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Torna il razzismo in tv, il leghista Brambilla: antropologicamente il napoletano non paga il biglietto

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Questa mattina, giornata dedicata a San Gennaro, più o meno verso le 10, cinque minuti prima che Faccia Gialla (lo chiamano così i napoletani il santo) facesse il miracolo nel Duomo, sulla Rai (Rai 3) si parlava di Napoli, di trasporto locale a Napoli, di napoletani che non pagano il biglietto ed altre amenità. La trasmissione Agorà, condotta da Serena Bortone, è un eccellente spazio di approfondimento giornalistico quotidiano. La Bortone è una di quelle giornaliste intanto documentate, poi anche estrenamente duttili, intelligenti, che hanno sempre il polso e la gestione della trasmissione. Lo so, ho scritto una cosa che dovrebbe essere normale, ma non è sempre così. Ciò detto sul finire  della trasmissione c’è un bel servizio giornalistico sulle condizioni della Circumvesuviana. Un servizio giornalistico documentato, pulito, onesto. Quindi, si apre il dibattito su quanto visto. Il format è questo. E funziona. Da Napoli, proprio fuori il Duomo, c’è collegato con lo studio il presidente della azienda regionale cui fa capo la Circum, Umberto De Gregorio. Se la cava. Risponde a tutti. Non si sottrae a nessuna domanda. Certo ha mille problemi cui fare fronte ma dice che sta lavorando. Ad un certo punto prende la parola in studio, richiesto di un intervento dalla conduttrice Serena Bortone, Alberto Brambilla. Prima di dirvi che cos’ha detto, proviamo a raccontare chi è!

 

Alberto Brambilla. Esperto di previdenza è spesso ospite in tv dove rappresenta la Lega di Salvini. Ad Agora ha dibattuto con Umberto De Gregorio, presidente Eav

Brambilla, cognomen omen, è esperto di previdenza.  Ha fatto il sottosegretario al Welfare nei governi Berlusconi tra il 2001 e il 2005. Con Salvini è tornato ad essere ascoltato consigliere della Lega. Ha scritto (dice lui) la parte del contratto di governo Lega-M5 riguardante il superamento della Legge Fornero. Non è entrato al Governo perché Luigi Di Maio ha posto un veto. Non l’ha voluto sottosegretario al suo ministero. Però Bambilla va in giro per Tv e parla sempre come imprenditore del Nord in nome e per conto della Lega. Come dire: se lo vedete seduto in tv è perché ce lo manda la Lega. Sulla Circumvesuviana Brambilla ha le idee chiare. E le dice con assoluta pacatezza alla conduttrice Serena Bortone e alle centinaia di migliaia di italiani che lo seguono. Per quel che riguarda il fenomeno nazionale penoso degli italiani che non pagano il biglietto per usufruire del trasporto pubblico, Brambilla dice di essere “del parere che bisogna avere il coraggio di riconoscere le differenze di questo Paese ed avere coraggio quindi di dire che a Napoli il biglietto non va fatto pagare mai. Punto.  A Milano si pagano due euro. Così a Milano avremo un tipo di metropolitana, senza conducente, ultramoderna. A Napoli dovranno accontentarsi. Magari migliorerà il traffico”. E fin qui c’è qualunquismo a piene mani, ma va bene. Da un leghista abbiamo sentito di peggio. Brambilla, però, com’era ovvio che fosse, non ci ha deluso. E infatti ha concluso il suo discorso in un crescendo rossiniano di stereotipi, luoghi comuni e punte di razzismo. Infatti dice che se si fa come dice lui, a Napoli “la gente non si ammazzerà più per strada, magari va in giro in tre in motorino,  useranno dei mezzi pubblici magari un po’ spartani, un po’ fatiscenti, però almeno così saranno eliminati i tornelli, eliminati investimenti sulle stazioni, eliminati i conduttori, eliminati i bigliettai”. Siete curiosi di sapere a che cosa porta questa ricetta manageriale ed economica del rappresentante della Lega? Lo dice sempre lui a Rai 3, Agorà, verso le 10. Così, dice Brambilla al presidente dell’Eav collegato da Napoli, “riducete i costi al minimo e fate funzionare i mezzi pubblici come riuscite. Insomma  lasciateli salire gratis i napoletani. Perché antropologicamente il napoletano vuole salire gratis sui bus”. A questo punto Serena Bortone toglie la parola a Brambilla, precisa che l’antropologia del napoletano non si può sentire, e passa oltre. Non prima di aver precisato che l’antropologia in questi contesti equivale al razzismo. Chi definisce razzista ed ignorante Brambilla è il giornalista del Corriera della Sera Goffrefo Buccini.

Goffredo Buccini. Il giornalista del Corriere della Sera ha definito il leghista Brambilla razzista

Che cosa altro aggiungere alla sfrennesiata mentale del signor Brambilla dagli schermi di Mamma Rai? Un pizzico di fatti. Anche se la Bortone è stata nettissima e chiara sul punto più importante: il razzismo. La Circumvesuviana è una delle linee ferrate tra le più sgangherate d’Italia. Questo è un fatto. E però il trasporto pubblico locale purtroppo non funziona un granché ovunque in Italia. Chi dice il contrario sa di dire menzogne. Sputare sul Sud o su qualunque cosa al Sud è uno di quegli sport tanto praticati quanto amati da certa stampa ed establishment italiano che non vuole ragionare ma sentenziare ad capocchiam. Sulla mobilità e sul trasporto pubblico locale vi rimando ad una lettura allucinante che però dà il quadro preciso della situazione in Italia. Sono rapporti di Legambiente che spiegano come funzioni tutto male, da Milano a Napoli. Perché in Italia si spendono risorse solo sull’Alta velocità. Ad onore del vero, perché al vero occorre aspirare ed ispirarsi quando si fa informazione, non solo la Circum o la Cumana nell’area metropolitana di Napoli andavano male. Un po’ tutto il trasporto locale è in ginocchio in Italia. Pochi fondi, poche risorse. In queste aziende campane, sempre ad onore del vero, da un paio di anni a questa parte, una buona nuova gestione e un management molto migliorato e motivato dal neo presidente dell’Eav (si chiama così l’azienda regionale del trasporto locale), Umberto De Gregorio, sta risalendo la china. Eav era fallita tecnicamente con circa 750 milioni di euro di debiti. Oggi è quasi in bonis, grazie anche all’intervento della Regione Campania. Le cose, come avrete modo di leggere dai rapporti di Legambiente, non vanno meglio altrove. Purtroppo al Nord, per esempio, non va bene come crede Brambilla. Ma la questione non è mal comune mezzo gaudio. Purtroppo è la verità, piaccia o no.

Se volete apprezzare direttamente quel che ha detto il nostro Brambilla, basta un click su Agorà e trovate tutto alle ore 10. Per vedere l’orario, in basso a destra.

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Campi Flegrei, la terra trema ancora, epicentro a Bacoli

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Continuo a tremare la terra nei campi Flegrei: magnitudo 2.1, epicentro a Bacoli alla profondità di poco più di 2 km. Anche ieri erano state registrate delle scosse a Pozzuoli, poco più che strumentali ma pure avvertite dalla popolazione. Paura ma nessun danno. Pochi hanno deciso di scendere in strada anche a causa del maltempo che ha imperversato per tutta la notte con piogge forti e temporali.

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L’eredità di Totò diventa un brand: gli eredi regolamentano l’uso dell’immagine dell’artista

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Il celebre attore e poeta napoletano Totò, noto per la sua poesia “A Livella”, è diventato un’icona talmente amata da essere frequentemente rappresentata in ristoranti, pizzerie e su prodotti come le etichette di vino. Questo uso diffuso ha portato gli eredi dell’artista a decidere di intervenire per regolamentare e proteggere l’immagine del “principe della risata”.

Elena De Curtis, nipote di Totò, ha espresso preoccupazione per il modo in cui il nome e l’immagine del nonno vengono utilizzati: «Ci imbattiamo ovunque, nei posti più impensati, nel suo nome e nelle sue foto utilizzati senza il minimo rispetto del diritto all’immagine». Di fronte a questa situazione, gli avvocati degli eredi hanno iniziato a inviare comunicazioni legali a numerose attività commerciali in Italia, specialmente pizzerie che utilizzano il nome o l’immagine dell’artista.

Questo fenomeno non è limitato a un’area specifica ma si estende in varie città italiane, da Torino a Latina a Porto Ascoli. Tra i nomi di locali coinvolti figurano “Casa Totò”, “Totò e Peppino” e “A Livella”. Anche decorazioni come quadri e poesie che adornano le pareti di questi locali sono diventati oggetto di contenzioso.

L’intervento legale non si ferma solo a una questione di immagine, ma coinvolge anche il rispetto delle nuove normative. A seguito di un’ordinanza cautelare emessa a giugno 2023 dal Tribunale di Torino, è stato chiarito che l’utilizzo del nome e dell’immagine di Totò senza consenso costituisce un sfruttamento illegittimo. Gli eredi ora richiedono che non si usino più il nome e l’immagine dell’artista per fini commerciali e pubblicitari, eliminando ogni riferimento nei segni distintivi dei locali, dai siti web ai materiali di marketing.

In caso di inosservanza, il Tribunale di Torino ha stabilito il pagamento di una penale di 200 euro per ogni violazione constatata. Alcuni locali hanno già iniziato a cambiare insegna e nome per conformarsi a queste richieste, spesso sotto la guida di processi di mediazione legale.

La famiglia De Curtis, venuta a conoscenza dell’utilizzo non autorizzato del nome da parte della pizzeria “Alla casa di Totò” a Torino, ha sospeso tutte le attività che miravano alla creazione di un brand e di un format di ristoranti e pizzerie ispirati a Totò. Questo ha portato a una ricerca su scala nazionale per prevenire ulteriori usi non autorizzati del nome d’arte.

Il processo di regolamentazione, secondo gli eredi, è diventato essenziale. “Una regolamentazione a questo punto è assolutamente necessaria”, sottolinea la famiglia, non solo per proteggere l’eredità di Totò, ma anche per garantire che il suo nome e la sua immagine siano usati in modo rispettoso e appropriato.

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Carcere Lager Beccaria, la Procura di Milano: sulle torture omissioni dai vertici

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Una struttura senza alcun controllo interno, nella quale quel “sistema consolidato” negli anni di pestaggi e torture su ragazzi di 16 e 17 anni con storie problematiche, tra disagio, reati e tossicodipendenza, aveva preso piede indisturbato, almeno fino a qualche mese fa con l’arrivo del nuovo direttore al carcere minorile Beccaria. E’ lo scenario inquietante che viene a galla non solo dagli atti della Procura di Milano, nell’inchiesta che ha portato in carcere 13 agenti della Penitenziaria e alla sospensione di otto colleghi, ma dalle stesse parole degli arrestati nei primi interrogatori.

Il “metodo di violenze” attuato al Beccaria, scrivono l’aggiunto Letizia Mannella e i pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena, “ha avuto il suo principale fondamento nel contributo concorsuale omissivo e doloso di una serie di figure apicali”. Tra questi viene citato l’ex comandante della Polizia penitenziaria Francesco Ferone, ieri sospeso e accusato di falso nelle relazioni, “che ha consapevolmente agevolato e rafforzato le determinazioni criminose dei suoi sottoposti”.

Per questo le indagini, condotte dalla Squadra mobile e dalla stessa Polizia penitenziaria, vanno avanti per accertare, sempre da testimonianze e segnalazioni, eventuali altri casi di abusi, ma pure sospette coperture e depistaggi nell’istituto in relazione all’operato degli agenti. Intanto, cinque arrestati su sei (uno si è avvalso della facoltà di non rispondere e gli altri saranno sentiti nei prossimi giorni), interrogati dal gip Stefania Donadeo, hanno detto di essersi sentiti “abbandonati a loro stessi”, “senza controlli gerarchici e anche aiuto da parte della struttura, incapaci di gestire le situazioni”. Hanno raccontato di essersi trovati a dover affrontare il rapporto coi ragazzi detenuti senza adeguata formazione, loro stessi giovani, tra i 25 e i 35 anni, di prima nomina e con scarsa esperienza. Nessun aiuto da superiori o da altre figure.

In certi casi avrebbero salvato vite intervenendo per tentativi di suicidio o incendi scoppiati. In altri, invece, sarebbe loro partita la mano come reazione violenta. Nella carte, nel frattempo, si trova uno scambio di mail del gennaio 2023 tra la mamma di un detenuto e l’allora direttrice facente funzione Maria Vittoria Menenti. La madre, dopo aver visto in videochiamata il figlio con “segni di percosse sul viso”, aveva segnalato l’episodio alla direzione. Otto giorni più tardi Menenti le aveva risposto rassicurandola “sull’adozione delle procedure previste nel caso specifico”.

Lo stesso ragazzo, mettendo a verbale l’aggressione subita il 22 dicembre 2022 da tre agenti, ha dichiarato che “mentre si trovava steso a terra davanti all’ufficio del capoposto, ancora ammanettato e sanguinante in volto”, era intervenuta l’allora direttrice “che intimava agli assistenti di togliergli le manette” e “disponeva l’invio in infermeria”. Gli agenti, scrivono i pm, “interrompevano il violento pestaggio solo per l’arrivo della direttrice”, la quale “vedeva il detenuto a terra sanguinante”. Menenti avrebbe preso parte anche al colloquio di un altro ragazzo “con il comandante e la psicologa” su presunte violenze del 18 dicembre 2022. Lo scorso dicembre si è insediato il nuovo direttore Claudio Ferrari, il quale, secondo le parole intercettate degli indagati, non avrebbe più dato “protezione” agli agenti. Nel marzo scorso, quando i vertici avevano deciso infatti di acquisire le telecamere interne, c’era preoccupazione tra i poliziotti, perché “le immagini sono veramente disastrose (…) Non solo schiaffi, calci, pugni…quello a terra”. In un altro dialogo captato una agente diceva ad un collega, ora in carcere, di mettere “un po’ di ghiaccio” sulla mano.

L’altro poco prima le aveva raccontato di aver “battezzato” un ragazzo che faceva “il bulletto”, di averlo colpito tanto forte da farsi male. E mentre dalle opposizioni sono arrivate richieste al ministro Nordio di riferire in Parlamento, il Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile, Antonio Sangermano, si è recato oggi al Beccaria con i propri funzionari per ascoltare vertici, personale della struttura e giovani detenuti e stilare una relazione ispettiva. Altre ispezioni avevano già evidenziato anche la “omessa vigilanza da parte del personale rispetto a plurimi episodi violenti anche di natura sessuale accaduti fra i detenuti”.

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