietro rivolgendosi all’auto dove si trovava L.D.M. Un gesto, forse un lancio, e poi il dramma: due colpi di pistola al petto, esplosi dal 17enne. Santo muore sul colpo.

Un processo doloroso e una sentenza pesante

Martedì scorso è arrivata la condanna in primo grado: 18 anni e 8 mesi di reclusione per omicidio, tentato omicidio e detenzione di arma da fuoco. L’indagine è stata condotta dal pm Ettore La Ragione della Procura per i Minori. Una sentenza che ha alimentato il dolore dei familiari di Santo Romano, un ragazzo di 19 anni, portiere di una squadra di calcio, noto nel suo gruppo per essere sempre un paciere.

Il timore di nuove tensioni

I post emersi nelle ultime ore rischiano di avvelenare ulteriormente il clima. «Non voglio neanche ripetere il contenuto di certi messaggi – spiega la madre del ragazzo – sono offensivi, gratuiti, e danneggiano mio figlio. Non possiamo permettere che a una tragedia come questa si aggiungano nuove ingiustizie». Per questo è stata sporta una formale denuncia contro ignoti: sarà ora compito degli investigatori della polizia postale stabilire chi si nasconde dietro quegli account.

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