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Esteri

Turisti russi in Georgia, l’ira degli abitanti

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La riapertura dei voli diretti tra Tbilisi e Mosca e la distensione dei rapporti tra i due Paesi, spinta dall’esecutivo georgiano in contrasto con l’isolamento della Russia voluto dall’Ue, ha riaperto le porte al turismo di massa russo. Centinaia di migliaia di turisti si sono riversati nella capitale georgiana, nei resort del Mar Nero e nelle celebri aziende vinicole della regione di Kakheti. Ma a molti georgiani la cosa non piace affatto. E in tutto il Paese si moltiplicano le proteste. L’esercito russo infatti occupa ancora il 20% della Georgia, nelle regioni dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, autoproclamate indipendenti e sorvegliate da due enormi basi russe infisse come pugnali nel fianco della repubblica caucasica. Seduto al bancone della sua lavanderia a gettoni che affaccia sulle vie acciottolate del centro di Tbilisi, Gocha ha imparato a dire in inglese solo i nomi dei tre tipi di detersivi in vendita e la frase “non parlate russo per favore”. Un cartello che riporta la scritta “non parlate la lingua degli occupanti” è attaccato a fianco a una bandiera ucraina.

I suoi clienti però sono per due terzi russi e il proprietario della lavanderia dopo aver più volte indicato il cartello finisce per raccontare in russo a due avventori la storia della sua infanzia nella Georgia sovietica per l’intera durata di un ciclo di lavaggio e asciugatura. Dall’inizio della guerra in Ucraina in Georgia sono entrati più di un milione e mezzo di russi, numeri preoccupanti per un Paese di 5 milioni di abitanti. Una migrazione spesso a senso unico, e lo dimostra il dato raccolto dall’inizio del 2023. Il quartiere di Sololaki, nel centro storico di Tbilisi, caratterizzato dai vecchi terrazzi di legno cesellato con decorazioni tradizionali e dai cortili in cui si nascondono oggi ristoranti e bar alla moda, è costellato di bandiere ucraine, europee e della Nato e al suo ingresso troneggia la scritta ‘Ruski go home’.

La zona però “è ormai frequentata solo da russi”, dice Nini, attivista di una Ong che si batte contro la corruzione. “Metà dei russi sono veri turisti, l’altra metà sono persone che se la sono data gambe a inizio guerra per non essere mandate al fronte, e si sono stabilite qua, al governo fa comodo perché portano soldi ma qui in città si sente quasi solo parlare russo”, spiega la ragazza. In un ristorante di proprietà di un investitore svizzero il menù recita chiaramente che i clienti russi devono capire che “anche se sono contrari alla guerra ne portano le responsabilità e che se non condividono sono tenuti ad andarsene”. E nel frattempo un bar piantato nel centralissimo Daedena Park ha sviluppato un’app con cui i russi possono siglare un documento digitale in cui chiedono scusa per l’invasione dell’Ucraina. Senza la firma, non si può ordinare da bere. Il governo difende la scelta: “Un divieto di ingresso ai turisti russi in Georgia, come vorrebbe l’opposizione radicale, infliggerebbe danni per circa un miliardo di dollari al Paese, mentre la nostra intera economia è di 30 miliardi di dollari”, sostiene il presidente del partito Sogno Georgiano, Irakli Kobakhidze. I russi dunque non sono benvenuti ma sono necessari. E la cosa comunque non sembra turbarli. Sui social infatti i turisti condividono informazioni su dove andare e cosa evitare, molti ristoranti offrono comunque il servizio in russo e negli alberghi più alla moda si sente parlare praticamente solo con accento moscovita. Per l’opposizione quello in corso è solo un esperimento per testare le acque e “quando saremo ormai assuefatti a sentir solo parlare russo, faranno ancora più concessioni a Mosca”, spiega in un editoriale Nika Gvaramia, uno dei leader dell’opposizione. Con un monito: “E’ un’altra invasione, senza carri armati ma sempre d’invasione si tratta”.

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Esteri

Caos eredità Maradona: le figlie accusano l’ex avvocato Morla di frode e chiedono la restituzione di 13 milioni di dollari

Le figlie di Diego Maradona accusano l’ex legale Morla di frode: spariti 13 milioni dai conti esteri. Al centro del caso la società Sattvica e i diritti d’immagine.

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Dove sono finiti 13 milioni di dollari? È la domanda che oggi agita il tribunale di Buenos Aires e infiamma lo scontro tra gli eredi di Diego Armando Maradona e l’avvocato Matías Morla (nella foto con Diego), il rappresentante legale e uomo di fiducia del Pibe de Oro negli ultimi anni della sua vita. A portare la questione in tribunale sono state Dalma e Gianinna, figlie di Diego e di Claudia Villafañe, che accusano Morla di aver sottratto fondi e di aver agito alle spalle degli eredi legittimi.

Secondo le figlie dell’ex campione, il patrimonio occultato ammonterebbe a oltre 13 milioni di dollari, presenti su conti bancari esteri a nome del padre. Le accuse non si fermano qui: Morla avrebbe anche trasferito in modo sospetto il controllo della società Sattvica – che gestisce i diritti commerciali sul nome e sull’immagine di Maradona – alle sorelle di Diego, Rita e Claudia Norma Maradona, eludendo così il passaggio naturale ai figli eredi.

La frode secondo le figlie

Nel dossier presentato in tribunale, i legali di Dalma e Gianinna parlano apertamente di frode post mortem, sostenendo che la firma apposta da Maradona sui documenti che affidavano pieni poteri a Morla potrebbe essere stata falsificata. La società Sattvica, secondo la loro ricostruzione, sarebbe stata solo formalmente intestata a Morla e al cognato Maximiliano Pomargo, ma in realtà sottostava alla volontà di Diego, che ne era il socio occulto. Dopo la morte del Pibe, il rifiuto di Morla di riconsegnare ai figli il controllo della società rappresenterebbe un’ulteriore violazione dei loro diritti.

Conti bancari e attività commerciali

Nel programma argentino “Intrusos”, sono stati resi noti i dettagli dei presunti conti esteri:

  • 1,6 milioni presso Bank Caribbean

  • 1,9 milioni presso la North National Bank di Abu Dhabi

  • 5 milioni presso Paribas

  • 5 milioni presso HSBC

Fondi che, secondo l’accusa, Morla avrebbe occultato e che ora gli eredi chiedono di recuperare e suddividere tra i cinque figli riconosciuti di Maradona: Dalma, Gianinna, Diego Jr, Jana e Diego Fernando.

Il ruolo controverso di Morla

Morla, attraverso il suo legale Rafael Cuneo Libarona, ha rigettato ogni accusa, sostenendo che la gestione dei diritti d’immagine fu affidata alle sorelle di Diego su esplicita volontà del Pibe, che aveva interrotto ogni rapporto con l’ex moglie Claudia e le figlie. Nonostante ciò, la sua figura resta al centro delle polemiche. Nel 2021, in occasione di una manifestazione a Buenos Aires per chiedere giustizia sulla morte del campione, Morla fu duramente contestato, insieme al neurochirurgo Luque, rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio con dolo eventuale.

Il marchio Maradona e Sattvica

Intanto Sattvica, la società al centro della disputa, continua a gestire le licenze commerciali legate a Maradona: abbigliamento, tequila, caramelle, palloni e gadget firmati dal campione. La società ha sede sia in Argentina che in Spagna, e a oggi Morla avrebbe confermato di avere rapporti quotidiani solo con le sorelle del Pibe.

La battaglia legale, appena iniziata, si preannuncia lunga e complessa. Sul piatto non ci sono solo soldi e proprietà, ma anche il controllo del nome e del mito di Diego Armando Maradona, che continua a vivere nei cuori dei tifosi e nei tribunali.

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Esercito Usa crea nuova zona militare a confine Messico

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L’esercito statunitense ha creato una seconda zona militare lungo il confine con il Messico, aggiungendo un’area in Texas dove le truppe possono trattenere temporaneamente migranti o intrusi, dopo che un’altra area simile era stata designata nel New Mexico il mese scorso. Lo scrive l’agenzia Reuters sul suo sito web. Il mese scorso l’amministrazione Trump aveva designato una prima striscia di 440 km quadrati lungo il confine del New Mexico come “Area di Difesa Nazionale”. Ora arriva la “Texas National Defense Area”, una striscia lunga 101 km che si estende a est dal confine tra Texas e New Mexico a El Paso.

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Ok Usa a equipaggiamenti F-16 per l’Ucraina

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Il Dipartimento di Stato americano ha approvato la potenziale vendita di parti e equipaggiamenti del caccia F-16 all’Ucraina per 310 milioni di dollari: lo ha reso noto il Pentagono. Tra i principali appaltatori figurano Lockheed Martin Aeronautics, Bae Systems e Aar Corporation. (

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