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Politica

Variante Delta e Fed spaventano le borse, in fumo 152 miliardi

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Il Covid torna a spaventare i mercati. Giornata difficile per le principali borse europee, alle prese con la variante Delta del coronavirus e con i timori per una stretta delle Banche Centrali sugli stimoli all’economia. In Asia le vendite hanno colpito soprattutto Hong Kong (-2,89%), mentre Tokyo (-0,88%), Shanghai (-0,79%) e Seul (-0,99%) hanno contenuto il calo. Ma i timori hanno allungato la propria ombra anche sul Vecchio Continente, dove agli investitori e’ andata decisamente peggio. In un solo giorno sono stati bruciati 152,7 miliardi di euro. Milano ha lasciato sul terreno il 2,55% dell’indice Ftse Mib -ed ha chiuso in coda alle altre piazze continentali. Per Piazza Affari, che nel corso della seduta e’ arrivata a perdere il 3%, non e’ stato un giorno come un altro: gli scambi sono stati fiume, hanno toccato oltre 3,1 miliardi di euro, quasi uno in piu’ delle due sedute precedenti. Ma a soffrire sono state tutte le borse europee, anche se hanno fatto appena meglio di Milano. Ha perso il 2,32% Madrid, seguita da Parigi (-2,01%), Francoforte (-1,77%) e Londra (-1,68%). La giornata e’ iniziata in modo rovente anche negli Usa, ma poi il calo e’ parzialmente rientrato con il Dow Jones in calo dello 0,68% e il Nasdaq dello 0,89% dopo il dato sulle nuove richieste di sussidi di disoccupazione, in crescita di 373mila unita’ contro le 350mila previste. Oltre all’esplosione dei contagi, che potrebbe portare il Giappone a proclamare un nuovo stato di emergenza durante gli imminenti giochi olimpici, ha preoccupato gli investitori il report semestrale sulla politica monetaria che la Fed inviera’ domani alla Commissione Bancaria del Senato e alla Commissione sui Servizi Finanziari della Camera, accompagnato da una testimonianza del presidente Jerome Powell. Un appuntamento che precede il G20 di Venezia. Particolarmente impegnativa e’ stata la seduta di Piazza Affari, che ha chiuso comunque sopra ai minimi, dopo che l’indice Ftse Mib e’ sceso fino ad oltre il 3% sotto quota 24.500 punti. Sul listino hanno pesato Exor (-4,16%), Tim (-4%), Nexi e A2a (-3,89% entrambe), Moncler (-3,49%) e Stellantis (-3,35%) nonostante gli investimenti annunciati sull’auto elettrica. L’intero settore dell’auto ha risentito delle multe inferte dall’Ue ai costruttori tedeschi, accusati di aver fatto cartello sulle misure antinquinamento per i motori diesel. In particolare hanno ceduto Bmw (-2,41%) e Volkswagen (-2,89%), che dovranno pagare oltre 875 milioni per essersi accordate con Daimler (-2,24%) per contenere le misure antinquinamento dei motori diesel. Quest’ultima, avendo rivelato per prima l’accordo, e’ stata esonerata da una multa di 727 milioni. Sotto pressione anche Cnh (-3,22%), insieme ai bancari Banco Bpm (-3,59%), Bper (-3,25%), Unicredit (-3,17%), e Intesa (-2,93%), mentre lo spread tra Btp e Bund tedeschi ha chiuso in rialzo ma sotto ai massimi di giornata a 107 punti, con il rendimento dei titoli decennali in crescita di 2,2 punti allo 0,761%. Segno meno anche per Eni (-2,04%) nonostante la tenuta del greggio (Wti +0,55% a 72,6 dollari al barile) dopo il calo oltre le stime delle scorte settimanali Usa, scese di oltre 6,8 milioni di barili contro i 4 previsti, ma con l’Opec in stallo sui prezzi del petrolio.. L’ondata ribassista non ha risparmiato i metalli, che dopo aver raggiunto quotazioni record hanno segnato il passo a partire dal ferro (-2,65% a 1.176 dollari la tonnellata) e dall’acciaio (-1,2% a 5.435 dollari la tonnellata). Giu’ anche l’alluminio (-1,39% a 2.452 dollari la tonnellata) e il rame (-1,23% a 4.269 dollari la tonnellata), stabile invece l’oro (-0,14% a 1.799 dollari l’oncia).

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Politica

Renzi contro i referendum Cgil: «È solo una battaglia ideologica. Il Jobs Act non c’entra con la precarietà»

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In un’intervista concessa al Corriere della Sera, il leader di Italia Viva Matteo Renzi attacca i referendum promossi dalla Cgil definendoli una “guerra ideologica”. L’ex premier accusa il sindacato di guardare al passato, prendendosela con il Jobs Act, invece di affrontare i problemi reali di oggi: «Non è con questi referendum che si cancellano le riforme del 2015», avverte Renzi.

«SE VINCE IL SÌ, NON TORNA L’ARTICOLO 18»

Renzi precisa che una vittoria del sì non reintrodurrebbe il reintegro nel posto di lavoro, ma semplicemente riporterebbe in vigore la legge Monti-Fornero con un indennizzo massimo di 24 mesi invece degli attuali 36. A suo avviso, è sbagliato affrontare il tema dei licenziamenti oggi, quando la vera urgenza sono i salari troppo bassi.

«IL QUORUM NON SI RAGGIUNGERÀ»

Secondo Renzi, il quorum sarà irraggiungibile e, nel giro di pochi giorni, la vicenda finirà nel dimenticatoio. Nonostante ciò, annuncia una campagna per difendere il Jobs Act: «Ha semplificato le assunzioni e dato tutele come la Naspi», rivendica. E accusa i riformisti del Pd di ipocrisia: «Non lo difendono per paura di non essere ricandidati».

I REFERENDUM SECONDO RENZI: NO, SÌ E LIBERTÀ DI VOTO

Renzi dice no all’abrogazione dei due quesiti direttamente collegati al Jobs Act: quello sui licenziamenti e quello sulle causali nei contratti a termine. Libertà di voto, invece, sui quesiti legati alla responsabilità solidale negli appalti e sull’indennizzo per le piccole imprese. Voterà invece per il referendum che dimezza da 10 a 5 anni il periodo di residenza necessario per ottenere la cittadinanza italiana: «Più diritti, ma anche più doveri».

«SE VOGLIONO BATTERE MELONI, NON ATTACCHINO ME»

L’ex premier accusa Landini di voler colpire il suo governo per danneggiare quello Meloni, ma ricorda che sul Jobs Act Fratelli d’Italia e Lega votarono contro, come i 5 Stelle e Schlein. «Se vogliamo mandare a casa la Meloni, parliamo di salari, bollette e fuga dei giovani dall’Italia», afferma.

LA STRATEGIA: «MENO IDEOLOGIA, PIÙ CENTRO»

Per Renzi, la soluzione per il centrosinistra è chiara: puntare sul centro e sui riformisti, non sull’estremismo di sinistra. «Il modello da seguire è il Canada di Mark Carney o il New Labour di Tony Blair. La sinistra che vince non caccia chi fa riforme».

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Politica

L’ex ministro Giovanardi denuncia il furto dell’auto a Castelvetro, ma l’aveva solo dimenticata

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Un’auto che scompare nel nulla. Una denuncia ai carabinieri. La paura di un furto nel tranquillo centro di Castelvetro di Modena. E poi, la sorpresa: l’auto era esattamente dove era stata parcheggiata. Protagonista dell’incredibile disavventura è Carlo Giovanardi (foto Imagoeconomica in evidenza), ex ministro e senatore, che non nasconde l’imbarazzo per quanto accaduto.

«HO CREDUTO AL PEGGIO»

Tutto comincia con un pranzo con amici. Al termine, Giovanardi si dirige verso il punto in cui credeva di aver lasciato l’auto. Ma la vettura non si trova. Scattano subito le ricerche e l’ex ministro si reca in caserma per denunciare il furto. «Credevo fosse una zona tranquilla», racconta, dando così il via a una piccola crisi d’immagine per il paese.

L’IRA DEL SINDACO: «NON È MAI STATO UN FURTO»

A smentire ogni ipotesi di furto è il sindaco di Castelvetro, Federico Poppi, che chiarisce come l’auto non sia mai sparita: «Il veicolo è stato ritrovato esattamente dove era stato parcheggiato, a 50 metri dalla caserma dei carabinieri». E aggiunge, visibilmente contrariato: «Castelvetro non merita di essere considerato insicuro per un fatto mai accaduto».

MEA CULPA E QUALCHE STILETTATA

Giovanardi, con una punta di autoironia, ammette: «Mi sono distratto». Ma non rinuncia a una stoccata agli altri: «Colpisce che anche Comune, vigili e carabinieri ci abbiano messo 30 ore. Chi è senza peccato scagli la prima pietra». Una conclusione in tono semiserio per una vicenda che, per fortuna, non ha avuto alcuna conseguenza.

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Ciarambino, dal Consiglio di Stato altra bocciatura su Pomigliano

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“Un’altra bocciatura per il sindaco di Pomigliano e la sua giunta. Dopo l’arrivo della commissione d’accesso, dopo il licenziamento del comandante Maiello decretato come illegittimo dal Tar, dopo le denunce contro l’ex sindaco e l’ex segretario comunale finite in un nulla di fatto, ora il Consiglio di Stato assesta un altro schiaffo all’amministrazione comunale di Pomigliano, sancendo di fatto l’illegittimità dei provvedimenti sull’ufficio tecnico e sulla rimozione della dirigente. E a pagarne le conseguenze saranno ancora una volta i cittadini, finanziatori loro malgrado dell’ennesima “caccia alle streghe” finita con un buco nell’acqua”: così Valeria Ciarambino, Vicepresidente del Consiglio regionale e cittadina pomiglianese. “Ora, come per il comandante Maiello, dovrà avvenire il reintegro della dirigente rimossa e magari si dovranno mettere le mani nelle tasche dei cittadini anche per pagare cospicui risarcimenti. E mentre l’amministrazione comunale non ne azzecca una, la nostra città sprofonda in un degrado mai vissuto prima” conclude Ciarambino.

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