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Ucciso dal flash-ball, un nuovo caso scuote la Francia

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“Mohamed non era un casseur. Non faceva nulla di male. Stava soltanto riprendendo delle immagini. Io dico che è stato un poliziotto a sparargli”: il grido disperato della moglie del ventisettenne ucciso da una “flashball” a Marsiglia, nella notte fra sabato e domenica, torna a scuotere la Francia. L’ipotesi che un poliziotto abbia sparato con un’arma antisommossa da pochi metri a un ventisettenne, padre di un bambino e in attesa di un secondo, uccidendolo, è al centro di una duplice inchiesta in Francia. Mohamed era sul suo motorino e riprendeva foto e video dei furiosi scontri di Marsiglia. Secondo la procuratrice di Marsiglia, Dominique Laurens, è morto per uno “shock violento a livello del torace” causato da un proiettile di tipo flash-ball in dotazione della Police Nationale.

Un dramma che, almeno per ora, non sembra riaccendere la rabbia delle banlieue, dopo una nuova notte tranquilla sotto i cieli della République. Nell’intervista a radio Rtl, la moglie assicura che la vittima non stava partecipando alle rivolte ma “guardava la gente, faceva fotografie”. “Ho il video che dimostra che mio marito non faceva nulla”, ha detto la vedova sotto shock, aggiungendo: “A mio parere, è stato un poliziotto a sparargli adosso. Lo ha visto mentre stava filmando, ha sparato con un flash-ball”. Da parte sua, l’emittente Bfm-tv ha diffuso un video, presentato come l’ultimo realizzato con il suo telefonino dal giovane uomo, che mostra diversi agenti effettuare un arresto, di notte, dinanzi ad un negozio del centro.

La coppia aveva un bambino ed era in attesa di un secondo. Secondo Bfm-tv, l’uomo sarebbe deceduto per arresto cardiaco: dopo essere stato colpito mentre si trovava a bordo del suo scooter, si è accasciato sul manubrio. E’ stato rinvenuto a terra, lungo il Cours Lieutaud, a poche centinaia di metri dal Vieux-Port e dalle strade del centro saccheggiate in quelle stesse ore dai rivoltosi. Le due inchieste aperte dopo l’accaduto puntano, tra l’altro, a determinare se la morte del ventisettenne sia legata o meno “ai disordini e ai saccheggi” che erano in corso a Marsiglia. La tensione scoppiata dopo l’uccisione di Nahel è comunque continuata a scendere e la notte tra ieri e oggi si è conclusa con appena 16 fermi, di cui sette a Parigi e in banlieue. Il governo sta studiando ora la possibilità di “sospendere alcune funzionalità” dei social network in caso di nuove rivolte ma esclude qualsiasi ipotesi di “black-out generalizzato” delle piattaforme internet.

Al termine del consiglio dei ministri all’Eliseo, il portavoce dell’esecutivo Olivier Véran ha inoltre annunciato una circolare per consentire ai comuni di ricostruire “senza ritardi” gli edifici pubblici andati distrutti. Dall’inizio delle rivolte, una settimana fa, sono stati bruciati o danneggiati 1.100 edifici e 270 commissariati e gendarmeria sono stati assaltati. Per quanto riguarda le forze dell’ordine, l’ondata di violenze ha provocato il ferimento di 800 effettivi. Oltre 3.600 i fermati. Il ministrodei Trasporti, Clément Beaune, ha frattanto annunciato il ritorno alla normalità della circolazione di bus e tram.

Nell’Ile-de-France, la regione parigina che concentra quasi il 20% della popolazione, la compagnia Ratp ha denunciato una quarantina di bus bruciati, con “danni per almeno 20 milioni di euro”. Intanto nella Francia dei veleni continuano le polemiche politiche e 90 organizzazioni della sinistra – tra partiti, sindacati e associazioni – hanno indetto per sabato “cortei civici” in tutto il Paese per esprimere “lutto e collera” e denunciare le politiche ritenute “discriminatorie” nelle periferie. Tra le richieste della gauche c’è anche una “profonda riforma della polizia, delle sue tecniche di intervento e dei suoi armamenti”. E da Bruxelles è arrivato il monito del commissario Ue alla Giustizia, Didier Reynders. Intervistato dalla Rtb, l’ex ministro belga si è mostrato preoccupato per “il livello molto elevato di violenza” in Francia e ha invocato l’avvio di una “riflessione” sulla dottrina francese di mantenimento dell’ordine pubblico.

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Parigi, al via il processo ai “nonnetti rapinatori” che derubarono Kim Kardashian

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È iniziato ieri, davanti al tribunale di Parigi, il processo contro i dieci imputati – nove uomini e una donna – accusati della clamorosa rapina ai danni di Kim Kardashian, avvenuta nell’autunno del 2016. Il principale indiziato, Aomar, 68 anni, si è presentato in aula con passo incerto e bastone alla mano, fedele al suo profilo di “papy braqueur”, come i media francesi hanno soprannominato la banda: i nonnetti rapinatori.

I protagonisti della rapina

Aomar, nato nel 1956 in Algeria, è un veterano del crimine, autore dei primi furti già a 14 anni. A presentargli i complici era stata la compagna Christiane Glotin, detta Cathy, oggi 78enne, che gli fece incontrare “Pierrot il grosso”, 80 anni, altra vecchia conoscenza del mondo criminale francese.

Tra gli altri protagonisti c’è Yunice Abbas, 71 anni, che tentò una fuga rocambolesca in bicicletta portando con sé una borsa che credeva piena di armi, ma che invece conteneva gioielli e perfino il cellulare di Kim Kardashian, da cui avrebbe ricevuto una chiamata della cantante Tracy Chapman.

Spicca anche Didier “occhi blu” Dubreucq, 69 anni, con 23 anni di prigione alle spalle, che avrebbe partecipato direttamente all’irruzione nella suite della star americana.

La notte del colpo milionario

La rapina avvenne la notte del 3 ottobre 2016, in una suite di lusso nascosta in rue Tronchet, vicino alla Madeleine. Kim Kardashian, sola nella stanza, fu sorpresa da due uomini travestiti da poliziotti. Le strapparono il cellulare e, sotto minaccia, la costrinsero a consegnare l’anello di fidanzamento, un diamante da quasi 19 carati, regalo del marito Kanye West, valutato circa quattro milioni di dollari. La star fu legata, imbavagliata e rinchiusa nel bagno, mentre i rapinatori fuggivano con il bottino, comprendente anche contanti, gioielli e orologi di lusso.

La banda fu individuata grazie alle tracce di Dna lasciate nella suite.

Una rapina da fumetto

Sull’incredibile vicenda sono già stati pubblicati fumetti e libri, alcuni scritti dagli stessi imputati, che hanno contribuito ad alimentare il mito dell’«impresa dei nonnetti». Kim Kardashian è attesa in aula per testimoniare il prossimo 13 maggio.

 

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Elezioni in Canada, liberali di Carney vincono legislative e preparano la guerra a Trump

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Secondo le proiezioni dei media locali, è il Partito liberale di Mark Carney a vincere le elezioni legislative canadesi. I risultati preliminari del voto non permettono però di stabilire se il premier guiderà un governo di maggioranza o di minoranza.

Il primo ministro si avvierebbe quindi a portare i Liberali verso un nuovo mandato, dopo aver convinto gli elettori che la sua esperienza nella gestione delle crisi economiche lo rende pronto ad affrontare le mire del presidente americano Donald Trump. L’emittente pubblica Cbc e Ctv News hanno entrambe previsto che il Partito liberale formerà il prossimo governo canadese. Solo pochi mesi fa la strada per il ritorno al potere dei conservatori guidati da Pierre Poilievre sembrava spianata, dopo dieci anni sotto la guida di Justin Trudeau. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua offensiva senza precedenti contro il Canada, con dazi e minacce di annessione, hanno cambiato la situazione.

Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

A Ottawa, dove i liberali si sono radunati per la notte delle elezioni, l’annuncio di questi primi risultati ha provocato un applauso e grida di entusiasmo. “Sono felicissimo, è ancora presto ma sono fiducioso che riusciremo ad avere la maggioranza”, David Lametti, ex ministro della Giustizia. La guerra commerciale di Trump e le minacce di annettere il Canada, rinnovate in un post sui social media il giorno delle elezioni, hanno indignato i canadesi e hanno reso i rapporti con gli Stati Uniti un tema chiave della campagna elettorale.

Carney, che non aveva mai ricoperto una carica elettiva e aveva sostituito Trudeau come premier solo il mese scorso, ha basato la sua campagna su un messaggio anti-Trump. In precedenza ha ricoperto la carica di governatore della banca centrale sia nel Regno Unito che in Canada e ha convinto gli elettori che la sua esperienza finanziaria globale lo rende pronto a guidare il Paese attraverso una guerra commerciale. Ha promesso di espandere le relazioni commerciali con l’estero per ridurre la dipendenza del Canada dagli Stati Uniti.

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Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

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Ha guidato due banche centrali ma non era mai stato eletto. Il primo ministro canadese Mark Carney, che ha vinto le elezioni generali di lunedi’, e’ abituato a navigare nella tempesta. Con la vittoria del suo partito alle elezioni legislative, dovra’ rapidamente mettersi alla prova contro Donald Trump. Una sfida che dice di poter vincere: “Sono piu’ utile nei momenti di crisi.

Non sono molto bravo in tempo di pace”, ha detto di recente, in tono divertito, a un piccolo pubblico in un bar dell’Ontario. In poche settimane, questo sessantenne novizio della politica e’ riuscito a convincere i canadesi che la sua competenza in materia economica e finanziaria lo rende l’uomo giusto per guidare il paese immerso in una crisi senza precedenti. In effetti, la recessione minaccia questa nazione del G7, la nona economia piu’ grande del mondo, dopo l’imposizione dei dazi doganali da parte di Trump, che continua a ripetere che il destino del Canada e’ quello di diventare uno stato americano.

Nato a Fort Smith, nell’estremo nord, ma cresciuto a Edmonton, in questo West canadese piuttosto rurale e conservatore, Mark Carney e’ padre di quattro figlie e appassionato di hockey. Ha studiato ad Harvard e Oxford, prima di fare fortuna come banchiere d’investimento presso Goldman Sachs, a New York, Londra, Tokyo e Toronto. Nel 2008, nel bel mezzo della crisi finanziaria globale, e’ stato nominato governatore della Banca del Canada dal primo ministro conservatore Stephen Harper. Cinque anni dopo, e’ stato scelto dal primo ministro britannico David Cameron per dirigere la Banca d’Inghilterra, diventando il primo straniero a dirigere l’istituto. Poco dopo, si trovera’ di fronte alle turbolenze causate dal voto sulla Brexit. Un compito svolto con “convinzione, rigore e intelligenza”, secondo l’allora Cancelliere dello Scacchiere britannico, Sajid Javid.

Da anni circolavano voci sul suo ingresso in politica. Ma e’ stato solo all’inizio di gennaio, dopo le dimissioni di Justin Trudeau, di cui era stato consigliere economico, che ha deciso di buttarsi nell’arena. Dopo aver conquistato il Partito Liberale all’inizio di marzo, e’ diventato primo ministro e ha indetto le elezioni in seguito, dicendo che aveva bisogno di un “mandato forte” per affrontare le minacce di Trump, che ha cercato di “spezzare” il Canada.

Una vera e propria scommessa per questo ex portiere di hockey che non aveva mai fatto campagna elettorale e che ha preso le redini di un partito al suo punto piu’ basso nei sondaggi, appesantito dall’impopolarita’ di Justin Trudeau alla fine del suo mandato. E molti analisti hanno messo in dubbio la sua capacita’ di ribaltare la situazione su molti canadesi, mentre molti canadesi hanno incolpato i liberali per l’alta inflazione e la crisi immobiliare nel paese. Poco carismatico, in contrasto con l’immagine sgargiante di Justin Trudeau nei suoi primi giorni, sembra che siano proprio la sua serieta’ e il suo curriculum ad aver finalmente convinto la maggioranza dei canadesi.

“E’ un po’ un tecnocrate noioso, che soppesa ogni parola che dice”, dice Daniel Be’land della McGill University di Montreal. Ma anche “uno specialista in politiche pubbliche che padroneggia molto bene i suoi dossier”. “Questo profilo e’ rassicurante e soddisfa le aspettative dei canadesi per gestire questa crisi”, aggiunge Genevie’ve Tellier. Il suo principale avversario durante la campagna, il conservatore Pierre Poilievre, lo ha descritto come un membro dell'”e’lite che non capisce cosa sta passando la gente comune”, ha detto Lori Turnbull, professoressa alla Dalhousie University. Resta un argomento che sembra fargli perdere la flemma: la questione dei suoi beni. Secondo Bloomberg, a dicembre aveva stock option per un valore di diversi milioni di dollari. E i suoi rari scambi di tensione con i giornalisti durante la campagna elettorale riguardavano questa fortuna personale.

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