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Cinema

Trentanni senza Sergio Leone, il più grande regista della storia del cinema

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Leggere sui dizionari di cinema di tutto il mondo che Sergio Leone è unanimemente riconosciuto come uno dei più grandi autori nella storia del cinema fa perfino sorridere ricordando diffidenze, ostracismi, superficialità dei giudizi che hanno accompagnato la sua carriera, almeno fino all’ultimo film, “C’era una volta in America” del 1984. Sergio se ne è andato il 30 aprile del 1989, mentre preparava il colossal che idealmente avrebbe aperto una nuova stagione della sua opera, il racconto dell’assedio di Leningrado cui per anni ha cercato di rimettere mano, come esplicito omaggio al maestro, Giuseppe Tornatore. Domani la citta’ di Roma lo ricordera’ con una sobria cerimonia a Viale Glorioso, tra Trastevere e Monteverde, dove una targa ricorda l’ultimo “imperatore” romano. A 18 anni spunta una particina in “Ladri di biciclette” ma il mondo sognato dal ragazzo ha gia’ i confini sterminati del West, sui pratoni romani vede cavalcare Tom Mix e nel sangue gli scorre la passione per un cinema epico e molto lontano dal neorealismo, nonostante l’attenzione al reale resti per lui un obbligo morale. Dopo aver lavorato sui set di “Quo vadis?” e “Ben Hur” assistera” Mario Bonnard come regista della seconda unita’ in “Gli ultimi giorni di Pompei”. E’ il passo decisivo e due anni dopo, nel 1961, si vede proporre la regia per un colossal “peplum” da girare con basso budget e attori rimediati all’ultimo momento. Usando uno stile in cui lo spartito popolare dell’epoca si mischia a una diversa satira sui luoghi comuni del genere, Leone firma il suo esordio ufficiale con “Il colosso di Rodi”.

Il buon risultato al botteghino non inganno’ il giovane regista che sentiva come il filone cosiddetto dei “sandaloni” fosse ormai prossimo alla fine e uso’ il credito ottenuto dai produttori per virare verso un genere diverso, il western all’europea, fino ad allora praticato solo dal cinema tedesco. Esterni in Almeria (dove la coproduzione era favorita), interni a Cinecitta’ e nella campagna romana furono cornice a “Per un pugno di dollari” (1964) con Gian Maria Volonte’. Il resto e’ storia e mitologia personale. Nonostante la sfiducia che circondava il film, questo esplose invece come una bomba inattesa, incassi monstre e vendite in tutto il mondo, Asia compresa. Sergio Leone cavalca allora l’onda del successo ma lo fa a modo suo inventando l’ormai celebre “Trilogia del dollaro” che dopo “Per qualche dollaro in piu'” lo porta a girare in America con capitali e star americane “Il buono il brutto il cattivo” nel 1966.Da quel momento in poi Sergio Leone diventa un guru del cinema internazionale: centellina le sue regie (dirigera’ “C’era una volta il west” nel 1968 per coronare la sua rappresentazione dell’epopea western e poi “Giu’ la testa” quasi controvoglia nel 1971). “C’era una volta in America” e’ questo fin dal titolo: la disperata ricerca di un sogno che viene violentato dalla crudelta’ della vita ma che non cancella l’illusione di un eterno bambino.

Il sodalizio con Robert De Niro esalta un film corale che non per caso viene spesso accostato al “Gattopardo” di Luchino Visconti. A distinguere il cinema di Leone, c’e’ uno stile, una “Maniera Leone” che ha fatto scuola e a cui in tantissimi hanno reso omaggio, Quentin Tarantino per primo che gli ha pure ispirato il suo prossimo film “C’era una volta a Hollywood”. Per non parlare di Clint Eastwood, diventato regista sulle orme del “papa’” italiano e che gli ha dedicato il suo capolavoro “Gli spietati”. La maniera di Leone si incarna nel suo uso sapiente dello zoom, nella sua ricerca ossessiva dei primissimi piani (“fammi un Leone” dice spesso Tarantino), nella dilatazione straniante dei tempi narrativi in attesa di un evento costantemente rimandato (l’inizio di “c’era una volta il west”), nella teatralita’ ostentata dei riti fondanti (il duello finale di “Il buono il brutto il cattivo”). Le musiche di Ennio Morricone, le sceneggiature padroneggiate con mano sicura ma alimentate da talenti sempre nuovi (Dario Argento e Bernardo Bertolucci collaborano a “C’era una volta il west”) e da complici/amici come Luciano Vincenzoni hanno fatto il resto. Nella vita “l’orso” Sergio Leone e’ stato produttore, uomo d’affari, talent scout (gli si deve la scoperta di Carlo Verdone), anima solitaria e affettuoso marito e padre, un vero pater familias capace di instillare ai figli Andrea e Raffaella un gusto vero del cinema che oggi si ritrova nelle scelte del Leone Group.

Lo scorso dicembre la Cinematheque Francaise e la Cineteca di Bologna gli hanno reso omaggio con una grandiosa mostra che il 12 dicembre approdera’ anche nella “sua” Roma all’Ara Pacis. In questi giorni torna in sala in versione restaurata, il suo primo vero film “Per un pugno di dollari” ma gli spettatori piu’ giovani potranno ritrovare tutto il suo genio sul grande schermo grazie ai restauri della Cineteca di Bologna e della Warner (l’ormai celebre directors cut di “C’era una volta in America”). Di lui oggi si puo’ dire a giusto titolo: e’ stato un gigante che guardava al mondo e mai ha scordato le sue radici, e’ stato classico e sperimentatore insieme, ha saputo far rivivere sulla scena mondiale del mito americano i grandi filoni della sua matrice europea: melodramma, epica, commedia. Insomma, Sergio Leone ci appare oggi come il Giuseppe Verdi del cinema italiano.

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Cinema

Cristina Comencini: il cinema delle donne è una nuova ricchezza. Io dalla parte delle donne sempre

Cristina Comencini racconta al Corriere della Sera il successo de “Il treno dei bambini”, la sua visione sul cinema delle donne, la politica e il suo nuovo amore.

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Cristina Comencini (le foto sono di Imagoeconomica), con il suo ultimo film “Il treno dei bambini” tratto dal romanzo di Viola Ardone e disponibile su Netflix, ha raggiunto quasi trenta milioni di visualizzazioni. «Mi sembra incredibile», racconta, «ma credo che il tema profondo del dopoguerra, del trauma che la guerra lascia sui sentimenti, abbia colpito il pubblico di tutto il mondo».

Il cinema tra piattaforme e sale

«Portare la gente in sala è bellissimo, ma difficile. Le piattaforme e il cinema possono coesistere. L’importante è, come diceva mio padre Luigi Comencini, mantenere sempre la massima verità e bellezza in quello che si crea», afferma Cristina, riflettendo sulla trasformazione del mondo cinematografico.

Il successo e la nuova generazione di registe

Comencini riconosce l’importanza del successo ma non lo vive come un punto di arrivo: «È un mestiere da montagne russe». È felice dell’affermazione di tante donne nel cinema italiano, come Paola Cortellesi, sottolineando: «Il cinema si è finalmente aperto alle storie delle donne, arricchendosi di nuove prospettive».

Il rapporto con la famiglia e il film di Francesca Comencini

Cristina racconta il forte legame con le sorelle e commenta il film di Francesca Comencini su loro padre Luigi: «Una scelta giusta. Ognuno vive un padre a modo suo». Nessuna gelosia, ma un affetto profondo che ha sempre unito la famiglia.

CRISTINA COMENCINI REGISTA

Politica, femminismo e il ruolo di Giorgia Meloni

Comencini ribadisce la sua radice di sinistra e il suo impegno per il femminismo: «Il sostegno reciproco tra donne non deve mai venir meno». Sul premier Giorgia Meloni, pur nella distanza politica, riconosce: «Per la sua parte politica sta facendo bene».

I cambiamenti nell’estetica e il coraggio delle attrici

Parlando di Giovanna Mezzogiorno, Cristina denuncia il problema della discriminazione estetica nel cinema: «Finalmente si inizia a dare meno peso all’apparenza e più al talento».

La maternità precoce e l’amore ritrovato

Diventata madre a 18 anni, Cristina confida di non aver rimpianti: «Mi ha dato la ricchezza di tutto ciò che ho scritto». Oggi vive una nuova fase felice della sua vita con il documentarista francese François Caillat, tra Roma e Parigi.

Il futuro: un nuovo romanzo in arrivo

Cristina annuncia anche il suo prossimo romanzo, “L’epoca felice”, che uscirà a ottobre per Feltrinelli: «Parlerà dell’adolescenza e della capacità della vita di sorprenderci anche quando meno ce lo aspettiamo».

 

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Cinema

Morto a 65 anni l’attore americano Val Kilmer

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È morto all’età di 65 anni l’attore americano Val Kilmer. Lo rende noto la famiglia, citata dal New York Times. Il decesso è avvenuto a Los Angeles a causa delle complicazioni di una polmonite, ha spiegato la figlia Mercedes Kilmer. All’attore era stato diagnosticato un cancro alla gola nel 2014, da cui era riuscito a guarire. Tra le sue tante interpretazioni si ricordano in particolare quella Jim Morrison in ‘The Doors’ del 1991 di Oliver Stone, quella di Iceman in ‘Top Gun’ del 1986 di Tony Scott e quella di Bruce Wayne in ‘Batman forever’ del 1995 di Joel Schumacher.

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Cinema

Giovanni Bagnasco e “il mostro”: “Ho imparato a non essere vittima. La felicità è una responsabilità”

Nella serie L’arte della gioia è Ippolito, il “mostro” che conquista il cuore dello spettatore. Nella vita, Giovanni Bagnasco è un ragazzo di 25 anni con il volto segnato dalla sindrome di Treacher Collins e un’anima limpida che illumina ogni sua parola. In un’intervista al Corriere della Sera racconta la sua storia fatta di sfide, consapevolezza e rinascita.

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«Potrei scrivere un libro sugli sguardi. Da piccolo anche il non detto faceva male», racconta Giovanni Bagnasco. Il suo volto racconta una storia rara, segnata dalla sindrome di Treacher Collins, una malattia congenita che colpisce ossa e cartilagini del volto. Eppure, Giovanni ha imparato presto a distinguere tra due tipi di persone: «i cuori buoni e i cuori ciechi».

Cresciuto nella quiete di Chianciano Terme, tra campagna e spazi aperti, ha coltivato sogni artistici tra un lavoro da casellante e un corso di lingua dei segni mai concluso a causa del Covid. Fino all’improvviso incontro con il mondo del cinema, che lo ha accolto attraverso due provini superati: uno per Finalmente l’alba, l’altro con Valeria Golino per il ruolo di Ippolito.

“Il mostro” che racconta la forza interiore

«Il personaggio non è stupido, è solo stato isolato», gli dice Golino. E lui in quel ruolo riversa tutto: «la parte docile e quella vulcanica». Nessuna scuola di recitazione, ma la forza di una vita vissuta senza filtri. «Sul set, mentre giravo le scene più violente, pensavo ai momenti difficili vissuti», confessa.

E quando si parla d’aspetto, Giovanni è disarmante: «La parola ‘mostro’ non mi ferisce più, è solo una componente della mia vita». Da piccolo piangeva, si chiedeva “perché a me?”, ma oggi si è dato una risposta che lo guida: «Dovevo nascere così e basta. Fare la vittima non ti renderà felice».

L’amore, la musica, il futuro

Oggi è un attore emergente, ma anche un ragazzo che ha vissuto l’amore, che ha scritto testi rap, che ha lottato contro il dolore. «Ho ricevuto tanto e ho dato tanto», racconta. Sui social ci sta poco: solo per progetti artistici o per sostenere la onlus del suo chirurgo, la Smile House. «Da ragazzino, i social mi facevano male. Era una vita parallela».

La sua forza più grande è quella di saper vedere oltre: «Sembrerei più brutto se stessi sempre a disperarmi. Siamo tutti belli, se troviamo la nostra bellezza interiore».

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