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Cronache

Segregata in casa dal fidanzato e dal suocero a Rimini

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Segregata in casa, maltrattata e picchiata dal fidanzato e dal suocero. Una ragazza di 19 anni macedone è stata soccorsa questa mattina e portata in Pronto soccorso dalla polizia di Rimini che, coordinata dal sostituto procuratore Davide Ercolani, ha arrestato per sequestro di persona, lesioni e maltrattamento in famiglia, padre e figlio, di 50 e 24 anni, di origine kosovara. La 19enne, circa cinque mesi fa, aveva conosciuto su Facebook il fidanzato, un giovane, in Italia da 20 anni con la famiglia e con un lavoro stabile come magazziniere. Dopo qualche mese di messaggi in chat e scambi di foto, alla fine di ottobre la ragazza aveva deciso di lasciare la Macedonia per trasferirsi a casa del fidanzato a Rimini, in una villetta in zona centrale della città. Solo un periodo di conoscenza – aveva pensato la 19enne – che prima di trasferirsi aveva fatto in modo che le due famiglie si conoscessero attraverso conversazioni in chat. Presto però quello che doveva essere l’inizio di una storia d’amore si era trasformato in un incubo.

Il fidanzato e il futuro suocero erano diventati i suoi carcerieri, le avevano confiscato cellulare e passaporto, costringendola a fare da cameriera, alle volte a dormire a terra, sotto la continua minaccia di violenze fisiche e psicologiche. Per un paio di calzini sporchi, la ragazza era stata picchiata con calci e pugni. Con la porta di casa sempre chiusa a chiave, non poteva mai uscire e spesso a picchiarla erano entrambi gli uomini, padre e figlio insieme. Le umiliazioni continue con il tacito assenso degli altri famigliari, sono andate avanti fino a quando non è riuscita a prendere il telefonino di uno dei fratelli del fidanzato. La ragazza, ieri, ha quindi chiesto aiuto al padre in Macedonia e quando il genitore dall’estero ha contattato il 113 è scattato il blitz delle Volanti della Questura di Rimini che hanno prelevato la giovane portandola in Ospedale. Quando la polizia è entrata nell’appartamento, la ragazza è corsa verso un agente gridando che in quella casa lei non voleva più rimanere. In ospedale i medici hanno potuto constatare i segni lasciati dalle botte subite, con lividi ed ecchimosi su tutto il corpo, tranne che in viso, zona che i carcerieri non colpivano mai per rendere meno evidenti le sevizie. Piu’ volte aveva temuto per sua vita, tanto che ai poliziotti ha raccontato di voler spesso affacciarsi alla finestra ed urlare per chiedere aiuto, ma l’idea della punizione che le sarebbe spettata se scoperta, le aveva sempre impedito di agire. Padre e figlio sono ora agli arresti in carcere e nei prossimi giorni saranno interrogati dal giudice per le indagini preliminari. Nel frattempo la squadra mobile indaghera’ sulle responsabilita’ degli altri familiari, principalmente la suocera spesso testimone delle violenze.

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Cronache

Omicidio Santo Romano, 18 anni e 6 mesi al minorenne: applicata la pena massima prevista dalla legge

Omicidio di Santo Romano: il minorenne condannato a 18 anni e 6 mesi. Applicata la massima pena prevista dalla legge per un imputato minorenne. Chiarimenti sulla sentenza.

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Diciotto anni e sei mesi di reclusione. È questa la condanna inflitta in primo grado al ragazzo di 17 anni del quartiere napoletano di Barra, accusato dell’omicidio di Santo Romano (foto in evidenza), giovane promessa del calcio ucciso con un colpo di pistola nella notte tra il 1° e il 2 novembre 2024 a San Sebastiano al Vesuvio, al culmine di un alterco nato per una sneaker sporcata. Il processo si è svolto con rito abbreviato davanti al Tribunale per i Minorenni di Napoli.

Il giovane imputato era reo confesso. I filmati della videosorveglianza avevano immortalato la dinamica dei fatti: l’avvicinamento di Romano all’auto, una Smart intestata al padre del minorenne, un primo allontanamento e poi il ritorno, probabilmente per chiarire la situazione prima della tragedia.

Durante il procedimento, la difesa aveva chiesto una perizia psichiatrica per il ragazzo, ma la Corte ha respinto l’istanza.

Applicato il massimo della pena possibile per un minorenne

Va chiarito con precisione che il giudice ha applicato il massimo della pena prevista dall’ordinamento italiano per un imputato minorenne. Secondo la legge, l’ergastolo non è applicabile ai minorenni.

Per un omicidio consumato, la pena massima prevista è di 24 anni, ridotta obbligatoriamente di un terzo (come stabilito dal Codice di Procedura Penale) per effetto della scelta del rito abbreviato: si arriva così a 16 anni.

A questi, il giudice ha aggiunto altri 2 anni e 6 mesi per il reato di tentato omicidio collegato, applicando un aumento particolarmente significativo rispetto alla prassi.

Il risultato finale, 18 anni e 6 mesi di reclusione, rappresenta dunque la pena massima possibile secondo la legge vigente.

Contestazioni e reazioni

All’esterno del Tribunale, numerosi ragazzi con magliette e striscioni chiedevano “Giustizia per Santo”, insieme alla madre Mena De Mare e alla fidanzata Simona. Alla lettura della sentenza sono esplose le contestazioni dei familiari e degli amici della vittima, con grida di «Vergogna» e «Fate schifo».

Tuttavia, è importante sottolineare che ogni commento che denuncia la sentenza come troppo lieve o addirittura che invoca l’ergastolo per il minorenne si basa su errate interpretazioni della legge o, peggio, su strumentalizzazioni che rischiano di fomentare l’odio verso la magistratura, la quale ha semplicemente applicato correttamente la normativa vigente. E allora: vogliamo pene più severe per gli assassini? Servono norme approvate dal Parlamento (i giudici applicano le leggi, per fortuna non le fanno loro) che inaspriscono le pene per gli assassini.

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David Knezevich morto in carcere: era accusato dell’omicidio di Ana Maria Henao

David Knezevich, accusato della sparizione della ex moglie Ana Maria Henao, si è tolto la vita nel carcere di Miami. Resta il mistero sul corpo della donna scomparsa.

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David Knezevich, 37 anni, accusato del sequestro e dell’omicidio della ex moglie Ana Maria Henao, è stato trovato morto nella sua cella a Miami, in Florida. A confermare il decesso, avvenuto per suicidio secondo i media americani, è stato il suo avvocato. Knezevich era detenuto in attesa di giudizio, dopo essere stato arrestato a maggio 2024 per il presunto coinvolgimento nella misteriosa sparizione della milionaria, avvenuta a Madrid.

Il giallo internazionale e le ricerche nel Vicentino

La vicenda aveva assunto da subito i contorni di un intrigo internazionale, coinvolgendo Stati Uniti, Spagna, Serbia e Italia. L’Fbi aveva seguito le tracce del sospettato fino a Cogollo del Cengio, in provincia di Vicenza, dove si erano concentrate le ricerche del corpo di Ana Maria Henao. Gli inquirenti avevano individuato la zona grazie ai tracciamenti di un’auto noleggiata da Knezevich a Belgrado. Nonostante gli sforzi, le operazioni di perlustrazione non avevano portato al ritrovamento del cadavere.

La ricostruzione delle accuse

Secondo gli investigatori, il 29 gennaio 2024 Knezevich aveva noleggiato un’auto senza GPS a Belgrado, recandosi poi a Madrid. Dopo aver rubato una targa per camuffare il veicolo, sarebbe stato ripreso dalle telecamere mentre metteva fuori uso i sistemi di sorveglianza dell’appartamento di Ana Maria. In seguito sarebbe entrato nell’abitazione con una valigia per uscirne nove minuti dopo: l’ipotesi è che avesse nascosto il corpo della donna, minuta e dal fisico esile, nella stessa valigia.

Durante il rientro verso la Serbia, una sosta prolungata nei boschi vicentini aveva insospettito gli investigatori, che avevano concentrato lì le ricerche senza tuttavia trovare alcun risultato.

Le accuse e i procedimenti legali

Nonostante l’assenza del cadavere, nei confronti di Knezevich era stata formalizzata l’accusa federale di omicidio. Parallelamente, la famiglia di Ana Maria aveva intentato una causa civile per «morte ingiusta», trasferimenti fraudolenti e sofferenza estrema, coinvolgendo anche il fratello, la madre e un cugino dell’imprenditore serbo. Gli accusati erano sospettati di aver aiutato Knezevich nella copertura del delitto o nell’occultamento delle prove.

Con la morte di David Knezevich, il procedimento penale a suo carico si chiude definitivamente, ma restano aperte le indagini sugli eventuali complici. Il mistero della scomparsa di Ana Maria Henao, intanto, rimane senza una soluzione definitiva.

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Medvedev: Zelensky farà una triste fine, abbattere regime Kiev

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Il numero due del Consiglio di sicurezza russo, Dmitri Medvedev, ha dichiarato che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky “finirà nel modo più triste” e che le truppe russe devono concludere “con una vittoria” l’invasione dell’Ucraina e “distruggere” quello che lui, seguendo la definizione della propaganda del Cremlino, definisce “il regime neonazista di Kiev”. Lo riporta l’agenzia di stampa ufficiale russa Ria Novosti.

“Quando il capo di uno Stato, anche uno così particolare come l’Ucraina, e un tipo così patologico come questo personaggio, si vanta di queste cose, significa solo una cosa: che alla fine anche lui finirà nel modo più triste”, ha detto Medvedev, commentando la notizia, ripresa anche dalla Reuters, secondo cui Zelensky avrebbe elogiato l’intelligence ucraina per l’uccisione di alcuni alti ufficiali russi ma senza riferimenti a casi specifici.

“Innanzitutto, dobbiamo completare l’operazione militare speciale in Ucraina con una vittoria e dobbiamo distruggere il regime neonazista di Kiev, ma il regime, non lo Stato, il cui destino è una questione del futuro”, ha detto poi l’ex presidente russo usando la dicitura “operazione militare speciale” con cui il Cremlino indica l’aggressione militare contro l’Ucraina. La Russia di Putin ha invaso l’Ucraina sostenendo di volerla “denazificare”, ma la tesi di Mosca secondo cui il governo di Kiev sarebbe “neonazista” è considerata del tutto infondata dalla stragrande maggioranza degli analisti politici.

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