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Cronache

Storia di Claudio Gavillucci, l’arbitro perbene che ferma i match quando dagli spalti si levano cori razzisti. I vertici dell’Aia invece di premiarlo l’hanno “dismesso”

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Qualche arbitro, indignato dai buu urlati dalle curve e dai cori razzisti, ci ha provato a sospendere una partita: era Claudio Gavillucci, una giovane giacchetta nera, preparato e lanciassimo nel firmamento dell’AIA. La partita? Sampdoria – Napoli della passata stagione. Volete sapere che cosa è successo dopo quell’episodio? L’arbitro a giugno è stato dismesso, ha fatto ricorso ma in attesa che la discussione vada avanti, arbitra partite da oratorio. Lo ha raccontato il suo avvocato quando un mese fa circa ha partecipato come spettatore ad un convegno su Calcio e Diritto. Ecco la sua storia

Al convegno su “Calcio e diritto: il rispetto delle regole nell’era del Var” all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, nell’aula magna, in platea, c’era anche Claudio Gavillucci. Chi è costui? È un arbitro che abbiamo dimenticato, ovviamente. Il 13 maggio Gavillucci  dirigeva Sampdoria-Napoli a Marassi. Ad un certo punto, dopo aver fatto avvisare dall’impianto audio dello stadio che dovevano cessare i cori razzisti contro Napoli e i napoletani, visto che continuavano, ha sospeso la partita per quei cori razzisti e  discriminatori.

L’ha fatta riprendere, la partita, quando i razzisti hanno smesso di urlare cori razzisti. Ebbene 6 mesi dopo, il 13 ottobre, Gavillucci si ritrova ad arbitrare le sfide degli allievi regionali del Lazio. Perchè? Perchè a giugno, quando l’Aia deve decidere chi tenere in serie A e chi bocciare ha fatto delle scelte. La Commissione arbitrale di serie A, ha  “dismesso per motivate ragioni tecniche” Claudio Gavillucci. Se ne parlava già nei giorni successivi alla decisione di Gavillucci di fermare la partita Sampdoria – Napoli. Si dicecva che aveva osato troppo. Che il suo comportamento poteva assumere i contorni di un precedente. Molte società importanti s’erano fatte sentire perchè con i cori razzisti non si scherza. E così Gavillucci, una persona perbene, che ha fatto solo il suo dovere in uno Stato di diritto, è stato “dismesso”. Tradotto in italiano significa che è stato fatto fuori.

Illegittimamente secondo l’arbitro di Latina, che ha fatto ricorso ed è in attesa di giudizio in una sorta di via crucis giudizaria che solo a raccontarla farebbe ridere se non fosse scandalosa. Così, in attesa che i giudici si pronuncino sul suo futuro, Gavillucci arbitra nei campi di provincia. Perchè lui è arbitro per passione. Però vuole giustizia. Forse la avrà quando asarà troppo tardi. In ogni caso per Gavillucci è intervenuto al convegno, Gianluca Ciotti, il suo avvocato. Che vi offriamo in questo contributo. Fate attenzione, Ciotti dice cose che in uno Stato di diritto sarebbero serie lesioni del diritto di una persona.

 

 

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Ancora sangue sulle strade del weekend, 8 morti

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Weekend di sangue sulle strade: 8 le vittime. Dopo i quattro giovani di sabato, domenica si sono registrati altri 4 morti. In Veneto una coppia di coniugi investiti dopo l’uscita da un ristorante, in Lombardia uno schianto frontale tra due auto lungo una galleria, in Campania un altro frontale. Sono gli incidenti più gravi che hanno funestato il sabato notte sulle strade italiane. Il bilancio più pesante arriva dal comasco, con due morti e cinque feriti in un incidente stradale avvenuto la notte scorsa in una galleria nel territorio di Pusiano.

Le vittime sono due uomini di 42 e 43 anni che con un terzo passeggero viaggiavano a bordo di una Volkswagen Golf. Pochi minuti dopo le 2 la loro auto si sarebbe scontrata frontalmente con un Pickup Ford. Coinvolto anche un terzo veicolo, una Opel, il cui conducente non ha potuto evitare l’impatto con gli altri due veicoli fermi al centro della carreggiata. Due dei cinque feriti – i più gravi – sono stati ricoverati all’ospedale San Gerardo di Monza, gli altri al Sant’Anna di Como e al Manzoni di Lecco.

Quanto alle vittime, si tratta di persone che erano residenti rispettivamente a Bellano e a Colico, nel Lecchese, Gravissimo anche l’esito dell’incidente avvenuto sempre la notte scorsa a Passo Riva di Dueville (Vicenza), lungo la provinciale ‘248’ Marosticana, già teatro negli ultimi mesi di altri schianti mortali. Qui una coppia di coniugi è stata investita all’uscita di un ristorante, mentre attraversava la strada per raggiungere la propria autovettura. Marito e moglie sono stati colpiti in pieno da una macchina in transito, il cui conducente si è fermato subito dopo. Ma per l’uomo, 75 anni, non c’era nulla da fare. Le ferite riportate nell’urto ne hanno causa il decesso pressochè immediato. La moglie, 72enne, è rimasta invece ferita gravemente, ed è stata soccorsa dai medici del 118, quindi trasferita d’urgenza in ambulanza all’ospedale San Bortolo di Vicenza, dove è stata accolta nel reparto di rianimazione.

E’ ancora da accertare però la dinamica esatta dell’incidente, sulla quale stanno lavorando i carabinieri. Altro incidente mortale a Chiusano San Domenico, in provincia di Avellino. L’incidente nel primo pomeriggio, all’altezza di un distributore di benzina. La vittima è morta sul colpo. Feriti gli occupanti dell’altra auto coinvolta che sono stati trasportati in ospedale ad Avellino. Incidenti si sono registrati, di notte, nel Milanese, con due feriti, e in Trentino, con 3 persone finite in ospedale. In Lombardia due persone sono state ricoverate in gravissime condizioni all’ospedale Humanitas di Rozzano (Milano), dopo essere rimaste coinvolte in uno scontro tra due auto, intorno a mezzanotte, ad Abbiategrasso. Ferite lievemente nell’incidente anche altre due persone che sono state portate in ospedale a Pavia per un controllo.

In provincia di Trento, a Malè, infine, in uno scontro che ha coinvolto quattro persone, è rimasto ferito seriamente Carlo Papi, il padre di Andrea, ucciso nel 2023 dall’orsa Jj4 in valle di Sole. L’uomo, 72 anni, è stato soccorso con l’elicottero e portato all’ospedale di Trento dove è stato operato nella notte. Si trova attualmente in rianimazione, la sua prognosi è riservata. Con Papi sono rimasti feriti altri due uomini, illesa una quarta persona.

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Andrea Sempio, l’avvocata Angela Taccia: «Un’anima rara. Lo difendo come fosse mio fratello»

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«Glielo dico io chi è Andrea Sempio: un’anima rara». Inizia così il racconto dell’avvocata Angela Taccia, che da anni è amica personale — e oggi anche difensore — di Andrea Sempio, l’uomo finito di nuovo sotto accusa per l’omicidio di Chiara Poggi, nonostante una condanna definitiva già pronunciata a carico di Alberto Stasi. Una vicenda che, dal 2007, continua a scuotere coscienze e interrogare la giustizia italiana.

Angela Taccia parla con affetto, coinvolgimento e passione. «Andrea è un ragazzo buono, gentile, che pensa sempre agli altri. È tornato a lavorare anche sapendo che l’avrebbero aspettato i giornalisti, solo per non lasciare sole le sue colleghe con dei figli piccoli. Si tormentava per loro, non per sé».

Un legame nato molto prima delle aule giudiziarie

L’avvocata Taccia conosce Andrea da quasi vent’anni: «Ci siamo incontrati nel 2005 grazie a un mio fidanzato dell’epoca. All’inizio non mi calcolava molto, ma io gli dissi che saremmo diventati grandi amici. Avevo ragione».

Quella loro amicizia si è trasformata in qualcosa di ancora più forte nel 2016, quando il nome di Andrea Sempio viene travolto da un’accusa impensabile: omicidio. «Stavamo facendo colazione, parlavamo della cena di Natale con gli amici, tra cui Marco Poggi, fratello di Chiara. E alla radio sentiamo: “Nuovo indagato per Garlasco: Andrea Sempio”».

Uno shock. «Andrea corse a casa, trovò sua madre in lacrime. In TV c’era la sua faccia, una foto rubata dai social al mio compleanno. Era un ragazzo incensurato, travolto senza preavviso».

Tra difesa legale e affetto personale

Angela Taccia seguiva lo studio dell’avvocato Massimo Lovati, il legale che con lei ha difeso Andrea fin dall’inizio. «Non ero ancora laureata, ma scrivevo gli atti. Ricordo ogni parola. E la prima inchiesta si chiuse con l’archiviazione».

Poi ci fu un secondo fascicolo, aperto e chiuso senza che la difesa ne fosse nemmeno informata. «Non siamo mai stati coinvolti. Nessuna notifica. Solo archiviazione».

Fino alla riapertura recente, con un nuovo avviso di garanzia. «Andrea pensava fosse una multa. Era il terzo avviso per un caso che ha già avuto una sentenza definitiva. È stato un colpo durissimo».

Il caso è tornato alla ribalta anche per il prelievo del Dna, a cui Sempio si era inizialmente opposto. «Siamo stati noi legali a consigliarlo — spiega Taccia — per una questione tecnico-procedurale. Ma Andrea, ingenuamente, diceva: “Ma io non ho nulla da nascondere, glielo do subito”. È fatto così. Ma ho dovuto insistere: non era una questione di colpe o innocenze, ma di tutela dei suoi diritti».

Una storia che ritorna, ma senza prove nuove

A oggi, Andrea Sempio non è stato mai imputato. Le precedenti indagini sono state archiviate due volte dal giudice. Ma il clamore mediatico è tornato, e con esso lo stress e il dolore.

Angela Taccia lo difende con la fermezza di chi lo conosce profondamente: «Per me è come un fratello. Questa vicenda gli ha cambiato la vita. Ma la sua bontà, la sua dedizione al lavoro, la sua attenzione agli altri sono rimaste intatte. E io non smetterò mai di lottare perché la verità sia tutelata. Anche quella di chi è innocente».

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Abusi su nipotina, nonno 87enne finisce in carcere nel Reggiano

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Un nonno di 87 anni è finito in carcere a Reggio Emilia dopo essere stato condannato in via definitiva a 5 anni e 6 mesi di reclusione per violenza sessuale nei confronti della nipotina. Lo riporta la stampa locale reggiana. La vicenda risale al 2017 quando l’anziano venne accusato di avere molestato a più riprese la bambina. A denunciare tutto è stata la madre della piccola, nuora dell’uomo, alla quale la figlia aveva raccontato ciò che accadeva col nonno in casa a Rubiera, nel comprensorio ceramico reggiano. Da qui sono scattate le indagini da parte dei carabinieri, coordinate dalla procura di Reggio Emilia guidata dal procuratore capo Calogero Gaetano Paci. Il 28 ottobre 2020 il tribunale di Reggio Emilia lo ha condannato in primo grado a 5 anni e 6 mesi con l’applicazione in maniera perpetua delle pene accessorie dell’interdizione dell’esercizio di tutela e curatela, nonchè dei pubblici uffici, e l’interdizione legale durante la pena. La sentenza è stata confermata dalla Corte d’Appello di Bologna il 12 aprile 2024, è divenuta esecutiva il 7 marzo scorso. L’ufficio esecuzioni penali della procura reggiana ha emesso l’ordine di esecuzione ai carabinieri della stazione di Rubiera che hanno provveduto all’arresto. L’87enne è stato infine condotto in carcere per l’espiazione della pena.

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