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Terremoto e tsunami, spazzata via Sulawesi: il mare si ritira lasciando per le strade centinaia di cadaveri

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Sull’isola indonesiana di Sulawesi, sconvolta dal terremoto di magnitudo 7,5 e dal conseguente tsunami di venerdì, è iniziato il processo più doloroso: quello di quantificare il numero delle vittime sepolte sotto il fango ora che le acque si sono ritirate. La conta è stata aggiornata a 384 morti, 540 feriti e decine di dispersi. Ma sono numeri provvisori.  I morti – dicono le autorità indonesiane –  saranno probabilmente migliaia.

È inevitabile, dato che un’area costiera di un centinaio di chilometri non è stata in pratica ancora raggiunta dai soccorritori.
I numeri forniti ieri dalla Protezione civile si riferiscono infatti solo alla capitale provinciale Palu, la più colpita dall’onda assassina di maremoto alta fino a sei metri, resa ancora più potente dalla stretta baia sulla quale si affaccia. Nella città di 350 mila abitanti, il fango si mescola a cumuli di detriti di migliaia di case spazzate dal muro d’acqua, automobili, imbarcazioni e container. Sono crollati il principale centro commerciale, l’hotel più grande con le sue 80 camere quasi tutte occupate, persino il ponte di 126 metri simbolo della città. È venuto giù persino il muro di una prigione, consentendo a 560 detenuti di scappare.

Ma ritrovarli non è una priorità. Manca l’acqua, l’elettricità è solo parzialmente tornata, e centinaia di feriti vengono curati all’aperto su lettini improvvisati. Così come per strada si possono vedere decine di cadaveri ricoperti solo da teli di plastica. «Abbiamo bisogno di tutto: cibo, coperte, medicine, personale medico», ha implorato il direttore di un ospedale in un video al buio. Solo a Palu, quasi 17 mila persone sono ospitate in 24 centri per evacuati, che saranno visitati oggi dal presidente Joko Widodo. Ma della situazione a Donggala, la città di oltre 300 mila abitanti a 27 chilometri dall’epicentro, si sa ancora pochissimo. Anche lì la situazione potrebbe essere drammatica per vittime, feriti, sopravvissuti.
L’ Unione Europea ha intanto attivato un satellite per aiutare le autorità a mappare dall’alto l’entità del disastro.
L’ aeroporto di Palu è seriamente danneggiato, anche se gli Hercules e gli elicotteri dell’esercito hanno iniziato a utilizzarlo. Sono arrivate scorte di riso, ma siamo appena agli inizi di un’operazione umanitaria immane. Le infrastrutture in Indonesia sono notoriamente carenti, e ancora non è stata data una spiegazione convincente del perché le autorità abbiano ritirato l’allarme tsunami 34 minuti dopo il terremoto. Si sono difese dicendo che a quel punto l’onda aveva già colpito. Ma centinaia di partecipanti a un festival sulla spiaggia di Palu erano ancora sulla sabbia e sono stati travolti. Se le vittime alla fine si conteranno a migliaia, l’Indonesia potrebbe trovarsi di fronte alla più disastrosa catastrofe naturale dallo tsunami del 2004, che uccise circa 170 mila persone nella provincia di Banda Aceh.

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Ucraina e Russia pronte al maxi scambio di prigionieri: in ballo 2.000 vite umane

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Mille prigionieri russi in cambio di mille prigionieri ucraini. È questo l’accordo raggiunto durante i colloqui tra Mosca e Kiev a Istanbul, unico spiraglio di dialogo tra i due Paesi dopo oltre due anni di guerra. Un’intesa mediata da Emirati Arabi, Turchia, Stati Uniti e Vaticano, che potrebbe concretizzarsi già nel prossimo fine settimana.

A confermarlo è il capo dell’intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov, mentre il presidente Volodymyr Zelensky ha dichiarato: «Dobbiamo liberare tutti i nostri, incondizionatamente. Stiamo facendo il massimo». Il 17 maggio il Servizio di sicurezza ucraino (SBU) ha avviato le procedure per la creazione delle liste dei prigionieri, confermate anche dal vicecapo dell’intelligence Vadym Skybytskyi.

Scambi regolari, ma torture sistematiche

Dall’inizio della guerra, nel 2022, gli scambi di prigionieri sono l’unico contatto stabile tra le parti. L’ultimo, il 6 maggio scorso, ha visto Kiev riportare a casa 205 soldati. In totale, l’Ucraina ha rimpatriato 4.757 prigionieri, ma secondo fonti ufficiali circa 16.000 ucraini sarebbero ancora detenuti, tra cui 2.000 civili.

Il problema, però, va oltre la diplomazia. Secondo l’ONU, il 95% dei prigionieri ucraini è stato torturato. Dalle testimonianze emergono racconti agghiaccianti. Durante una conferenza della Media Initiative for Human Rights, il marine Ivan Dibrova, catturato nel 2022, ha denunciato: «Ci hanno fatto strisciare a quattro zampe sotto minaccia delle pistole elettriche, ci mordevano i cani. Eravamo feriti, ma ci hanno costretti a salire su un aereo in quelle condizioni».

Il caso Roshchyna e l’orrore delle prigioni russe

Il 29 aprile, la Russia ha restituito il corpo della giornalista Viktoria Roshchyna senza organi interni: una prassi, secondo l’accusa ucraina, per coprire segni di tortura. Le sue condizioni al momento della morte sono oggetto di un’inchiesta condotta da Ukrainska Pravda e testate internazionali.

La direttrice del giornale, Sevgil Musayeva, ha dichiarato che 186 prigioni russe o nei territori occupati ospitano cittadini ucraini, e in 29 di queste la tortura è sistematica. «I detenuti vengono immersi nell’acqua gelata fino alle convulsioni, sospesi a testa in giù, seviziati con scosse elettriche», ha affermato. «Alcuni sono costretti a giocare con ossa umane, altri picchiati in bare di metallo».

Il richiamo alla Convenzione di Ginevra

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa, pur non coinvolto direttamente negli scambi, ha rivelato che oltre 50.000 persone risultano scomparse tra Ucraina e Russia. Una cifra raddoppiata nell’ultimo anno, secondo il direttore dell’Agenzia centrale di ricerca Dusan Vujasanin: «La ricerca dei dispersi durerà anni, forse decenni».

E mentre il commissario per i diritti umani ucraino Dmytro Lubinets invia lettere ufficiali all’Onu e alla Croce Rossa, resta l’urgenza di tutelare i prigionieri civili e politici, inclusi giornalisti. Zelensky ha ribadito che il prossimo scambio dovrà includerli.

Un accordo che porta speranza, ma che fotografa l’orrore silenzioso che si consuma nei campi di prigionia. E che impone all’opinione pubblica internazionale di non distogliere lo sguardo.

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Media, capo Mossad e Dermer a Roma per incontrare Witkoff

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Il capo del Mossad David Barnea (nella foto) e il ministro israeliano per gli Affari strategici Ron Dermer, il più stretto collaboratore del premier Benyamin Netanyahu, saranno domani a Roma per incontrare l’inviato speciale degli Stati Uniti Steve Witkoff a margine del quinto round di colloqui sul nucleare iraniano. Lo riferisce Axios spiegando che Barnea e Dermer stanno cercando di coordinare le posizioni con Witkoff e di essere informati subito dopo la conclusione dei colloqui.

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‘Falso video mostrato da Trump a Ramaphosa su genocidio bianchi’

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Il video mostrato da Donald Trump nello Studio Ovale al presidente sudafricano Cyril Ramaphosa che mostrava file di croci bianche a perdita d’occhio lungo una strada di campagna era in realtà un falso. Lo rivelano i fact-checkers della Bbc secondo i quali le croci non erano “luoghi di sepoltura di oltre un migliaio di contadini bianchi”, come sostenuto dal tycoon. Il video è stato girato durante una protesta contro l’omicidio di Glen e Vida Rafferty, una coppia di contadini bianchi, uccisi a colpi d’arma da fuoco nella loro proprietà nel 2020. Il filmato è stato condiviso su YouTube il 6 settembre, il giorno dopo le proteste. “Non è un luogo di sepoltura ma un memoriale”, ha detto alla Bbc Rob Hoatson, uno degli organizzatori dell’evento. Le croci sono state poi tolte dopo la commemorazione.

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