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Cronache

Una pezzo di città intitolato ad un eroe delle missioni di pace ucciso dall’uranio “amico”

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L’archeologo napoletano Fabio Maniscalco non aveva compiuto 43 anni, quando un cancro al pancreas causato dall’esposizione all’uranio impoverito della guerra di Bosnia-Erzegovina, lo ha stroncato nel 2008. Oggi gli è stato dedicato lo slargo di Viale dei Pini ai Colli Aminei a Napoli. Professore presso L’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” era un grande specialista di archeologia subacquea e di missioni internazionali specializzate nella salvaguardia e nel recupero di opere d’arte. Riconosciuto “vittima del dovere” dal Ministero della Difesa, la sua specializzazione lo fa rientrare in quei monuments-man che si sono occupati dei traffici di opere d’are nelle guerre contemporanee e soprattutto contro le archeomafie. Fabio Maniscalco è una vittima illustre di quella “Sindrome dei Balcani” che scoppia come caso nel 2001 al ritorno dei militari della ex-Jugoslavia che cominciano ad ammalarsi dopo i bombardamenti Nato in Bosnia Erzegovina e nel Kosovo in cui venivano utilizzati senza alcuna protezione proiettili all’uranio impoverito (Depleted Uranium) derivati da materiale di scarto delle centrali nucleari. La “Sindrome dei Balcani” è ancora oggi oggetto di contenzioso giudiziario in tanti casi. Le cifre sui militari deceduti oscillano molto: si parla di 307 morti e oltre 3.700 malati. Una cosa è certa, in Italia solo nel 2018 grazie alla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito presieduta da Gian Piero Scanu, si è arrivati alle reticenze dei vertici militari.

Fabio Maniscalco come ufficiale dei Bersaglieri ha partecipato alla prima missione di un esercito che monitorava i beni culturali di un paese in guerra dopo il Secondo conflitto; ha diretto dal ’98 l’Osservatorio per la Protezione dei BB.CC. in Area di Crisi, ha seguito e progettato attività di salvaguardia in Albania, Kosovo, Algeria, Nigeria, Iraq e Afghanistan. E’ stato trai fondatori e vicepresidente del Comitato Italiano dello Scudo Blu (UNESCO).

Mentre si era già ammalato da un anno di adenocarcinoma pancreatico, venne candidato al Premio Nobel per la pace nel 2007 grazie anche all’interessamento del suo ex-professore Loius Godart. La sua carriera internazionale era cominciata da Napoli: nel ’95 era stato consulente per i beni sequestrati al boss della camorra Nuvoletta, che riciclava denaro acquistando quadri di Palizzi.

Rossana di Poce

 

 

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Cronache

La piccola orsa trovata in Molise ha completato lo svezzamento

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L’orsetta Nina, trovata a maggio da sola nei pressi di Pizzone (Isernia) è stata trasferita in un ambiente più simile alle condizioni naturali in cui dovrà vivere una volta libera. Lo ha reso noto il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, con un post sui canali social. “Nina era stata trovata nei pressi di Pizzone (Isernia) all’inizio di maggio – si legge nel post – allevata con l’obiettivo di essere reintrodotta in natura non appena le condizioni lo permetteranno. Sabato scorso, i tecnici del Parco, biologi e veterinari, hanno provveduto a trasferire Nina in una nuova struttura.

L’orsetta ha completato con successo lo svezzamento, seguendo il protocollo sviluppato con il supporto di esperti internazionali, sia europei sia nordamericani. Ora può vivere in un ambiente più adatto alle sue esigenze attuali, molto più simile a ciò che incontrerà una volta tornata libera. Si tratta di un ampio recinto immerso nella natura, dove potrà continuare a crescere e prendere peso”. Nel post si ricorda anche che il nome dato all’orsetta “è stato selezionato dopo il concorso lanciato in occasione della seconda edizione della giornata dedicata all’orsa Amarena. Abbiamo deciso di accogliere la proposta degli studenti dell’Istituto Comprensivo “Gesuè” di San Felice a Cancello (Caserta), che hanno suggerito proprio il nome Nina”.

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Cronache

Omicidio Giulia Tramontano, legali di Impagnatiello: nessun agguato, fu un errore dettato dal narcisismo

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Non un agguato pianificato, ma un delitto “maldestro”, frutto di “errori” e di una personalità narcisistica incapace di sopportare il crollo della propria immagine. È questa la linea della difesa di Alessandro Impagnatiello, l’ex barista dell’Armani Café condannato all’ergastolo per l’omicidio della compagna Giulia Tramontano, incinta al settimo mese, assassinata a Senago il 27 maggio 2023.

Mercoledì si apre il processo d’appello davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Milano. L’avvocata Giulia Geradini, che difende l’imputato, chiederà di riformare la sentenza di primo grado, sostenendo che l’omicidio non fu premeditato ma la conseguenza tragica di una relazione doppia che Impagnatiello “avrebbe voluto interrompere”, ma che non è riuscito a gestire, sopraffatto dalla necessità di preservare un’immagine pubblica costruita con cura.

Le richieste della difesa: escludere le aggravanti

La difesa punta a escludere le aggravanti della premeditazione e della crudeltà, non riconosciute dal gip Angela Laura Minerva già nella convalida del fermo, e chiederà il riconoscimento delle attenuanti generiche. Se accolte, queste richieste potrebbero ridurre la condanna a 30 anni.

Secondo l’avvocata, non ci sarebbe “alcuna prova” di un omicidio studiato nei dettagli: la dinamica sarebbe invece “grossolana e maldestra”, come dimostrerebbe il modo in cui Impagnatiello ha cercato di disfarsi del cadavere — bruciandolo con alcol e benzina — e di simulare la scomparsa della 29enne per quattro giorni, spostandone il corpo tra il box, la cantina e l’auto prima di abbandonarlo in un’intercapedine.

L’accusa: 37 coltellate e un corpo dato alle fiamme

La ricostruzione fatta dalla Corte in primo grado parla di 37 coltellate inferte tra le 19.05 e le 19.30 del 27 maggio. Un gesto di violenza estrema, seguito dal tentativo di cancellare ogni traccia, mentre il corpo della giovane, scopertasi poco prima tradita da una collega del compagno, veniva occultato per giorni.

A sostenere l’accusa in aula sarà la sostituta procuratrice generale Maria Pia Gualtieri, che si opporrà alla richiesta della difesa e chiederà la conferma dell’ergastolo.

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Attentati a commissariato e caserma CC per vendetta, un arresto

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Arrestato il presunto autore degli attentati incendiari avvenuti a febbraio scorso nelle sedi della compagnia carabinieri di Castel Gandolfo e del commissariato di polizia di Albano Laziale, vicino Roma. I carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Frascati, del ROS, e gli agenti della Digos di Roma hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Velletri su richiesta della Procura, nei confronti di un 34enne di origine egiziana, regolare sul territorio nazionale e con precedenti di polizia. E’ accusato di strage politica, ovvero commessa allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato. Il movente sarebbe legato a un rancore profondo e persistente nei confronti delle forze dell’ordine locali, maturato nell’ambito di vicende personali.

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