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Theresa May schiera il suo governo per Brexit, c’è il “sì” all’accordo con l’Unione europea

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Theresa May ha in parte convinto il suo esecutivo, e così supera il primo grande ostacolo interno all’approvazione dell’accordo di divorzio dall’Unione europea. Sei ore di Consiglio dei ministri e il premier esce dal numero 10 Downing Street per dire ai giornalisti assiepati fuoru. “Dopo un lungo è sofferto dibattito, il governo ha approvato l’accordo. Il mio dovere verso questo Paese è prendere decisioni nell’interesse nazionale. E sono fermamente convinta, con la mente e con il cuore, che questa decisione sia nel migliore interesse di tutto il Regno Unito”.

Theresa May. C’è accordo su Brexit nel suo governo

La giornata più lunga di Theresa continua nella notte, con un incontro con la leader degli Unionisti irlandesi: Arlene Foster, tirannica stampella del governo, ieri pomeriggio aveva promesso “conseguenze” se il testo del documento – che fino a ieri avevano letto solo i ministri – dovesse mettere in discussione l’unità territoriale fra Ulster e Gran Bretagna: la minaccia, insomma, è di far mancare i voti indispensabili per l’approvazione parlamentare. La battaglia si sposta appunto in Parlamento, dove il voto sull’accordo finale è previsto per i primi di dicembre.

Una battaglia ancora più in salita. Ieri mattina se ne è avuto un assaggio durante il Question Time, quando la May è stata assediata da un fuoco di fila di critiche sull’accordo tecnico concluso con Bruxelles martedì. Gli attacchi sono arrivati da tutte le parti politiche.
Jeremy Corbyn, ha definito l’esito dei negoziati “un pasticcio” ed ha accusato il governo di aver fallito la sua missione negoziale. Ieri sera un tweet della corrispondente politica della BBC Laura Kuessemberg ha aperto un altro fronte: “Una fonte qualificata mi dice che la rabbia dei Brexiter è tale che si profila una mozione di sfiducia per domani – le lettere si stanno accumulando”. Si riferisce a un regolamento interno al Partito conservatore: per avviare la sfiducia al premier, il Comitato 1922, l’organo di partito chiamato a indire nuove elezioni per la leadership, deve ricevere lettere da almeno il 15% dei parlamentari. Occorrono 48 lettere in questa legislatura. Il gruppo dei falchi ne conta circa 60.
Finora il loro leader Jacob Rees Moog li ha tenuti a bada, ma altre fonti giornalistiche riferiscono di un cambio di strategia. Alla May basterebbero 158 voti a favore per restare in sella e non potrebbe essere sfiduciata per un altro anno: ma la mossa dei falchi sarebbe un assaggio del voto parlamentare. Certo, l’approvazione da parte dell’ esecutivo rende il cammino un po’ meno tormentato. C’ è ancora la possibilità che qualcuno dei ministri si dimetta nelle prossime ore, ma la strategia su cui la May si sta giocando il premierato, e il Regno Unito il futuro, può sopravvivere al dissenso di ministri euroscettici minori come Penny Mordaunt.
Comunque già ieri sera il testo dell’accordo è stato pubblicato congiuntamente dal governo britannico e dall’Unione europea. La Brexit va avanti, con la May ancora al timone.

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L’Australia esorta i suoi cittadini a lasciare Israele

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Il governo australiano ha esortato i suoi cittadini in Israele a “andarsene, se è sicuro farlo”. “C’è una forte minaccia di rappresaglie militari e attacchi terroristici contro Israele e gli interessi israeliani in tutta la regione. La situazione della sicurezza potrebbe deteriorarsi rapidamente. Esortiamo gli australiani in Israele o nei Territori palestinesi occupati a partire, se è sicuro farlo”, secondo un post su X che pubblica gli avvisi del dipartimento degli affari esteri e del commercio del governo australiano.

Il dipartimento ha avvertito che “gli attacchi militari potrebbero comportare chiusure dello spazio aereo, cancellazioni e deviazioni di voli e altre interruzioni del viaggio”. In particolare è preoccupato che l’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv “possa sospendere le operazioni a causa di accresciute preoccupazioni per la sicurezza in qualsiasi momento e con breve preavviso”.

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Ian Bremmer: l’attacco di Israele è una sorta di de-escalation

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C’è chi legge una escalation e chi invece pensa che sia una de escalation questo attacco israeliano contro l’Iran. “È un allentamento dell’escalation. Dovevano fare qualcosa ma l’azione è limitata rispetto all’attacco su Damasco che ha fatto precipitare la crisi”. Lo scrive su X Ian Bremmer, analista fondatore di Eurasia Group, società di consulenza sui rischi geopolitici.

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Usa bloccano bozza su adesione piena Palestina all’Onu

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Gli Usa hanno bloccato con il veto la bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che raccomandava l’adesione piena della Palestina alle Nazioni Unite. Il testo ha ottenuto 12 voti a favore (Algeria, Russia, Cina, Francia, Guyana, Sierra Leone, Mozambico, Slovenia, Malta, Ecuador, Sud Corea, Giappone), 2 astensioni (Gran Bretagna e Svizzera) e il no degli Stati Uniti.

La brevissima bozza presentata dall’Algeria “raccomanda all’Assemblea Generale che lo stato di Palestina sia ammesso come membro dell’Onu”. Per essere ammessa alle Nazioni Unite a pieno titolo la Palestina doveva ottenere una raccomandazione positiva del Consiglio di Sicurezza (con nove sì e nessun veto) quindi essere approvata dall’Assemblea Generale a maggioranza dei due terzi.

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