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Salvini punta al partito unico di centrodestra per mangiarsi Fi e non restituire i 49 milioni truffati da Bossi

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Mercoledì 5 settembre il Tribunale di Genova si pronuncerà sui rimborsi elettorali ricevuti nel periodo 2008-2010 dalla Lega Nord. Parliamo di 49 milioni di euro che sarebbero stati utilizzati per spese personali dall’altra leader leghista Umberto Bossi e dal suo entourage familiare e politico. Quei soldi la Lega oggi, per sentenza, deve restituirli agli italiani.

Nemici amici. L’ex leader Umberto Bossi condannato per truffa e l’attuale capo politico della Lega ora ministro dell’Interno Matteo Salvini

I magistrati, però, nelle casse del partito di Matteo Salvini hanno trovato poco: Circa 3 milioni di euro. Nel centrodestra si discute in questi mesi di Governo giallo verde, di esecutivo 5 Stelle e Lega della nascita di un soggetto politico unico di centrodestra. Un nuovo partito che, nelle intenzioni di chi punta a farlo nascere presto, in fretta, avrebbe due obiettivi. Uno è poco commendevole:  superare il maxisequestro di 49 milioni di euro qualora venisse confermata la condanna. Con la nascita di un nuovo soggetto politico, per i magistrati che hanno il dovere di recuperare i milioni di euro che Bossi avrebbe truffato agli italiani sarebbe una impresa assai ardua. L’altro obiettivo è tutto politico. Unire il centrodestra. Ma chi ne sarebbe la guida? Chi ne farebbe parte? Sembra il lancio di una Opa ancora non ostile di Matteo Salvini su quel che resta di Forza Italia con Silvio Berlusconi sempre più, per sua scelta, ai margini della politica attiva. Salvini riuscirebbe così a far nascere un nuovo soggetto politico capace di federare l’intero centrodestra, avviare un percorso mettendo in campo anche un simbolo nuovo di zecca che tagli i ponti con il passato e che si rivolga a tutto il centrodestra e non solo. Molti leghisti sanno che è quello lo sbocco a medio termine. L’esperienza Lega va liquidata. «Il dato vero è che siamo l’unico riferimento di tutta quell’area” sostiene il deputato del Carroccio Paolo Grimoldi. Giuseppe Bellachioma,  segretario regionale della Lega in Abruzzo, che spesso ha anticipato le intenzioni di Salvini di mangiassi Fi parla di ridisegno dello scenario politico italiano, e racconta di “un partito unico del centrodestra che aiuterebbe a superare l’attuale centrodestra”.

Non a caso nelle ore frenetiche in cui a via Bellerio si attende il responso del Tribunale del Riesame di Genova, Riccardo Molinari, capogruppo a Montecitorio della Lega, fa un appello a Forza Italia in vista delle regionali piemontesi: “Devono schiarirsi le idee, non possono fare le stesse polemiche di Chiamparino. Sono convinto che faremo fronte unitario”.

Intanto gli alleati del Carroccio non vogliono nemmeno sentire la parola “partito unico”. “Rievoca un nome bulgaro dal sapore antico, e francamente non ci interessa: lo riteniamo inutile”, sbotta la capogruppo a Montecitorio Maria Stella Gelmini. Le fa eco Giorgio Mulè, portavoce degli azzurri alla Camera: “Il blocco unitario – scandisce – è paradossalmente la frantumazione delle identità. Forza Italia rappresenta e presiede un’area culturale ed identitaria del Paese che non può e non deve sciogliersi in un contenitore unico. Perché finirebbe annacquato”. Dalle parti azzurre il refrain è sempre lo stesso. Anche Mara Carfagna, vicepresidente della Camera, respinge l’ipotesi di un nuovo contenitore della coalizione. Per lei “quel che serve oggi e servirà ancora di più nelle prossime settimane così decisive è un partito unico della crescita”.
Sulla stessa scia Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni. A confermarlo è il capogruppo a Montecitorio Fabio Rampelli:

“Abbiamo già conosciuto l’esperienza del partito unico, l’unione tra FI e An imposta da Berlusconi e mal sopportata dalla destra: ha avuto un successo istantaneo ma breve, si è estinta nell’ arco di tre anni”.

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Intenzioni di voto degli italiani: Meloni stabile, M5s in risalita

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Il mese appena trascorso è stato caratterizzato da numerosi eventi di rilievo, sia a livello internazionale che nazionale, che hanno avuto un impatto sulle intenzioni di voto degli italiani. Tra gli eventi più significativi, il fallito attentato a Donald Trump negli Stati Uniti e la sostituzione della candidatura di Joe Biden con quella di Kamala Harris. Inoltre, l’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione UE ha evidenziato una divisione nel centrodestra italiano, con Forza Italia a favore e Fratelli d’Italia e Lega contro.

La premier Giorgia Meloni ha assicurato che il ruolo dell’Italia in Europa non subirà contraccolpi, ma la divisione tra gli alleati è evidente. Il segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, ha dichiarato che “l’Autonomia non è un dogma” e ha espresso preoccupazioni per le regioni del Sud. Ha inoltre sottolineato che il commercio estero deve rimanere una competenza nazionale, contrastando ulteriormente la posizione della Lega.

La questione dell’Autonomia differenziata, le riforme della giustizia e l’aggressione di militanti di CasaPound a un giornalista hanno suscitato ampie polemiche. Il presidente del Senato, La Russa, è stato criticato per le sue posizioni che sembravano giustificare l’aggressione.

Nonostante questi eventi, le ricadute sugli orientamenti di voto sono state limitate.

Di seguito, le intenzioni di voto per le Politiche:

  • Fratelli d’Italia (FdI): 27,9%
  • Partito Democratico (PD): 22,6%
  • Movimento 5 Stelle (M5S): 13,0%
  • Forza Italia (FI): 8,8%
  • Lega: 8,0%
  • Alleanza Verdi e Sinistra (Avs): 6,4%
  • +Europa: 1,6%
  • Italia Viva (Iv): 2,3%
  • Azione: 3,0%

La valutazione dell’esecutivo e della premier Meloni ha subito lievi cali. Il governo ha un indice di approvazione del 43%, un punto in meno rispetto al mese scorso, mentre Meloni ha un indice di 44, anch’esso in calo di un punto. L’indice di approvazione dei leader politici è rimasto sostanzialmente stabile, con l’eccezione di Antonio Tajani, il cui indice è sceso di due punti a causa delle recenti polemiche con Matteo Salvini.

La politica internazionale sembra influire poco sulle opinioni degli elettori italiani, con i cambiamenti nelle intenzioni di voto che rimangono minimi. Tuttavia, le dinamiche interne ai partiti e le divisioni nel centrodestra potrebbero avere implicazioni future sulla stabilità del governo e sulle alleanze politiche. ​

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Antonio Tajani: l’autonomia non è un dogma

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Negli ultimi tempi, si sono moltiplicati i segnali di un’offensiva all’interno di Forza Italia. Oggi, il segretario del partito, Antonio Tajani, ha chiarito la sua posizione affermando che “l’Autonomia non è un dogma”. Questa dichiarazione, resa durante un confronto in Consiglio dei ministri con Roberto Calderoli, padre della riforma, sembra rappresentare quella scossa che Pier Silvio Berlusconi aveva chiesto a Forza Italia, passando da un “partito di resistenza a uno più di sfida”.

Dopo numerose critiche mosse da alcuni membri di Forza Italia, in particolare dal governatore calabrese Roberto Occhiuto, al provvedimento bandiera della Lega, Tajani ha assunto una posizione più decisa rispetto al passato. Serrando i ranghi anche rispetto a una fronda interna, di cui la battaglia in nome del Sud condotta da Occhiuto è un esempio, Tajani ha affermato: “L’Autonomia differenziata non è un dogma di fede, è una riforma voluta dalla sinistra nel 2001 e spinta dalla Regione Emilia-Romagna: ora vigiliamo sull’applicazione. Vigilare non vuol dire mettersi di traverso ma fare le cose fatte bene”.

Tajani ha aperto alla posizione di Occhiuto, riconoscendo le preoccupazioni delle regioni del Sud: “La riforma deve essere a vantaggio di ogni cittadino italiano”. Ha chiarito che non mette in discussione “l’impegno preso da FI” con gli alleati, ma ha sottolineato che “serve un’ulteriore riflessione”. Tajani ha anche espresso preoccupazioni in quanto ministro degli Esteri, affermando che “il commercio estero deve restare competenza nazionale, le Regioni non possono sostituire lo Stato”.

Queste dichiarazioni segnano un cambio di ritmo per Forza Italia, il cui ruolo all’interno del governo appare ora più dialettico e di pungolo. Prima di Tajani, altri dirigenti del partito avevano preso le distanze dall’Autonomia. Licia Ronzulli, ad esempio, ha criticato il decreto sulle liste d’attesa appena convertito, definendolo “una misura tampone, ma insufficiente”.

Un altro fronte aperto è quello del decreto Carceri: il compromesso raggiunto dalla maggioranza ha sacrificato ben sette emendamenti forzisti su nove. La linea securitaria di Fratelli d’Italia e Lega, che nega anche la semilibertà per chi ha ancora quattro anni da scontare, ha prevalso. In commissione, i dirigenti forzisti hanno abbozzato: “Non si può ottenere tutto subito”, ha detto Maurizio Gasparri. Tuttavia, lunedì sarà illustrata l’iniziativa comune di FI con i Radicali per affrontare “la questione penitenziaria”.

Recentemente, fonti forziste hanno sbarrato la strada alla proposta della Lega di aumentare la raccolta pubblicitaria Rai per abbassare il canone, affermando che “non è nel programma”.

Le parole di Tajani arrivano mentre il consiglio dei ministri affronta il nodo dell’Autonomia con una informativa del ministro Roberto Calderoli. “Ad oggi sono state trasmesse al governo le richieste delle Regioni Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria”, ha riferito Calderoli. Tajani ha chiesto di visionare la relazione e Calderoli, in tono gelido, ha assicurato: “La invio a tutti”.

In conclusione, le dichiarazioni di Tajani rappresentano un tentativo di Forza Italia di ritagliarsi un ruolo più critico e costruttivo all’interno del governo, affrontando temi delicati come l’Autonomia differenziata e la questione penitenziaria, cercando al contempo di mantenere un equilibrio con gli alleati.

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Svolta sulle Autostrade, allo Stato parte dei pedaggi

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Una parte dei pedaggi autostradali andrà nelle casse dello Stato anziché in quelle delle società concessionarie. E’ con questa novità che si sblocca la partita delle concessioni, che aveva tenuto il stallo per qualche giorno il disegno di legge annuale sulla concorrenza. Il provvedimento, che spazia dalla proroga dei dehors alle sanzioni per taxi e Ncc abusivi, incassa così il via libera del consiglio dei ministri.

Che suggella anche un nuovo tassello della delega fiscale. Ottiene infatti il via libera definitivo l’undicesimo decreto attuativo, che contiene nuove scadenze per le dichiarazioni e qualche nuovo aggiustamento al concordato preventivo, il meccanismo con cui il governo conta di incassare risorse da usare per la manovra. In particolare, slitta dal 30 settembre al 31 ottobre la scadenza per l’invio delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all’Irap. Viene inoltre ampliato da 30 a 60 giorni il termine per il pagamento degli avvisi bonari ricevuti a seguito del controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni.

Per favorire l’adesione al concordato, invece, arriva la flat tax incrementale sul maggior reddito concordato, con aliquote variabili dal 10 al 15% in base al punteggio Isa (che indica l’affidabilità fiscale). Vengono anche rivisti gli acconti, con una minore maggiorazione. Approvato anche il “superamento definitivo del redditometro”, annuncia il vicepremier Matteo Salvini, intestando alla Lega questa “grande vittoria”, che dà lo “stop al Grande Fratello fiscale”. Un risultato su cui cui rivendica il proprio merito anche Fi.

“Viene introdotta una nuova misura, che stanerà i grandi evasori”, spiega da FdI il capogruppo alla Camera Tommaso Foti ricordando l’impegno del partito di Giorgia Meloni per un “fisco amico”. Il viceministro dell’Economia, esponente di FdI e ‘regista’ della delega, Maurizio Leo, che un paio di mesi fa aveva firmato un decreto che lo reintroduceva, poi sospeso, non ne fa menzione nel suo commento: illustra le altre misure e parla di “passo significativo verso una maggiore efficienza e semplificazione del sistema fiscale”.

Nel ddl concorrenza, che è uno dei 69 obiettivi per ottenere la settima rata del Pnrr, la principale novità è la riforma delle concessioni autostradali: arriva – per quelle in scadenza dal 2025 – un nuovo modello tariffario, già sperimentato in 4 concessioni (Ativa, Satap A21, Salt e A10 Fiori), che distingue la tariffa in 3 componenti, di cui due di competenza del concessionario e una, il cosiddetto extragettito, destinata al concedente e i cui proventi saranno utilizzati per realizzare gli investimenti, senza incrementare i pedaggi.

Il nuovo modello prevede anche che le future concessioni non supereranno i 15 anni. “L’obiettivo è realizzare opere pubbliche e tenere sotto controllo i pedaggi”, spiega Salvini, che in cdm porta anche una delibera che dà mandato all’avvocatura per depositare il ricorso contro i divieti unilaterali di Vienna al Brennero. Tante le altre misure del ddl concorrenza, dalla portabilità delle scatole nere alle start up innovative, dalle sanzioni per fronteggiare l’abusivismo nel settore dei taxi e Ncc alle misure per contrastare la cosiddetta ‘shrinkflation’, la pratica che consiste nel ridurre la quantità di prodotto, mantenendo inalterato il confezionamento. Ci sono anche la portabilità delle scatole nere e la proroga (per un anno, in attesa delle norme di riordino del settore) dei dehors, che incassa il plauso delle sigle di categoria ma su cui i consumatori minacciano ricorsi. “Con il ddl – commenta il ministro delle Imprese Adolfo Urso – compiamo un altro significativo passo nella giusta direzione, a supporto delle imprese e a tutela dei consumatori”.

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