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Sale la tensione, minacce incrociate tra Israele e Iran

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Le scintille della guerra a Gaza rischiano di alimentare l’incendio peggiore possibile: un conflitto diretto tra l’Iran e Israele. Le minacce incrociate si moltiplicano in vista dell’imminente operazione di terra dell’esercito israeliano a Gaza ma anche del crescente scontro al nord di Israele con gli Hezbollah sciti, alleati di ferro di Teheran. Uno scontro che nella realtà sul campo – al di là della diplomazia delle parole – è oramai un vero e proprio secondo fronte. Il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha ammonito che la regione “è come una polveriera. Vorrei avvertire gli Usa e il regime fantoccio israeliano che se non metteranno immediatamente fine ai crimini contro l’umanità e al genocidio a Gaza, tutto sarà possibile in qualsiasi momento e la regione andrebbe fuori controllo”.

Un monito che il premier Benyamin Netanyahu, pur senza nominare il regime degli Ayatollah, ha rimbeccato minacciando “conseguenze distruttive per gli Hezbollah e per il Libano” se la milizia decidesse di scatenare una guerra piena contro Israele. “Non sappiamo se gli Hezbollah siano intenzionati ad andare ad un conflitto totale – ha detto il premier, durante un sopralluogo al confine nord – se lo facessero, proverebbero poi nostalgia per la guerra del 2006. Sarebbe un errore fatale” Ancora più esplicito il ministro dell’economia Nir Barkat: “Il piano dell’Iran è di attaccare Israele su tutti fronti. Se realizziamo che vogliono attaccarci, non solo su tutti i nostri fronti, noi attaccheremo la testa del serpente: l’Iran”.

Intanto Israele ha continuato a colpire in Siria da dove transitano anche i rifornimenti per Hezbollah: per la seconda volta in 10 giorni, sono stati di nuovo centrati gli scali di Damasco e Aleppo. Il segretario di stato Usa Antony Blinken ha avvertito che Washington vede il rischio di un’escalation nella guerra in corso in Medio Oriente per via dell’Iran e dei suoi alleati nella regione. “Israele – ha sintetizzato – non può tornare allo status quo ma non ha intenzione di governare Gaza”.

Gli ha fatto eco il segretario alla difesa Lloyd Austin. “Se qualche gruppo o Paese – ha detto – sta cercando di ampliare questo conflitto e trarre vantaggio il nostro consiglio è: non farlo. Abbiamo il diritto di difenderci e non esiteremo a intraprendere azioni appropriate”, ha aggiunto dopo l’annuncio degli Usa di un rafforzamento della loro presenza militare in Medio Oriente. Fatto sta che il nord non è l’unico fronte su cui Israele è impegnato. A creare ulteriore tensione è la Cisgiordania dove Hamas ha numerose roccaforti e sta soppiantando l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen. Una, da sempre, è a Jenin nel nord dei Territori. L’aviazione israeliana ha colpito la moschea Al-Ansar della città (2 morti e feriti) sotto cui – ha detto il portavoce militare Daniel Hagari fornendo foto al riguardo – si nascondeva in un ambiente sotterraneo “una cellula terroristica di Hamas e della Jihad islamica” pronta per un attentato in Israele. In Cisgiordania, a testimonianza di una situazione in ebollizione, i morti palestinesi, compresa Jenin, sono stati in tutto 5.

Nella Striscia la situazione umanitaria è precipitata con il 45% delle case distrutte dagli attacchi israeliani, anche se dal valico di Rafah – tra Gaza e l’Egitto – sono passati, per la seconda volta in due giorni, 17 camion di aiuti umanitari. Ma Israele ha smentito che tra questi sia passato il carburante, oramai diventato introvabile per la popolazione, tranne che – ha detto il portavoce militare in arabo Avichay Adraee – per Hamas che ha messo da parte ingenti quantità. “Potrebbe servire agli ospedali, alla igiene e agli impianti di depurazione d’acqua”, ha denunciato.

A vigilare sulle modalità dell’ingresso degli aiuti a Gaza – ha fatto sapere l’esercito – si è creato “un triangolo strategico” fra i presidenti americano ed egiziano, Joe Biden e Abdel Fatah al Sisi, e Netanyahu che permette l’ispezione dei camion e il loro arrivo alla Mezzaluna Rossa. In un incidente di cui Israele si è scusato, è stata colpita per sbaglio una postazione egiziana vicino al valico di Kerem Shalom causando feriti lievi. Israele ha continuato a martellare, aumentando l’intensità degli attacchi, le postazioni di Hamas e i suoi vertici: i morti sono saliti a 4.651 con 14.245 feriti.

Solo nella notte scorsa sono stati oltre 50. In parallelo Israele – dove cresce il numero degli sfollati dal sud e dal nord (è stata decisa l’evacuazione di altre 14 comunità israeliane a ridosso del Libano) – è sotto continuo attacco dei razzi da Gaza: oltre 7.400 quelli lanciati da inizio conflitto. Mentre gli ostaggi in mano di Hamas, certificati dall’esercito, sono ora 212, la polizia ha annunciato di aver identificato i corpi di 1075 israeliani uccisi da Hamas, ma ci sono ancora altri 200 corpi ignoti. L’esercito continua a perlustrare le zone di confine alla ricerca di altri corpi e per farlo oltrepassa il confine con Gaza come è successo oggi a Kissufim dove c’e’ stato un ulteriore scontro con Hamas. Il ministro della difesa Yoav Gallant ha ribadito: “Ci vorrà un mese, ce ne vorranno due o tre, ma alla fine non ci sarà Hamas”.

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Parigi, al via il processo ai “nonnetti rapinatori” che derubarono Kim Kardashian

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È iniziato ieri, davanti al tribunale di Parigi, il processo contro i dieci imputati – nove uomini e una donna – accusati della clamorosa rapina ai danni di Kim Kardashian, avvenuta nell’autunno del 2016. Il principale indiziato, Aomar, 68 anni, si è presentato in aula con passo incerto e bastone alla mano, fedele al suo profilo di “papy braqueur”, come i media francesi hanno soprannominato la banda: i nonnetti rapinatori.

I protagonisti della rapina

Aomar, nato nel 1956 in Algeria, è un veterano del crimine, autore dei primi furti già a 14 anni. A presentargli i complici era stata la compagna Christiane Glotin, detta Cathy, oggi 78enne, che gli fece incontrare “Pierrot il grosso”, 80 anni, altra vecchia conoscenza del mondo criminale francese.

Tra gli altri protagonisti c’è Yunice Abbas, 71 anni, che tentò una fuga rocambolesca in bicicletta portando con sé una borsa che credeva piena di armi, ma che invece conteneva gioielli e perfino il cellulare di Kim Kardashian, da cui avrebbe ricevuto una chiamata della cantante Tracy Chapman.

Spicca anche Didier “occhi blu” Dubreucq, 69 anni, con 23 anni di prigione alle spalle, che avrebbe partecipato direttamente all’irruzione nella suite della star americana.

La notte del colpo milionario

La rapina avvenne la notte del 3 ottobre 2016, in una suite di lusso nascosta in rue Tronchet, vicino alla Madeleine. Kim Kardashian, sola nella stanza, fu sorpresa da due uomini travestiti da poliziotti. Le strapparono il cellulare e, sotto minaccia, la costrinsero a consegnare l’anello di fidanzamento, un diamante da quasi 19 carati, regalo del marito Kanye West, valutato circa quattro milioni di dollari. La star fu legata, imbavagliata e rinchiusa nel bagno, mentre i rapinatori fuggivano con il bottino, comprendente anche contanti, gioielli e orologi di lusso.

La banda fu individuata grazie alle tracce di Dna lasciate nella suite.

Una rapina da fumetto

Sull’incredibile vicenda sono già stati pubblicati fumetti e libri, alcuni scritti dagli stessi imputati, che hanno contribuito ad alimentare il mito dell’«impresa dei nonnetti». Kim Kardashian è attesa in aula per testimoniare il prossimo 13 maggio.

 

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Elezioni in Canada, liberali di Carney vincono legislative e preparano la guerra a Trump

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Secondo le proiezioni dei media locali, è il Partito liberale di Mark Carney a vincere le elezioni legislative canadesi. I risultati preliminari del voto non permettono però di stabilire se il premier guiderà un governo di maggioranza o di minoranza.

Il primo ministro si avvierebbe quindi a portare i Liberali verso un nuovo mandato, dopo aver convinto gli elettori che la sua esperienza nella gestione delle crisi economiche lo rende pronto ad affrontare le mire del presidente americano Donald Trump. L’emittente pubblica Cbc e Ctv News hanno entrambe previsto che il Partito liberale formerà il prossimo governo canadese. Solo pochi mesi fa la strada per il ritorno al potere dei conservatori guidati da Pierre Poilievre sembrava spianata, dopo dieci anni sotto la guida di Justin Trudeau. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua offensiva senza precedenti contro il Canada, con dazi e minacce di annessione, hanno cambiato la situazione.

Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

A Ottawa, dove i liberali si sono radunati per la notte delle elezioni, l’annuncio di questi primi risultati ha provocato un applauso e grida di entusiasmo. “Sono felicissimo, è ancora presto ma sono fiducioso che riusciremo ad avere la maggioranza”, David Lametti, ex ministro della Giustizia. La guerra commerciale di Trump e le minacce di annettere il Canada, rinnovate in un post sui social media il giorno delle elezioni, hanno indignato i canadesi e hanno reso i rapporti con gli Stati Uniti un tema chiave della campagna elettorale.

Carney, che non aveva mai ricoperto una carica elettiva e aveva sostituito Trudeau come premier solo il mese scorso, ha basato la sua campagna su un messaggio anti-Trump. In precedenza ha ricoperto la carica di governatore della banca centrale sia nel Regno Unito che in Canada e ha convinto gli elettori che la sua esperienza finanziaria globale lo rende pronto a guidare il Paese attraverso una guerra commerciale. Ha promesso di espandere le relazioni commerciali con l’estero per ridurre la dipendenza del Canada dagli Stati Uniti.

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Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

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Ha guidato due banche centrali ma non era mai stato eletto. Il primo ministro canadese Mark Carney, che ha vinto le elezioni generali di lunedi’, e’ abituato a navigare nella tempesta. Con la vittoria del suo partito alle elezioni legislative, dovra’ rapidamente mettersi alla prova contro Donald Trump. Una sfida che dice di poter vincere: “Sono piu’ utile nei momenti di crisi.

Non sono molto bravo in tempo di pace”, ha detto di recente, in tono divertito, a un piccolo pubblico in un bar dell’Ontario. In poche settimane, questo sessantenne novizio della politica e’ riuscito a convincere i canadesi che la sua competenza in materia economica e finanziaria lo rende l’uomo giusto per guidare il paese immerso in una crisi senza precedenti. In effetti, la recessione minaccia questa nazione del G7, la nona economia piu’ grande del mondo, dopo l’imposizione dei dazi doganali da parte di Trump, che continua a ripetere che il destino del Canada e’ quello di diventare uno stato americano.

Nato a Fort Smith, nell’estremo nord, ma cresciuto a Edmonton, in questo West canadese piuttosto rurale e conservatore, Mark Carney e’ padre di quattro figlie e appassionato di hockey. Ha studiato ad Harvard e Oxford, prima di fare fortuna come banchiere d’investimento presso Goldman Sachs, a New York, Londra, Tokyo e Toronto. Nel 2008, nel bel mezzo della crisi finanziaria globale, e’ stato nominato governatore della Banca del Canada dal primo ministro conservatore Stephen Harper. Cinque anni dopo, e’ stato scelto dal primo ministro britannico David Cameron per dirigere la Banca d’Inghilterra, diventando il primo straniero a dirigere l’istituto. Poco dopo, si trovera’ di fronte alle turbolenze causate dal voto sulla Brexit. Un compito svolto con “convinzione, rigore e intelligenza”, secondo l’allora Cancelliere dello Scacchiere britannico, Sajid Javid.

Da anni circolavano voci sul suo ingresso in politica. Ma e’ stato solo all’inizio di gennaio, dopo le dimissioni di Justin Trudeau, di cui era stato consigliere economico, che ha deciso di buttarsi nell’arena. Dopo aver conquistato il Partito Liberale all’inizio di marzo, e’ diventato primo ministro e ha indetto le elezioni in seguito, dicendo che aveva bisogno di un “mandato forte” per affrontare le minacce di Trump, che ha cercato di “spezzare” il Canada.

Una vera e propria scommessa per questo ex portiere di hockey che non aveva mai fatto campagna elettorale e che ha preso le redini di un partito al suo punto piu’ basso nei sondaggi, appesantito dall’impopolarita’ di Justin Trudeau alla fine del suo mandato. E molti analisti hanno messo in dubbio la sua capacita’ di ribaltare la situazione su molti canadesi, mentre molti canadesi hanno incolpato i liberali per l’alta inflazione e la crisi immobiliare nel paese. Poco carismatico, in contrasto con l’immagine sgargiante di Justin Trudeau nei suoi primi giorni, sembra che siano proprio la sua serieta’ e il suo curriculum ad aver finalmente convinto la maggioranza dei canadesi.

“E’ un po’ un tecnocrate noioso, che soppesa ogni parola che dice”, dice Daniel Be’land della McGill University di Montreal. Ma anche “uno specialista in politiche pubbliche che padroneggia molto bene i suoi dossier”. “Questo profilo e’ rassicurante e soddisfa le aspettative dei canadesi per gestire questa crisi”, aggiunge Genevie’ve Tellier. Il suo principale avversario durante la campagna, il conservatore Pierre Poilievre, lo ha descritto come un membro dell'”e’lite che non capisce cosa sta passando la gente comune”, ha detto Lori Turnbull, professoressa alla Dalhousie University. Resta un argomento che sembra fargli perdere la flemma: la questione dei suoi beni. Secondo Bloomberg, a dicembre aveva stock option per un valore di diversi milioni di dollari. E i suoi rari scambi di tensione con i giornalisti durante la campagna elettorale riguardavano questa fortuna personale.

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