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Cronache

Revman è Sebastiano Vitale, il poliziotto rapper che canta contro le mafie

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Sebastiano Vitale, 28 anni, agente della polizia di Stato a Milano, ha gli stessi occhi di Catia Malizia, scurissimi come la pece. Sono gli occhi di sua madre, quella bambina fotografata da Letizia Battaglia e diventata icona della Palermo che lottava per sopravvivere quando la mafia sanguinaria di Totò Riina faceva cataste di morti per affermare il suo potere militare. Una mafia che non si faceva scrupolo di trucidare servitori dello Stato: Piersanti Mattarella, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, giudice Gaetano Costa e poi Falcone, Borsellino. Quella di Riina e dei Corleonesi fu una scalata al potere mafioso scritta col sangue.

Revman o Sebastiano Vitale è il secondo figlio di quella bambina simbolo dell’Antimafia. Indossa una divisa, ama la divisa come il padre Salvatore. E per lui, essere un agente di polizia è una missione, significa aiutare i più deboli. Poi, certo,  è anche  un lavoro. Sebastiano ha una seconda vita. Bella come la prima. In questa seconda vita non ha la divisa, si chiama Revman, non va al commissariato Centro di piazza San Sepolcro di Milano ma sale su un palco e canta canzoni in le “guardie” come lui non sono insultate e disprezzate.

Sebastiano Vitale o Revman, è un cantante (e producer) di musica rap. Lo era già quando tre anni fa si  presentò al concorso per un posto in polizia. Quasi un anno di addestramento a Vibo Valentia, in Calabria, poi il primo incarico a Milano. Al rap s’era avvicinato da ragazzino, con gli amici, quando aveva iniziato a ballare breakdance. Il passo successivo è stato un piccolo studio di registrazione nella sua camera di Lecce (dove ha vissuto l’adolescenza) e l’idea di non rinunciare alla sua passione per la musica nonostante il lavoro da poliziotto. “Il rap è musica immediata, dove le parole hanno e devono avere un senso. Io odio gli stereotipi e per me la musica è libera e il rap è di tutti”.

Per Revman gli stereotipi sono i testi, se vogliano banali e ripetitivi, degli artisti della scena hip hop: una esaltazione continua, acritica, pericolosa della vita da gangster, tra cocaina, soldi e pistole. Una deriva che ha riempito i testi di riferimenti a Pablo Escobar, Al Capone e alla mitologia televisiva di Gomorra. Obiettivo di questi testi : le “guardie”.  Poliziotti, carabinieri, finanzieri, sbirri infami. Revman ovvero Sebastiano Vitale è una guardia, arresta i ladri, e non ha difficoltà a ironizzare con i propalatori delle banalità e dei luoghi comuni legati al rap o alle guardia. “Mi diverto ad osservare quel che succede. A me le critiche arrivino sia al lavoro perché faccio musica rap, sia da chi mi ascolta perché faccio il poliziotto”sorride l’agente Vitale ogniqualvolta deve spiegare la differenza tra la verità e le banalità.

Revman scrive tanto. È un ragazzo sensibile, ha uno sguardo vigile, attento sul mondo: sarà anche deformazione professionale. Nei suoi testi, come spiegavamo, non trovate l’esaltazione dello sballo, dei “gangsta” o lebaanlità dei padrini del narcotraffico. Revman si è fatto apprezzare per un brano contro la velocità stradale. Era una canzone d’amore per la vita e una esortazione a guidare con prudenza. Ora il suo successo è MCLM acronimo di Musica Contro Le Mafie.  La canzone  partecipa al concorso nazionale di Libera. Il video è ispirato alla foto della “Bambina con il pallone” che ritrae proprio la madre da piccola, fotografata da Letizia Battaglia.

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Cronache

Delitto di Garlasco, spunta l’“ignoto 3”: nuova pista sull’amico scomparso di Sempio

Un nuovo Dna, definito “ignoto 3”, cambia la direzione delle indagini sul delitto di Garlasco: i carabinieri puntano ora su una rete parallela di amicizie di Andrea Sempio.

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Un nuovo profilo genetico scoperto nel tampone orale di Chiara Poggi potrebbe riscrivere l’intera dinamica del delitto di Garlasco. Se le analisi confermassero che si tratta di una traccia “pulita”, cioè non contaminata accidentalmente da operatori o tecnici, la scena del crimine cambierebbe ancora una volta volto. È il cosiddetto “ignoto 3”, una sequenza di 22 marcatori genetici che non corrisponde a nessuno dei soggetti finora coinvolti nelle indagini.

Scompare la pista della compagnia storica di Sempio

La presenza di questo Dna inedito escluderebbe definitivamente la “compagnia storica” di Andrea Sempio, il commesso di telefonia già indagato. I carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, guidati dalla procura di Pavia, stanno ora cercando risposte nella rete di conoscenze meno visibili del giovane. Nessuna corrispondenza è emersa finora tra l’ignoto 3 e i profili dei frequentatori abituali della casa di Chiara Poggi, Marco Poggi incluso.

Le nuove audizioni e le perquisizioni

I nomi di Mattia Capra, Alessandro Biasibetti e Roberto Freddi, amici di Marco e Sempio, sono stati esclusi da ogni sospetto sin dal 2008, ma i carabinieri sono tornati nelle loro case lo scorso 14 maggio per nuove perquisizioniinformatiche e cartacee. Tutti saranno riascoltati, insieme a ex compagni di scuola e altri giovani che frequentavano locali e bar di Garlasco all’epoca. L’obiettivo è individuare l’altra compagnia di Sempio, quella che finora era rimasta fuori dal perimetro delle indagini ufficiali.

L’ombra di Michele Bertani

In questa nuova rete sociale emerge il nome di Michele Bertani, giovane morto suicida nel 2016, legato a un misterioso scandalo che coinvolse anni dopo il santuario delle Bozzole. Il suo nome era già emerso in passato, ma oggi torna centrale. Fu lo stesso Andrea Sempio a parlare del legame con lui, in un soliloquio intercettato nel 2017: «Era il mio più grande amico per anni… abbiamo fatto tutte le ca… insieme». Anche Mattia Capra ha recentemente confermato quel legame ai microfoni di Quarto Grado: «Era il mio migliore amico dell’infanzia».

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Delitto di Garlasco, nuove ipotesi: Chiara Poggi cercò di chiedere aiuto prima di essere uccisa

Le nuove analisi sul delitto di Garlasco ipotizzano una reazione della vittima e la presenza di più aggressori. Dna, tracce di sangue e un dettaglio sul telefono fisso aprono nuovi scenari.

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Chiara Poggi non sarebbe stata sorpresa dal suo assassino, come indicato nelle sentenze che hanno portato alla condanna definitiva di Alberto Stasi. È la convinzione maturata negli ultimi mesi tra i magistrati della Procura di Pavia, coordinati dal procuratore Fabio Napoleone, e dai carabinieri del comando provinciale di Milano.

Una scena del crimine diversa da quella processuale

Chiara avrebbe lottato contro chi l’ha aggredita, e tentato di dare l’allarme usando il telefono fisso di casa, prima di essere colpita mortalmente. Il dato chiave, secondo gli inquirenti, è una macchia di sangue rilevata sotto la cornetta, compatibile con uno schizzo lasciato durante i colpi inferti, non con una caduta casuale. Il telefono sarebbe stato rimesso a posto dall’assassino, ignaro di quella traccia rivelatrice.

I nuovi profili genetici e la dinamica alternativa

Sotto le unghie della vittima, anni dopo, sono emersi due profili genetici maschili: uno attribuito ad Andrea Sempio e un altro ancora senza nome. Ora, con il tampone orale eseguito sulla bocca della giovane, sarebbe emerso un terzo Dna ignoto. Gli inquirenti ipotizzano che Chiara abbia morso l’aggressore, nel tentativo di difendersi.

Si tratta, al momento, di ipotesi tecniche che verranno verificate anche con il supporto dei Ris dell’Arma, lo stesso reparto che si occupò del caso nel 2007.

Una violenza feroce, forse con due armi diverse

La nuova lettura include anche la possibilità di più persone coinvolte, non necessariamente due killer, ma almeno due presenti sulla scena. Elementi come le diverse tipologie di ferite, riconducibili a due armi differenti, e la concentrazione delle tracce in un’unica area della casa, rafforzano questa visione. Non solo: schizzi di sangue rilevati sulle pareti della scala suggeriscono che Chiara potrebbe essere stata colpita anche mentre tentava di fuggire, e non solo trascinata lì.

Non suggestioni, ma dati scientifici

Le indagini, assicurano dalla Procura, non inseguono suggestioni su sette o mandanti misteriosi, ma si basano su nuovi dati scientifici. Resta al centro dell’attenzione Andrea Sempio, già al centro di precedenti analisi, e ora si cerca di dare un nome al secondo profilo genetico rilevato.

Intanto, sul fronte mediatico, il blogger Gianluca Spina, residente in Svizzera e autore della diffusione di video contenenti foto dell’autopsia della vittima, ha dichiarato di non aver ricevuto notifiche dal Garante per la privacy, difendendo la sua scelta con finalità «didattiche».

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Morte di Riccardo Boni: il padre indagato per omicidio colposo, atto dovuto per chiarire la tragedia

Il padre di Riccardo Boni, 17 anni, è stato iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo. Il procuratore Liguori spiega: “Un atto dovuto per capire come è morto il ragazzo”.

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«La prima cosa che farò sarà abbracciarlo. Questo povero papà è devastato», dice con umanità il procuratore capo di Civitavecchia, Alberto Liguori. Il padre di Riccardo Boni, il ragazzo di 17 anni morto giovedì scorso mentre scavava una buca in spiaggia a Montalto di Castro, è stato iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo. Un passaggio inevitabile, spiega Liguori, «per svolgere tutti gli accertamenti previsti dalla legge».

La notifica tra dolore e incredulità

L’atto è stato notificato ieri mattina dai carabinieri della compagnia di Tuscania, al Camping California dove la famiglia soggiornava. Quando ha sentito di essere indagato, il padre di Riccardo è rimasto impietrito, sotto choc: «Ma come, indagato? È disumano». Poi, compreso il senso tecnico del provvedimento, si è messo a disposizione degli inquirenti: «Voglio capire cosa è successo, se Riccardo ha avuto un malore, se ha chiesto aiuto… Io ero lì».

Le ragioni dell’indagine

Il fascicolo aperto dalla Procura si fonda su due articoli del codice penale: il 589, che riguarda l’omicidio colposo, e il 40, che stabilisce che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. In quanto genitore di un minore, il padre di Riccardo è per legge responsabile di ciò che accade al figlio.

«Non c’erano altre fattispecie ipotizzabili», ribadisce Liguori, sottolineando che l’obiettivo principale è capire le cause reali della morte: «Vogliamo sapere se Riccardo è morto per un malore, per il caldo, o per il peso della sabbia che lo ha travolto».

La pressione mediatica e il peso dei social

In queste ore sui social si è scatenato un accanimento feroce, con post duri e spesso crudeli: “Il padre dormiva mentre il figlio moriva”, è solo uno dei commenti che circolano in rete. Per questo la procura ha raccomandato alla polizia giudiziaria di comunicare l’iscrizione nel registro con il massimo tatto, temendo anche rischi autolesionistici.

Una famiglia in silenzio, travolta dal dolore

La madre, il padre e i tre fratellini di Riccardo si dividono tra la casa di Roma e il camper lasciato al campeggio. Proteggono i più piccoli dal clamore mediatico, cercando riparo in una quotidianità spezzata dal dramma.

«Ha già la sua pena infinita», conclude il procuratore Liguori. «Noi faremo solo ciò che la legge ci impone. Con rispetto e umanità».

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