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L’attore Bill Cosby condannato da 3 a 10 anni di prigione: “È un predatore sessuale violento”

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La pena, come annunciato da un tribunale della Pennsylvania, dovrà essere scontata in isolamento. Quando il giudice ha letto la sentenza di condanna, l’attore, 81 anni,  non ha reagito.

ll giudice Steven O’Neill ha definito Bill Cosby (nella foto) un “violento predatore sessuale”. La condanna riguarda il caso di Andrea Constand: l’attore era stato ritenuto colpevole di aver drogato e stuprato nel 2004 la trentenne responsabile della squadra femminile di basket della Temple University di Filadelfia. L’attore sarà iscritto come “predatore sessuale violento” nel registro dei criminali sessuali, i suoi spostamenti dovranno essere notificati e dovrà essere sottoposto a trattamenti psichiatrici.  Bill Cosby è stato condannato ad almeno tre anni di detenzione e a un massimo di dieci per violenza sessuale. L’attore de i Robinson, che si è sempre proclamato innocente ed era stato giudicato colpevole nell’aprile scorso, dovrà  pagare anche una multa di 25 mila dollari. La sentenza prevede dunque che Cosby sconti almeno tre anni in prigione. Al termine di questo periodo, i giudici decideranno se disporne la scarcerazione o se prorogarla, fino a fargli scontare un massimo di dieci anni di detenzione. Potrebbe però essergli concessa per buona condotta anche la libertà condizionale (parole, nel diritto americano): in quel caso l’attore potrebbe tornare in libertà – a determinate condizioni stabilite dai magistrati – anche prima dei tre anni previsti dalla sentenza.

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Pistorius resta in carcere, negata la libertà vigilata

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Oscar Pistorius resta in carcere: lo ha deciso la commissione in Sudafrica che, a dieci anni di distanza dall’omicidio della fidanzata Reeva Steenkamp, non gli ha concesso la libertà vigilata. L’udienza si è svolta presso il carcere di Atteridgeville, vicino alla capitale Pretoria. Il motivo del parere negativo alla richiesta di Pistorius, che oggi ha 36 anni, è legato al periodo passato in prigione: la commissione, infatti, ha ritenuto che non aveva diritto alla scarcerazione anticipata perché non ha scontato il “periodo minimo di detenzione”. In un breve promemoria, il tribunale ha spiegato che la pena detentiva imposta a Pistorius è iniziata il giorno dell’ultima sentenza nel 2017, e non quando è stato condannato per la prima volta nel 2014. I detenuti in Sudafrica sono automaticamente ammissibili per l’esame della libertà vigilata dopo aver scontato metà della pena. “A questo punto ci è stato comunicato che la richiesta è stata negata” e che sarà presa nuovamente in considerazione tra un anno, ha detto ai giornalisti l’avvocato della famiglia della vittima, Tania Koen. Il campione paralimpico, soprannominato ‘Blade Runner’ per le due protesi in fibra di carbonio, sta scontando una pena a 13 anni e mezzo di reclusione per l’omicidio della fidanzata, una modella di 29 anni, uccisa il giorno di San Valentino del 2013 con 4 colpi di pistola nella sua abitazione a Pretoria. Sul delitto, Pistorius rivendicò di aver sparato per errore, perché spaventato in piena notte, non sapendo che dietro alla porta del bagno ci fosse Reeva, pensando invece a un ladro.

La tesi della difesa fu in qualche modo accolta nella sentenza di primo grado del 2014 che lo condannò per omicidio colposo a 5 anni. Ma l’accusa fece ricorso perché la considerò una pena “mite”, sostenendo che Pistorius era perfettamente cosciente di quello che stava facendo: nel processo d’appello, nel 2015, il verdetto cambiò e divenne omicidio volontario. La condanna finale, comminata nel 2017, portò infine la pena da scontare in carcere a 13 anni e 5 mesi. Sulla motivazione della commissione che gli ha negato la libertà vigilata, potrebbe aver pesato il parere negativo dei genitori di Reeva che si erano opposti a un rilascio anticipato, affermando di non credere che l’ex atleta abbia detto la verità su quanto accaduto e non abbia mostrato rimorso. “Anche se accogliamo con favore la decisione di oggi, non è un motivo per festeggiare. Reeva ci manca terribilmente e ci mancherà per il resto della nostra vita. Crediamo nella giustizia e speriamo che continui a prevalere”, si legge in un comunicato affidato al loro avvocato.

In precedenza, la madre della vittima aveva reso nota la posizione della famiglia alla commissione, intervenendo di persona all’udienza. “Non credo alla sua storia. Non credo che Oscar sia pentito o riabilitato”, ha detto June Steenkamp. La donna non ha avuto un faccia a faccia con l’assassino della figlia poiché la commissione per la libertà vigilata ha deciso di ascoltare i due separatamente, ha spiegato l’avvocato ai giornalisti fuori dal carcere. “È stato molto spiacevole per lei… ma sapeva di doverlo fare per Reeva”, ha detto Koen. Mentre il padre di Reeva, Barry, che non ha potuto viaggiare a causa delle sue condizioni di salute, ha rilasciato una dichiarazione attraverso l’avvocato “Prima di morire ha un desiderio: che Oscar ci dica esattamente cosa è successo quella notte”, ha detto. Il sei volte medaglia d’oro paralimpica dovrà restare in carcere, almeno sino ad agosto 2024 quando la commissione riesaminerà la sua richiesta di scarcerazione.

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Trump martedì in tribunale, ‘nè manette nè confessione’

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Foto segnaletica e rilevazione delle impronte digitali, ma niente manette e nessuna ammissione di colpevolezza per Donald Trump quando martedì pomeriggio, nella città dove ha costruito il suo successo, si costituirà al tribunale di Manhattan per la formalizzazione delle accuse nel caso della pornostar Stormy Daniels. E’ la previsione dei suoi avvocati, che però avvisano: “Non esiste un manuale per vedere come si accusa un ex presidente degli Stati Uniti in un tribunale penale”. E’ infatti la prima volta che un ex commander in chief viene incriminato penalmente in Usa: una mossa che tuttavia, stando alla costituzione e alle leggi americane, non gli impedirà di continuare a correre per la Casa Bianca e di essere eletto. Tanto che la sua campagna ha già lanciato una nuova campagna di raccolta fondi, con i repubblicani che per ora fanno muro, mentre Joe Biden non commenta e i dem celano gioia, sete di vendetta e ansia dietro la parola d’ordine “nessun è al di sopra della legge”. L’udienza è fissata per le 14.15 locali (le 20.15 in Italia), in una New York già blindata, con eccezionali misure di sicurezza nei luoghi più sensibili, dal tribunale alla Trump Tower. Il timore è quello di incidenti, dopo che The Donald aveva aizzato i suoi a protestare e “riprendersi il Paese”, evocando il rischio di “morte e distruzione”.

La deputata cospirazionista Marjorie Taylor Greene, una sua pretoriana, ha già scaldato i social annunciando che martedì andrà a Ny a protestare invitando altri ad unirsi a lei “contro l’incostituzionale caccia alle streghe!”. Non si sa ancora se Trump comparirà in quello che sperava di trasformare in un arresto show con la ‘perp walk’, l’umiliante prassi delle forze dell’ordine di mettere alla berlina un arrestato facendolo camminare in un luogo pubblico ad uso di fotografi e telecamere. Probabilmente il Secret Service e le forze dell’ordine cercheranno di garantire che tutto si svolga nella massima riservatezza prima del rilascio su cauzione. Di sicuro gli verranno letti gli oltre 30 capi di imputazione di frode aziendale, che la difesa cercherà di far archiviare subito, prima che si arrivi al processo: un numero che lascia presagire un castello accusatorio robusto, ma nessuno sa ancora quali carte abbia in mano il procuratore Alvin Bragg. La vicenda ruota intorno ai 130 mila dollari pagati alla pornostar Stormy Daniels (che ora brinda a champagne) perché non rivelasse durante la campagna del 2016 il suo affair di dieci anni prima col tycoon.

Una somma pagata dall’allora avvocato – e ora super teste – Michael Cohen su disposizione di Trump, che lo avrebbe rimborsato con fondi aziendali sotto la falsa voce “spese legali”, violando anche la legge sui finanziamenti elettorali. Il rischio è una ammenda, nel caso sia considerato un misfatto, o da 1 a 4 anni di carcere se classificato come reato. Come tentare di incastrare al Capone per evasione fiscale, ossia per il minore dei suoi reati, ha osservato The Atlantic, facendo riferimento alle altre inchieste più serie che incalzano l’ex presidente. Trump è stato colto alla sprovvista dall’incriminazione ed è rimasto “inizialmente scioccato”, ha ammesso il suo avvocato Joe Tacopina, “ma è pronto a combattere”. Sullo sfondo anche un pericoloso scontro tra poteri, con i repubblicani alla Camera che vogliono indagare sul procuratore di Ny e quest’ultimo che non si fa intimidire: “Come ogni altro imputato, Trump può sfidare queste accuse in tribunale ma né Trump né il Congresso possono interferire con l’ordinario corso del procedimento nello stato di New York”. Ora però il tycoon può presentarsi come un ‘martire’, convinto che la “strumentalizzazione politica della giustizia”, “l’interferenza elettorale” e la “caccia alle streghe” nei suoi confronti “si ritorceranno contro Biden”, in una corsa presidenziale dove – secondo un sondaggio dell’università Marquette – sono testa a testa col 38% ciascuno. Con il governatore repubblicano della Florida Ron DeSantis che resta alla finestra, difendendo il frontrunner ma pronto a prendere il suo posto.

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Zelensky a Bucha un anno dopo: non dimenticheremo mai

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“Quando Bucha è stata liberata, abbiamo visto il diavolo. L’atroce verità su ciò che stava accadendo è stata rivelata al mondo. Non dimenticheremo mai le vittime di questa guerra e assicureremo alla giustizia tutti gli assassini russi”. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky torna a Bucha nell’anniversario della liberazione della città simbolo dell’orrore che oggi ricorda con un dolore composto le atrocità di quei giorni. E ribadisce la sua fermezza nell’esigere che giustizia venga fatta, contro le atrocità commesse lungo quelle strade e altrove in Ucraina. Bucha deve diventare “un simbolo di giustizia”, ha detto ancora Zelensky, chiedendo che “ogni assassino russo” venga giudicato. L’esigenza di giustizia diventa così il leitmotiv in questa giornata di commemorazioni, che anche per il suo forte impatto emotivo non può che fare da amplificatore alle parole di Zelensky, quelle del resto che Kiev va ripetendo da tempo. “Il mondo ha bisogno di un meccanismo efficace per punire i colpevoli del principale crimine di aggressione, il crimine che apre la porta a tutti i mali di tale guerra”, sottolinea ancora Zelensky. Un’esortazione chiara alla comunità internazionale che a sua volta scandisce, insieme ai leader delle istituzioni europee, che “per i crimini di guerra non ci sarà impunità”.

Per la cerimonia ufficiale per l’anniversario della liberazione della città, il presidente sceglie un incrocio entrato nella storia: fra Bucha e il villaggio di Vorzel, che fu la traiettoria d’ingresso delle forze russe. In quell’incrocio convivono adesso una grande scritta ‘I Love Bucha’ e una targa con le date del periodo dell’occupazione (3 marzo 2022 – 31 marzo 2022), i 28 giorni che hanno lasciato a terra, nelle cantine, nelle case, centinaia di corpi senza vita, scoperti con sgomento dal mondo quando le forze russe si sono ritirate. I procuratori ucraini ritengono che in questa zona siano state uccise oltre 1.400 persone e sono determinati a raccoglierne le prove. Zelensky arriva a Bucha insieme con la presidente moldava Maia Sandu, il premier croato Andrej Plenkovic, il premier slovacco Eduard Heger e lo sloveno Robert Golob. La delegazione ha deposto fiori nel cortile della chiesa di Sant’Andrea, dove durante l’occupazione venivano portati i corpi nel tentativo di dare loro una degna sepoltura.

Il parroco, padre Andrij, è sull’uscio: “Siamo vivi. Abbiamo vissuto un momento terribile ma adesso siamo qui. Un segno che ci viene da Dio e ci dà speranza per il futuro”, racconta. E ricorda il lungo e laborioso processo di riconoscimento delle vittime sepolte nella fossa comune alle spalle della sua chiesa. “I procuratori ucraini sono impegnati qui, anche quelli internazionali stanno lavorando – continua padre Andrij – ciò significa che per questi crimini di guerra dovrà esserci una risposta”. Intanto la città tenta di far sì che la vita scorra: è quello che risponde chi abita qui a chi chiede come si vive questa giornata, senza tuttavia mancare di ricordare quei giorni. In memoria delle vittime la comunità si stringe attorno al suo ‘commander in chief’ per una fiaccolata all’imbrunire.

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