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Scontro Parigi-Berlino in Ue su price cap e Sure

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Il patto tra Emmanuel Macron e Angela Merkel ad Aquisgrana sembra ormai un ricordo lontanissimo. Parigi e Berlino si prendono la scena dello scontro totale in Europa sull’energia e fanno scendere le quotazioni – sotto gli occhi di mercati e cittadini – di una già difficile intesa comune per abbassare i prezzi del gas e delle bollette. Un’emergenza che Mario Draghi, al suo ultimo vertice europeo, ha cercato di riportare al centro dell’attenzione invocando in modo netto l’unità e un’azione immediata. Necessarie, per il premier italiano, anche a congedarsi dall’Ue segnando un punto decisivo sul tetto al prezzo del gas. Il palazzo dell’Europa Building a Bruxelles ha accolto i capi di Stato e di governo a circa due settimane dall’ultimo incontro a Praga e la tensione nel frattempo si è fatta sempre più alta. Ad anticipare che il confronto porterà con tutta probabilità a un’intesa soltanto minima è stato il premier olandese Mark Rutte, capobanda dei falchi nordici contrari al price cap al gas e a nuovo debito comune insieme al cancelliere tedesco Olaf Scholz. “Oggi – ha tagliato corto – ci sarà l’accordo sull’acquisto congiunto del gas”. Da negoziare con i partner affidabili come Norvegia, Algeria e Stati Uniti su tutti. Sul price cap, vero pomo della discordia, si chiederà invece alla Commissione di “esaminare ancora alcune opzioni”. Per prendere altro tempo e, dal punto di vista di Berlino e L’Aja, cercare di ostacolare la proposta di Roma, Parigi e un gruppo di capitali che – insieme – raggiungerebbero già la soglia per la maggioranza qualificata necessaria. E che in queste settimane, nonostante la contrarietà di Germania, Olanda, Irlanda, Austria, Danimarca e Ungheria – che con Viktor Orban ha messo il carico da novanta bollando il tetto come “un suicidio economico” -, hanno portato anche Bruxelles a una prima apertura, con la proposta di Ursula von der Leyen su un corridoio di prezzo dinamico e temporaneo almeno per gestire il passaggio ad un nuovo indice di riferimento del gas da affiancare all’ormai non più rappresentativo Ttf. Lo scontro principale comunque si consuma tutto tra Parigi e Berlino, ormai in piena crisi. E nemmeno il bilaterale tra Macron e Scholz prima dell’avvio dei lavori è riuscito a rimarginare le divergenze. Tutto il contrario: a certificarlo le parole seccate del francese, che a favor di telecamere non le ha mandate a dire. “Dobbiamo preservare l’unità finanziaria e politica degli europei” e “non è positivo che la Germania si isoli”, ha tuonato. Un’irritazione che avrebbe origine nello scudo da 200 miliardi sull’energia varato da Berlino, forte del suo spazio fiscale, e dai continui ‘no’ tedeschi su una necessaria “solidarietà europea” davanti a una crisi che, ha evidenziato il capo dell’Eliseo, “riguarda tutti”. Per questo “è importante che si trovi l’unanimità”. Il muro tedesco però è ben saldo e negli stessi istanti è il cancelliere Olaf Scholz a rispedire le accuse al mittente, evidenziando che il Recovery fund e il maxi-piano energetico RePowerEu – che porta in dote un nuovo capitolo ai Pnrr – sono già “opportunità per agire in solidarietà”. Per quanto riguarda poi “gli strumenti” per far abbassare i prezzi del gas, serve quantomeno una discussione “intensa” perché “devono funzionare, nessuno vuole rimanere senza gas”. Le parole del Bundeskanzler sono risuonate come una pietra tombale sulla possibilità di un nuovo Sure che, invece, è l’elefante nella stanza del vertice. Nella bozza delle conclusioni non se ne trova traccia, ma Emmanuel Macron e Mario Draghi sono in pressing da settimane. E sono tornati a chiederlo anche al tavolo dei leader. Riportando l’orologio indietro al luglio 2020 e allo scontro frontale tra le capitali sul Recovery fund. La cui riuscita, alla fine, fu agevolata dalla guida di Angela Merkel. Nell’estremo tentativo di ricucire lo strappo, magari in tempo per il nuovo Consiglio straordinario energia annunciato il 18 novembre, il presidente francese aprirà le porte dell’Eliseo al cancelliere tedesco mercoledì prossimo. Riportare l’asse in linea è cruciale per il destino della crisi energetica dell’intera Europa.

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I 5 secondi che hanno messo in ginocchio la Spagna

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Cinque secondi, il tempo di un sospiro, ma lunghissimi in termini di velocità della luce. Sono stati sufficienti per mettere in ginocchio la Spagna. E’ il lasso di tempo in cui si sono verificate “due perdite di generazione di corrente successive, che il sistema non è stato in grado di assorbire”, provocando alle 12,33 di lunedì il crollo al ‘punto zero’, il collasso totale del sistema elettrico.

La causa di quei cali di tensione, con un intervallo di appena un secondo e mezzo fra loro, seguito dopo 3,5 secondi dal collasso, è il principale nodo che si cerca di sciogliere per risalire alle origini del grande buio in cui è sprofondata ieri la penisola iberica, come ha spiegato il capo delle operazioni della Rete Elettrica Spagnola (Ree), Eduardo Prieto. “Bisognerà analizzare il perché si sono prodotte le due disconnessioni, in particolare la seconda che ha portato al collasso del sistema”, ha segnalato Prieto. Si dovranno “verificare le cause, analizzare la potenza, l’ubicazione, le condizioni in cui si è prodotta la disconnessione”.

Ma ha anche riconosciuto come “molto probabile” che la fonte di generazione interessata dal calo sia quella solare, senza dare però ulteriori spiegazioni. Lunedì, in quei cinque secondi precedenti al collasso, che ha fatto “scomparire 15 gigawatt di elettricità dalla rete”, l’equivalente al 60% della domanda di energia spagnola – come aveva segnalato il premier – si era registrato un picco di produzione di energia solare nella zona del sudovest della Spagna, in Estremadura. E le rinnovabili stavano fornendo il 78% della domanda di elettricità del Paese. Il surplus di energia disponibile avrebbe provocato uno sbilanciamento della rete elettrica iberica, rendendo impossibile assicurare la stabilità del sistema, secondo quanto ha ipotizzato l’ex presidente di Rete Elettrica, Jorge Fabra, a Tve. Un primo squilibrio sarebbe stato assorbito dalla rete, mentre il secondo con un effetto domino, avrebbe superato la capacità di risposa del sistema, facendo crollare prima la rete spagnola e poi quella portoghese. E causando il distacco della interconnessione con la Francia.

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Parigi, al via il processo ai “nonnetti rapinatori” che derubarono Kim Kardashian

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È iniziato ieri, davanti al tribunale di Parigi, il processo contro i dieci imputati – nove uomini e una donna – accusati della clamorosa rapina ai danni di Kim Kardashian, avvenuta nell’autunno del 2016. Il principale indiziato, Aomar, 68 anni, si è presentato in aula con passo incerto e bastone alla mano, fedele al suo profilo di “papy braqueur”, come i media francesi hanno soprannominato la banda: i nonnetti rapinatori.

I protagonisti della rapina

Aomar, nato nel 1956 in Algeria, è un veterano del crimine, autore dei primi furti già a 14 anni. A presentargli i complici era stata la compagna Christiane Glotin, detta Cathy, oggi 78enne, che gli fece incontrare “Pierrot il grosso”, 80 anni, altra vecchia conoscenza del mondo criminale francese.

Tra gli altri protagonisti c’è Yunice Abbas, 71 anni, che tentò una fuga rocambolesca in bicicletta portando con sé una borsa che credeva piena di armi, ma che invece conteneva gioielli e perfino il cellulare di Kim Kardashian, da cui avrebbe ricevuto una chiamata della cantante Tracy Chapman.

Spicca anche Didier “occhi blu” Dubreucq, 69 anni, con 23 anni di prigione alle spalle, che avrebbe partecipato direttamente all’irruzione nella suite della star americana.

La notte del colpo milionario

La rapina avvenne la notte del 3 ottobre 2016, in una suite di lusso nascosta in rue Tronchet, vicino alla Madeleine. Kim Kardashian, sola nella stanza, fu sorpresa da due uomini travestiti da poliziotti. Le strapparono il cellulare e, sotto minaccia, la costrinsero a consegnare l’anello di fidanzamento, un diamante da quasi 19 carati, regalo del marito Kanye West, valutato circa quattro milioni di dollari. La star fu legata, imbavagliata e rinchiusa nel bagno, mentre i rapinatori fuggivano con il bottino, comprendente anche contanti, gioielli e orologi di lusso.

La banda fu individuata grazie alle tracce di Dna lasciate nella suite.

Una rapina da fumetto

Sull’incredibile vicenda sono già stati pubblicati fumetti e libri, alcuni scritti dagli stessi imputati, che hanno contribuito ad alimentare il mito dell’«impresa dei nonnetti». Kim Kardashian è attesa in aula per testimoniare il prossimo 13 maggio.

 

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Elezioni in Canada, liberali di Carney vincono legislative e preparano la guerra a Trump

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Secondo le proiezioni dei media locali, è il Partito liberale di Mark Carney a vincere le elezioni legislative canadesi. I risultati preliminari del voto non permettono però di stabilire se il premier guiderà un governo di maggioranza o di minoranza.

Il primo ministro si avvierebbe quindi a portare i Liberali verso un nuovo mandato, dopo aver convinto gli elettori che la sua esperienza nella gestione delle crisi economiche lo rende pronto ad affrontare le mire del presidente americano Donald Trump. L’emittente pubblica Cbc e Ctv News hanno entrambe previsto che il Partito liberale formerà il prossimo governo canadese. Solo pochi mesi fa la strada per il ritorno al potere dei conservatori guidati da Pierre Poilievre sembrava spianata, dopo dieci anni sotto la guida di Justin Trudeau. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua offensiva senza precedenti contro il Canada, con dazi e minacce di annessione, hanno cambiato la situazione.

Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

A Ottawa, dove i liberali si sono radunati per la notte delle elezioni, l’annuncio di questi primi risultati ha provocato un applauso e grida di entusiasmo. “Sono felicissimo, è ancora presto ma sono fiducioso che riusciremo ad avere la maggioranza”, David Lametti, ex ministro della Giustizia. La guerra commerciale di Trump e le minacce di annettere il Canada, rinnovate in un post sui social media il giorno delle elezioni, hanno indignato i canadesi e hanno reso i rapporti con gli Stati Uniti un tema chiave della campagna elettorale.

Carney, che non aveva mai ricoperto una carica elettiva e aveva sostituito Trudeau come premier solo il mese scorso, ha basato la sua campagna su un messaggio anti-Trump. In precedenza ha ricoperto la carica di governatore della banca centrale sia nel Regno Unito che in Canada e ha convinto gli elettori che la sua esperienza finanziaria globale lo rende pronto a guidare il Paese attraverso una guerra commerciale. Ha promesso di espandere le relazioni commerciali con l’estero per ridurre la dipendenza del Canada dagli Stati Uniti.

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