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Via libera al prolungamento del Green pass a 12 mesi

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 Sara’ prorogata da 9 a 12 mesi la validita’ del Green pass. E’ arrivato l’atteso parere favorevole del Comitato tecnico scientifico, che allinea la data di scadenza del ‘passaporto sanitario’ ai dati sulla resistenza degli anticorpi al virus. Una bella boccata di ossigeno: dal punto di vista logistico, la vita piu’ lunga del pass consente di organizzare con meno affanno il cammino verso la terza dose, che sembra ormai certa per i sanitari e via via per le categorie piu’ fragili. Intanto, continua la corsa al vaccino in vista della riapertura delle scuole a settembre. Piu’ del 90% del personale scolastico e universitario ha ricevuto almeno una dose o la dose unica. Rush finale con sprint per i ragazzi. Oltre il 40% tra i 12-15 anni e’ stato immunizzato, mentre la percentuale aumenta al 67% nella fascia 16-19. E c’e’ chi gia’ guarda oltre e – come ha fatto il governatore della Toscana Eugenio Giani – inaugura la ‘tolleranza zero’ nei confronti dei renitenti al vaccino, che saranno interdetti dai luoghi pubblici. E mentre il Covid morde ancora – 7.826 i nuovi positivi (ieri 7221), 45 le vittime (41), tasso di positivita’ in calo dal 3,27% al 2,95% – e la Sicilia torna gialla, continua il braccio di ferro tra imprese e sindacati sulle mense inaccessibili ai ‘Cipputi’ no vax. L’Ue, inoltre, si prepara a vietare l’ingresso ai cittadini di Usa, Israele, Libano e montenegrini non vaccinati. “Abbiamo dati che ci dicono che l’immunita’ in chi e’ vaccinato arriva almeno a 12 mesi, il che vuol dire che la stragrande maggioranza degli italiani e sanitari fara’ una dose di richiamo annuale, e quindi e’ verosimile pensare che sia giusto estendere il Green pass a un anno”, ha fatto presente l’infettivologo del Policlinico San Martino di Genova, Matteo Bassetti. “Pero’ va fatto immediatamente perche’ diversamente – ha spiegato il medico – ci sono alcuni che sono stati vaccinati a dicembre e che dovrebbero ricevere una dose tra settembre e ottobre”. Ora la proroga evita questo gap. Chi avra’ la priorita’ per la terza dose? “I sanitari dovrebbero essere i primi e uso il condizionale – risponde l’immunologo del Cts Sergio Abrignani -. Assieme ai fragili, ai pazienti con deficit del sistema immunitario o in chemioterapia. Poi si passera’ agli over 60”. Ma se ne parla “a fine anno o all’inizio del prossimo”. “Oltre il 90% del personale della scuola e’ vaccinato. I dati diffusi dal commissario Figliuolo testimoniano il senso di responsabilita’ del nostro settore per la ripresa di settembre. Andiamo avanti”, esulta il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Ma gli incrementi nella somministrazione dei booster si registrano anche per le fasce di eta’ alte: quella tra 50-59 anni e’ all’80% circa in termini di prime somministrazioni/dose unica, mentre la fascia 60-69 ha superato l’85%. Si consolidano pure le percentuali delle fasce 70-79 e over 80, che si attestano rispettivamente al 90,19 e al 94,06%, sempre riferite a prime somministrazioni/dose unica. “Lottero’ fino alla fine con coloro che non si vogliono fare il vaccino. Il nostro e’ un atteggiamento di assoluto rispetto fino al 30 settembre, dopo tiriamo le somme della nostra campagna vaccinale e chi non ha fatto il vaccino non ha piu’ scuse”, ha detto il presidente della Regione Toscana Giani inaugurando la linea dura con i contrari al vaccino. “Dopo quella data – ha sottolineato – chi non ha fatto il vaccino sta a casa: queste persone non si provino a venire nei luoghi pubblici perche’ la loro non vaccinazione per scelta e’ inconcepibile”. Un assaggio della pazienza finita sono le lettere di sospensione fatte partire per i circa 4.500 operatori sanitari toscani no vax. “Chi non intende vaccinarsi non puo’ prendersi cura degli altri”, taglia corto Giani. Sul versante del lavoro, da segnalare la protesta delle Rsu alla Elettrolux di Susegana (Treviso): una irruzione al self service di lavoratori senza il Green pass ha portato l’azienda a sospendere il servizio di mensa per i 700 dipendenti. I sindacati chiedono una struttura accogliente per i pasti take-away dei no vax, sostengono che non ha senso isolare colleghi con i quali si lavora fianco a fianco. Alla Hitachi Rail di Pistoia – dove si producono treni hi-tech – le Rsu non hanno preso bene l’introduzione dell’obbligo del Green pass a mensa da fine mese, con cestini-pasto all’aperto per i non immunizzati.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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