Alle 19.15 del 29 aprile una telecamera riprende tre persone che portano con se’ due pale, un secchio con un sacchetto azzurro, un piede di porco e un altro strumento di lavoro e si dirigono dietro l’abitazione della famiglia di Samman Abbas, verso la campagna di Novellara. Alle 21.50 tornano a casa. Secondo i carabinieri e la Procura di Reggio Emilia questa scena potrebbe rappresentare la tragica fine della storia di Saman Abbas, 18 anni compiuti a dicembre. Gli investigatori stanno cercando lei e i suoi familiari, fuggiti in Pakistan in tutta fretta, provando a riannodare i fili di una vicenda triste, protagonista una giovane donna che si e’ opposta al progetto di matrimonio combinato con un cugino in patria. Saman ha trovato il coraggio di dire no e di chiedere aiuto, e’ stata messa sotto protezione per alcuni mesi, ma poi e’ tornata a casa e dopo un po’ di tempo, tre settimane di vuoto, e’ scomparsa. Una sparizione su cui in tanti oggi, anche dalla politica, chiedono di far luce, sperando non sia troppo tardi. Le immagini delle telecamere di sorveglianza hanno portato infatti a ipotizzare non solo che sia stata rapita, ma che sia stata uccisa e il suo corpo nascosto. Per questo da alcuni giorni sono state attivate ricerche in tutta la zona, svuotati i canali di irrigazione e messi in campo i cani molecolari. La Procura di Reggio Emilia, come ha spiegato la procuratrice reggente Isabella Chiesi, ha attivato anche i canali di cooperazione internazionale per cercarla all’estero, ma anche per individuare i suoi familiari, ipoteticamente indagati. La ragazza era arrivata a Novellara quattro anni fa, era andata a scuola, ma non oltre la terza media. “Non aveva grandi rapporti sociali”, ha detto la sindaca Elena Carletti, che per domani sera ha organizzato una fiaccolata in paese, per stringersi idealmente al destino della giovane. “Sono giorni di enorme apprensione. Un esito come quello che si teme sarebbe scioccante per la nostra comunita’”, ha detto. I genitori di Saman lavoravano in un’azienda agricola. “Quando era piu’ piccola Saman giocava con suo fratello, ma dopo che e’ cresciuta un pochino, dai 17 anni, non l’abbiamo piu’ vista fuori libera come prima”, ha raccontato al Tgr Rai Emilia-Romagna la datrice di lavoro, Rosanna Bartoli. Ma a Saman questa vita non andava bene. A giugno 2020 si era allontanata, era stata per due settimane in Belgio. “Lei nutriva un fermento, una forma di ribellione comprensibile e naturale”, ha detto ancora la sindaca. Il 27 ottobre la ragazza ha chiesto aiuto ai servizi sociali e subito e’ scattata una procedura d’urgenza chiesta dalla Procura per i minori, con il collocamento in una comunita’. I genitori sono stati denunciati per costrizione o induzione al matrimonio. Poi, pero’, compiuti i 18 anni, la ragazza dopo un po’ di tempo ha deciso di allontanarsi e di rientrare a casa, nonostante il parere contrario degli operatori. Voleva andare a prendere i documenti, ha detto, probabilmente per avere un po’ di autonomia. Era l’11 aprile. E’ formalmente scomparsa dal 5 maggio, quando i militari sono andati a casa, d’intesa con i servizi sociali, e non hanno trovato nessuno. Ne’ lei, ne’ altri. I famigliari sono partiti in fretta per il Pakistan, come dimostrano i biglietti degli aerei, su cui Saman non e’ mai salita. Si sta cercando di capire cosa sia successo in quelle tre settimane, anche guardando altri video ripresi da telecamere nella zona. (ANSA). ROM 27-MAG-21
Un nuovo terremoto istituzionale potrebbe abbattersi su Torre Annunziata, a meno di un anno dalla fine del commissariamento imposto dallo scioglimento per infiltrazioni mafiose della precedente amministrazione. Un dossier della Guardia di Finanza, già trasmesso alla Prefettura di Napoli, propone lo scioglimento dell’attuale Consiglio comunale guidato dal sindaco Corrado Cuccurullo, invocando il ricorso all’articolo 143 del Testo Unico degli Enti Locali, non come sanzione, ma come misura preventiva, in linea con la giurisprudenza consolidata e il parere del Consiglio di Stato.
Un’amministrazione nel mirino: tre informative e un’indagine per false dichiarazioni
Il dossier delle Fiamme Gialle non è isolato. Altri due rapporti informativi, uno dei Carabinieri e uno della Polizia municipale, completano il quadro di elementi già all’attenzione della Prefettura. Al centro, anche un’indagine giudiziaria per falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, che vede coinvolti tre consiglieri comunali e un ex assessore. I quattro avrebbero dichiarato falsamente l’assenza di cause di incompatibilità, pur avendo pendenze economiche con il Comune, condizione che avrebbe dovuto comportare l’incandidabilità e l’inconferibilità.
Irregolarità e pressioni: nomine sospette, assunzioni anomale e sgomberi ostacolati
Il dossier non si limita all’aspetto penale, ma evidenzia una lunga serie di scelte discutibili sotto il profilo dell’opportunità amministrativa. Tra le criticità:
La volontà dell’amministrazione di far passare la processione della Madonna della Neve in zone sconsigliate dalle forze dell’ordine, perché frequentate da soggetti legati a clan camorristici, poi fortunatamente annullata.
La frequentazione irregolare degli uffici comunali da parte di persone non autorizzate, alcune delle quali successivamente assunte nello staff del sindaco. Tre soggetti avrebbero lavorato per mesi senza titolo, occupando postazioni e partecipando a riunioni. Tra questi, anche una persona sentimentalmente legata alla figlia di un’esponente del clan Gallo-Cavalieri.
Pressioni da parte di esponenti dell’amministrazione per ritardare alcuni sgomberi che interessavano famiglie vicine o imparentate con consorterie criminali.
Ombre sul consiglio comunale: legami con la criminalità organizzata
Un altro passaggio del dossier ricorda come diversi consiglieri comunali risultino legati a clan camorristici, secondo quanto già emerso nella precedente relazione della commissione d’accesso che aveva portato allo scioglimento del 2022. In tale contesto, l’ipotesi di una nuova commissione d’accesso appare sempre più concreta.
Il silenzio del sindaco
Il sindaco Corrado Cuccurullo, nonostante sia stato interpellato dai giornalisti, ha scelto per ora di non commentarele rivelazioni contenute nei dossier. Un silenzio che pesa, mentre la Prefettura valuta se avviare ufficialmente la procedura per un nuovo scioglimento.
Roberto Saviano (le foto sono di Imagoeconomica)torna a parlare. Lo fa in una lunga e intensa intervista rilasciata al Corriere della Sera, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro L’amore mio non muore (Einaudi). Dall’esperienza ai funerali di Papa Francesco alla memoria dolorosa della sua zia scomparsa, dal prezzo pagato per la scrittura alla condanna della solitudine, Saviano racconta senza filtri la sua vita da recluso, il senso di colpa, il peso degli attacchi e l’ossessione per la verità.
“Ho partecipato ai funerali di Francesco, come a quelli di Wojtyla. Ma lì c’era la camorra a vendere i panini”
La sua presenza in Vaticano ha destato curiosità. Ma Saviano spiega: «Ero stato anche ai funerali di Wojtyla, da cronista. Seguivo la vendita dei panini, organizzata dal clan». E sottolinea quanto la figura di Francesco, a differenza delle autorità presenti, abbia voluto essere toccata dagli ultimi.
“Mi sento in colpa. La mia famiglia ha pagato tutto. Io ho scelto, loro hanno solo perso”
Saviano ammette il dolore più intimo: la scomparsa recente della zia, vissuta in solitudine. «Ho la sensazione di aver sbagliato tutto», confessa. «I miei genitori si sono sradicati da Caserta per proteggermi. Io ho fatto carriera, loro hanno solo pagato».
E ancora: «Pensavo di cambiare la realtà con i libri, di accendere una luce. Ma ho solo generato isolamento».
“Il simbolo è di pietra. Non puoi sbagliare, non puoi contraddirti. Non sei più uomo, ma solo rappresentazione”
La condizione di scrittore-simbolo lo opprime: «Esisto per quello che rappresento, non per quello che sono». E il suo ruolo pubblico – protetto, attaccato, giudicato – ha inciso su tutto: amicizie, amore, libertà. «Quando vuoi bene a qualcuno, quella persona deve restare fuori dalla gabbia in cui tu sei chiuso. Nessun amore sopravvive così».
“Ho pensato di farla finita. Ma il corpo ha reagito. E ho capito che la fine non era quella”
Parla anche di pensieri estremi: «Ho pensato al suicidio. Volevo mettere il punto. Poi, guardandomi allo specchio, ho capito che non era quella la soluzione». E oggi convive con crisi di panico, insonnia, ansia. «Alle 5 del mattino non respiro. E mi chiedo: dove vado adesso?».
“Rushdie è vivo solo perché l’attentatore non sapeva usare il coltello. Ma almeno ora nessuno può dire che la minaccia era inventata”
L’amicizia con Salman Rushdie è per Saviano un nodo emotivo forte. L’attacco subito dallo scrittore anglo-indiano ha svelato la verità del pericolo: «È vivo per miracolo, e ora nessuno può più dire che la fatwa era un’esagerazione. Lui almeno ha avuto una liberazione. Io no: sono ancora dentro».
“Vorrei sparire. Cambiare nome. Prendere un camion e guidare lontano. Ma so che non posso”
L’idea della fuga è ricorrente: «Vorrei una nuova identità, un’altra vita. Ho preso la patente per il camion. Sogno di fare come Erri De Luca, partire per una missione umanitaria». Ma aggiunge con amarezza: «Non ne uscirò mai. Sono un bersaglio».
ROBERTO SAVIANO
“In Italia, se non muori, ti dicono che il pericolo non era reale. La scorta diventa uno stigma, non una protezione”
Saviano riflette sull’ossessione per la scorta: «In Italia, se non ti uccidono, allora vuol dire che hai esagerato». Racconta l’episodio surreale di una signora che lo accusa in aeroporto di aver mentito sul pericolo perché era da solo.
“Con Gomorra ho illuminato l’ombra. Ora racconto Rossella, uccisa dall’amore e dalla ’ndrangheta”
Il suo nuovo libro ricostruisce la storia di Rossella Casini, ragazza fiorentina scomparsa nel 1981 perché si era innamorata del figlio di un boss. Una tragedia sommersa, raccontata con sguardo letterario e civile. «Una Giovanna d’Arco ingenua e lucida. Il suo corpo non è mai stato trovato. La sua colpa: amare dissidenti».
“Michela Murgia mi ha insegnato la libertà nei legami. E mi ha donato vita. Ora mi manca anche l’amore”
Commuove il ricordo dell’amicizia con Michela Murgia: «Mi ha insegnato a tagliare i lacci ai sentimenti». E confessa: «Mi manca l’amore. Ma come si ama, se vivi da prigioniero? L’amore ha bisogno di leggerezza. Io sono pesante, ormai».
La destituzione di madre Aline Pereira Ghammachi, 41 anni, la più giovane badessa d’Italia, è arrivata come un fulmine a ciel sereno lo scorso 21 aprile 2025, gettando nel caos il monastero cistercense dei Santi Gervasio e Protasio di San Giacomo di Veglia, alle porte di Treviso. Un provvedimento inatteso del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata, che ha commissariato il monastero nonostante le ispezioni precedenti avessero escluso anomalie. Il caso è esploso dopo che undici consorelle hanno abbandonato il convento in segno di solidarietà con la badessa rimossa.
«Mi hanno cacciata all’improvviso, senza spiegarmi il motivo»
Intervistata dal Corriere della Sera, madre Aline ha raccontato la sua versione dei fatti, parlando per la prima volta dopo la destituzione: «Il giorno di Pasquetta mi è stata comunicata la rimozione. Una cosa inaspettata. Non mi è stato chiarito il motivo del commissariamento. Mi è stato riferito solo che due anni fa sarebbe stata inviata una lettera a Papa Francesco che mi accusava di maltrattamenti. Ma quella vicenda era stata archiviata». Secondo la religiosa, a sostenere l’assenza di irregolarità era stata anche l’ispettrice madre Ester Stucchi, in una relazione che avrebbe confermato la regolarità della vita comunitaria.
Undici suore via con lei: «Pregherò per riaccoglierle»
Madre Aline racconta che l’ambiente in monastero era diventato pesante: «Il clima era insopportabile. Per questo abbiamo deciso di andar via. Undici suore hanno lasciato il convento una dopo l’altra. Alcune si sono presentate dai carabinieri per evitare allarmi. Viviamo separate, ma il mio sogno è quello di poterle accogliere tutte in un nuovo luogo, se Dio me lo permetterà».
Le accuse dell’Ordine: «Falsità e affermazioni diffamatorie»
La religiosa ha poi risposto con fermezza a chi la descrive come una figura divisiva, forse troppo moderna: «Mi sono laureata in Economia e Commercio, ho riorganizzato le attività del convento. Qualcuno parla d’invidia. L’abate Lepori avrebbe detto che sono “troppo giovane e bella per essere badessa”. Io prego soltanto perché emerga la verità».
E ancora: «Mi preoccupo per il monastero, che ha spese importanti e tante attività sociali: accoglievamo persone sole, donne in difficoltà. Avevamo un orto, una serra per l’aloe, facevamo miele, vino biologico. Non so cosa ne sarà adesso».
Infine, conclude: «L’Ordine ha diffuso falsità e affermazioni lesive della mia dignità. D’ora in avanti parleranno i miei avvocati. Ma tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto per il bene del monastero».