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Cronache

Serena Mollicone: contro i Mottola nessuna prova

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Più di 50 pagine per ribadire che non ci sono elementi per ritenere il maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, sua moglie Annamaria ed il loro foglio Marco gli assassini di Serena Mollicone, la liceale di 18 anni scomparsa da Arce il primo giugno 2021 e trovata morta tre giorni più tardi nel bosco Fonte Cupa della vicina Monte San Giovanni Campano. Meno elementi ancora ci sono per ritenere complici i carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale. Lo hanno scritto i giudici della I sezione della Corte d’Assise d’Appello di Roma depositando le motivazioni della sentenza con cui il 12 luglio scorso hanno confermato l’assoluzione degli imputati. Tutti erano già stati assolti al termine del primo processo celebrato davanti alla Corte d’Assise di Cassino.

L’assoluzione bis ricalcano le stesse ragioni che avevano condotto alla sentenza di primo grado. E cioè: la mancanza di prove. Non c’è la prova che Serena Mollicone il giorno del delitto sia entrata nella caserma dei carabinieri di Arce e li sia stata ammazzata (l’accusa parla di una lite con Marco Mottola). La svolta che aveva portato ai due processi per i Mottola e gli altri carabinieri stava nelle dichiarazioni rese nell’inchiesta bis dal brigadiere Santino Tuzi, poi morto suicida. Ma la Corte d’Appello, esattamente come la Corte d’Assise di Cassino, dice che le sue dichiarazioni sono confuse, generiche, ritrattate, rese sotto pressione “non dandogli la possibilità di dare una versione alternativa dei fatti nonostante Tuzi tentasse di farlo (…) Due volte fornisce una tesi che finisce per accrescere i dubbi sulla credibilità della persona”.

Ma c’è di più: “L’ingresso della ragazza in caserma – scrive ora la Corte – integra l’elemento più importante del percorso logico dell’accusa. Ma non fornisce la prova del fatto storico da accertare. Che è l’assassinio di Serena”. Anche se si dimostrasse che Tuzi ha visto Serena in caserma il giorno del delitto questo non dimostra che i Mottola l’abbiano uccisa. Tra i due processi c’è una sola grande differenza: la testimonianza di un amico del brigadiere Tuzi.

Ha detto in Appello di essere convinto che non si fosse suicidato “ma che gli avessero tappato la bocca. Appare veramente strano che un teste indignato e furibondo non si sia precipitato dagli inquirenti a fornire un elemento così importante ed abbia tenuto il segreto per 15 anni. Il timore di ritorsioni sulla figlia, in assenza di minacce esplicite è un’ipotesi umanamente comprensibile ma è stata una scelta in grado di incrinare l’efficacia probatoria del testimone”.

Secondo l’accusa Marco voleva evitare che Serena lo denunciasse perchè spacciava droga. La Corte ha ritenuto “evanescente” il movente a fronte “di un compedio probatorio insufficiente e contradditorio”. La Corte ha citato Pasolini: “Qui, nelle Aule di giustizia, non può albergare la polemica frase (scritta, peraltro, cinquant’anni fa, in un articolo di analisi storico-politica, non giudiziaria) di un noto intellettuale. Diceva io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi”.

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Cronache

Ischia ritrova la sua giustizia: il Tribunale torna operativo con le udienze del giovedì

Il Tribunale di Ischia riapre le udienze del giovedì grazie al decreto del presidente vicario Scoppa. Una vittoria per avvocati, cittadini e istituzioni locali dopo mesi di proteste.

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Una notizia attesa con speranza dai più ottimisti e insperata da altri, ma che segna un passaggio decisivo nella lunga battaglia per la tutela del presidio giudiziario dell’isola verde. Il presidente vicario del Tribunale di Napoli, Gianpiero Scoppa, ha disposto il ripristino delle udienze a Ischia, restituendo piena funzionalità alla sezione distaccata locale.

Una decisione che accoglie le istanze dell’Associazione Forense dell’isola di Ischia e del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, protagonisti di una mobilitazione decisa culminata nello sciopero del 5 aprile scorso e nel ricorso al TAR presentato con il sostegno dei sei Comuni isolani.

Il decreto del giudice Scoppa: ritorno alla normalità

Il provvedimento firmato da Scoppa prevede l’assegnazione provvisoria del giudice onorario Ciro Ravenna al settore civile della Sezione distaccata di Ischia, in qualità di Giudice dell’Esecuzione, con il compito di gestire le udienze precedentemente seguite dalla giudice Criscuolo.

Nel decreto si evidenzia che Ravenna, rientrato in servizio nel 2025 dopo un incarico all’Ufficio del Giudice di Pace, aveva espressamente chiesto di essere destinato a una sezione civile in virtù della propria formazione professionale. La sua collocazione a Ischia rappresenta dunque una soluzione funzionale per sopperire alle gravi carenze d’organico che affliggono il Tribunale isolano.

Il decreto ha effetto immediato, garantendo il ripristino delle udienze del giovedì e segnando una svolta dopo mesi di polemiche, disservizi e disagi per professionisti, cittadini, testimoni e imputati costretti agli spostamenti sulla terraferma.

La soddisfazione dell’Assoforense e dell’avvocatura

«Quello ottenuto è un risultato importante», ha commentato Alberto Morelli, presidente dell’Assoforense Ischia. «Scoppa aveva già dimostrato attenzione e sensibilità alla nostra situazione. Ora arriva un passo concreto che ridà dignità alla nostra professione e servizio alla cittadinanza».

Anche il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli esprime soddisfazione per l’esito di un lavoro di sinergia tra istituzioni e avvocati, premiato da un risultato tangibile dopo mesi di diplomazia e pressione istituzionale.

La battaglia continua: si attende la stabilizzazione definitiva

Sebbene l’assegnazione di Ravenna rappresenti una boccata d’ossigeno, resta ancora aperta la questione della stabilizzazione definitiva del Tribunale di Ischia, promessa più volte dal Governo centrale ma mai concretamente attuata.

Il clima ora è più disteso, ma solo un atto definitivo potrà chiudere quella che gli avvocati dell’isola definiscono «una lunga parentesi di giustizia precaria».

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Cronache

Conclave 2025, i cardinali decidono: si comincia il 7 maggio

Il Conclave per eleggere il successore di Papa Francesco inizierà il 7 maggio. I cardinali si riuniranno nella Cappella Sistina: le regole, i tempi e il ruolo di Parolin.

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I cardinali hanno deciso: il Conclave che eleggerà il 266esimo successore di Pietro inizierà il 7 maggio, mercoledì prossimo, nel pomeriggio. L’annuncio è arrivato dopo l’assemblea dei porporati che ha scelto di prendersi qualche giorno in più per motivi principalmente logistici.

Più tempo per sistemare gli elettori

La decisione di posticipare l’inizio del Conclave rispetto alla conclusione dei novendiali di suffragio per Papa Francesco, che termineranno domenica, è dovuta alla necessità di organizzare adeguatamente l’accoglienza dei 135 cardinali elettori – il numero più alto mai registrato – presso la Casa Santa Marta. Due porporati, infatti, hanno già annunciato la rinuncia per motivi di salute.

La guida del Conclave

A presiedere il Conclave sarà il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano, poiché il Decano Giovanni Battista Re e il Vice Decano Leonardo Sandri, avendo superato gli ottant’anni, non parteciperanno alle votazioni. Toccherà a Parolin, quindi, interrogare il nuovo eletto circa l’accettazione del pontificato e il nome che vorrà assumere.

Prima dell’inizio delle votazioni, la mattina del 7 maggio, il cardinale Re celebrerà la Missa pro eligendo Romano Pontifice nella Basilica di San Pietro. Nel pomeriggio, i cardinali si raccoglieranno nella Cappella Paolina per poi entrare in processione nella Cappella Sistina intonando il “Veni Creator Spiritus”, invocando l’assistenza dello Spirito Santo.

Le regole del Conclave

Come stabilito dalla Costituzione Universi Dominici Gregis di San Giovanni Paolo II, i cardinali hanno giurato di rispettare rigorosamente le norme che regolano l’elezione. Sono vietate influenze esterne, pressioni, favoritismi o avversioni personali. L’unico criterio dev’essere il bene della Chiesa e la gloria di Dio.

Il nuovo Papa dovrà essere eletto con una maggioranza qualificata di due terzi. Dopo il comando “Extra omnes” (“Fuori tutti”), inizieranno le votazioni: il primo scrutinio sarà effettuato il 7 maggio. Dal giorno successivo, se necessario, si procederà con quattro votazioni quotidiane, due al mattino e due al pomeriggio.

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Genova, sindacalista inventa un’aggressione fascista: indagato per simulazione di reato

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Un grave episodio di simulazione scuote il clima politico e sindacale a Genova. Fabiano Mura, segretario genovese della Fillea-Cgil (categoria degli edili), è stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di simulazione di reato, dopo aver inventato una presunta aggressione subita alla vigilia del 25 aprile.

Mura aveva denunciato pubblicamente e in Procura di essere stato aggredito da due persone che gli avrebbero urlato insulti fascisti, fatto il saluto romano, sputato addosso e colpito con pugni e spintoni. Un racconto drammatico che aveva suscitato un’immediata ondata di solidarietà, culminata in una manifestazione antifascista a cui avevano preso parte esponenti politici e sindacali, tra cui Anpi Genova, la candidata sindaca del centrosinistra Silvia Salis, l’ex ministro Andrea Orlando e l’ex leader Cgil Sergio Cofferati.

La verità emerge: nessuna aggressione

Le indagini della Digos hanno rapidamente sollevato dubbi sulla versione dei fatti fornita da Mura. I riscontri video delle telecamere di sorveglianza e le incongruenze sugli orari hanno smontato il suo racconto. Messo alle strette dagli investigatori, il sindacalista ha infine ammesso davanti al magistrato di essersi inventato tutto e ha ritirato la denuncia.

La Cgil, dopo aver appreso l’esito delle indagini, ha annunciato la sospensione di Mura, prendendo ufficialmente le distanze dal suo comportamento.

Le reazioni politiche

Il caso ha suscitato reazioni forti nel panorama politico. Matteo Salvini, leader della Lega, ha commentato: «Che tristezza. Per tre giorni è stato lanciato l’allarme sulla violenza fascista a Genova, e poi si è scoperto che gli unici fascisti immaginari stanno a sinistra».
Anche Fratelli d’Italia ha denunciato l’episodio, sottolineando che «le falsità fomentano l’odio».

Dal centrosinistra, Silvia Salis ha preso le distanze: «È un atto gravissimo. Noi siamo parte lesa e ci dissociamo completamente da questa azione irresponsabile».

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