La svolta e’ arrivata quasi all’alba, dopo una notte di interrogatori serrati e, a tratti, anche tesi e drammatici. A tre giorni dalla tragedia del Mottarone, il crollo della cabina della funivia in cui sono morte quattordici persone, tra cui due bimbi, ci sono tre fermati. Si tratta di Luigi Nerini, proprietario della societa’ che gestisce l’impianto, la Ferrovie Mottarone srl, il direttore e il capo operativo del servizio. A disporre il fermo e’ stato il procuratore della Repubblica di Verbania, Olimpia Bossi, che con il pm Laura Carrera coordinano le indagini dei carabinieri, in seguito all’analisi della cabina precipitata e agli interrogatori. Un confronto di oltre dodici ore con dipendenti e tecnici dell’impianto convocati nella caserma dell’Arma, a Stresa, dal pomeriggio di ieri. Persone informate sui fatti, in un primo momento, ma gia’ ieri sera, con l’arrivo dei primi avvocati, e’ stato chiaro che la posizione di alcuni di loro era cambiata. Dopo mezzanotte e’ arrivato anche Nerini, raggiunto in seguito anche dal suo difensore, l’avvocato Pasquale Pantano. Nei confronti dei tre fermati, per i quali la procura di Verbania chiedera’ nelle prossime ore la convalida del fermo e la misura cautelare, e’ stato raccolto quello che il procuratore Olimpia Bossi definisce “un quadro fortemente indiziario”. L’analisi dei reperti ha infatti permesso di accertare che “la cabina precipitata presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso”. Per gli inquirenti, il ‘forchettone’, ovvero il divaricatore che tiene distanti le ganasce dei freni che dovrebbero bloccare il cavo portante in caso di rottura del cavo trainane, non e’ stato rimosso. Un “gesto materialmente consapevole”, per “evitare disservizi e blocchi della funivia”, che da quando aveva ripreso servizio, presentava “anomalie”. Entrata in funzione da circa un mese, dopo lo stop a causa della pandemia, la funivia del Mottarone “era da piu’ giorni che viaggiava in quel modo e aveva fatto diversi viaggi”, precisa il procuratore Olimpia Bossi. Interventi tecnici, per rimediare ai disservizi, erano stati “richiesti ed effettuati”, uno il 3 maggio, ma “non erano stati risolutivi e si e’ pensato di rimediare”. Cosi’, “nella convinzione che mai si sarebbe potuto verificare una rottura del cavo, si e’ corso il rischio che ha purtroppo poi determinato l’esito fatale”, sottolinea il magistrato, che parla di “uno sviluppo consequenziale, molto grave e inquietante, agli accertamenti svolti”. Le indagini non sono finite. E non solo perche’, con l’intervento dei tecnici, sara’ necessario confermare quanto emerso dai primi accertamenti. La procura di Verbania intende infatti “valutare eventuali posizioni di altre persone”. “Si e’ tutto accelerato nel corso del pomeriggio e di questa notte – conclude il procuratore lasciando la caserma -. Nelle prossime ore cercheremo di verificare, con riscontri di carattere piu’ specifico, quello che ci e’ stato riferito”, conclude parlando di “un quadro fortemente indiziario” nei confronti dei fermati. Persone che avevano, “dal punto di vista giuridico ed economico, la possibilita’ di intervenire. Coloro che prendevano le decisioni”. E che, secondo gli sviluppi dell’inchiesta, non l’hanno fatto.
“Verosimilmente è stato fatto con consapevolezza – ha spiegato il comandante provinciale dei carabinieri di Verbania, tenente colonnello Alberto Cicognani, – per consentire alla cabinovia di continuare a funzionare nonostante il malfunzionamento”. “Non possiamo escludere che il malfunzionamento abbia provocato la rottura del cavo, così come è possibile che la rottura del cavo sia dovuta ad altre cause e poi semplicemente la disabilitazione del sistema del freno d’emergenza abbia comportato questa tragica fine” ha detto l’ufficiale dell’Arma.