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Cronache

Reddito di cittadinanza, a Napoli presentate più richieste dell’intera Lombardia

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Al momento un avente diritto su due ha richiesto il reddito di cittadinanza.  Sono 806.878 le domande già caricate sulla piattaforma dell’Inps che andranno in pagamento tra la fine di aprile e l’inizio di maggio. Parliamo di una platea di 2,5 milioni di beneficiari reali.

All’appello mancano dunque 2,4 milioni di cittadini. A questo punto l’obbiettivo del M5S è di riuscire a raggiungere almeno l’85 per cento di coloro che sulla carta hanno diritto al bonus, ovvero 4 milioni di persone: per tagliare il traguardo servono almeno cinquecentomila domande (i gialloverdi due mesi fa avevano previsto in entrata circa 1,3 milioni di richieste complessive).
Mentre entra nel vivo la campagna elettorale per le Europee di maggio, e s’intensifica il braccio di ferro sulle misure simbolo ancora da varare di pentastellati e leghisti, a incominciare dalla flat tax, i riflettori rimangono accesi pure su quelle già avviate, a incominciare proprio da un reddito di cittadinanza evidentemente in crisi di risultati.
Delle 806.878 domande per il sussidio che risultano caricate sulla piattaforma dell’Inps, un terzo arriva dalla Campania (137.000 richieste) e dalla Sicilia (128.000). Oltre 78.000 quelle totalizzate nella sola Napoli, ovvero più di quelle pervenute dall’intera Lombardia, a quota 71.310. Questo numero significa che Napoli e la sua sterminata area metropolitana che conta 3,5 milioni di residenti (l’area più popolosa d’Italia) è sofferente. C’è povertà e c’è disoccupazione. È un pezzo di Italia che va aiutato non con pietismi e assistenzialismo ma con occasioni di lavoro e sviluppo. Il Reddito di cittadinanza può essere una delle ricette per lenire le sofferenze. Eppure ci sarà chi userà questi numeri per alimentare bieco razzismo antinapoletano. Ci sarà chi trasformerà questi numeri della povertà in tentativo di imbroglio.

Il Lazio conquista il terzo gradino del podio con 73.861 domande prese in carico dall’Inps. Solo 56 mila per la Calabria. Dal Piemonte ne sono arrivate finora 45.876. Ventisettemila dal Veneto. Meno di ventimila dalla Liguria. Sotto le diecimila quelle giunte per adesso da Friuli Venezia Gulia, Basilicata e Umbria.
Appena mille quelle dell’ Alto Adige: da Bolzano sono pervenute 356 domande, da Roma 50.840.

Le domande provenienti da under 25 si contano sulle dita delle mani: ammontano al 3 per cento di quelle totali. Quelle avviate da cittadini under 40 risultano essere il 26 per cento. Anche i bonifici in arrivo tra la fine di aprile e l’inizio di maggio saranno meno del previsto. Solo dieci giorni fa il ministero del Lavoro aveva annunciato entusiasta che le domande presentate a marzo avevano superato quota 850 mila e che i beneficiari coinvolti erano 2,8 milioni. Ma ora dal nuovo conteggio emerge che quelle caricate dall’Inps, a cui verrà versata la prima mensilità tra venti giorni, sono inferiori, ossia 806 mila, equivalenti a trecentomila beneficiari in meno rispetto ai 2,8 milioni sbandierati alla fine di marzo.

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In Italia 70 detenuti transgender, ‘vivono isolamento’

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Sono sei gli istituti penitenziari italiani che accolgono le persone transgender, per una settantina di detenuti in totale. La loro situazione di “doppia difficoltà”, per la limitazione della libertà e l’appartenenza ad una particolare minoranza è sottolineata dal garante regionale per i detenuti in Emilia-Romagna Roberto Cavalieri che ha promosso per il 9 aprile, nella sede della Regione a Bologna, un convegno di approfondimento sul tema. Il focus sarà sulla sezione di Reggio Emilia dove, viene spiegato, istruzione, formazione professionale e accesso al lavoro, fondamentali per la rieducazione, non vengono garantiti: “Per queste persone si traduce in un vero e proprio isolamento, con la conseguenza della violazione di un diritto fondamentale”, secondo il garante. I dati più aggiornati sono nel rapporto sulle condizioni di detenzione curato di Antigone per il 2023, che conta 69 persone transgender in sezioni protette omogenee riservate, due collocate in una sezione promiscua nuovi giunti, una collocata in isolamento circondariale.

Gli istituti sono Rebibbia Nuovo Complesso (16 su una capienza di 30 posti), Como (11), Reggio Emilia (11), Napoli-Secondigliano (11, di cui 8 collocate nella sezione per persone transgender, su una capienza di 24 posti), Ivrea (7 su una capienza di 20 posti) e Belluno (16). “La scelta di gestire la collocazione in sezioni protette attraverso ‘circuiti’ (connotati dal carattere dell’informalità), anziché attraverso ‘regimi’ (che invece formalizzano la limitazione del diritto all’uguaglianza di accesso al trattamento), non si traduce, nella materialità della condizione detentiva, nel godimento del pieno diritto al trattamento, anzi, può rivelarsi di fatto come una condizione punitiva”, osserva Antigone. “L’essere percepiti e trattati come ‘eccezione’ dentro al carcere non va inteso in termini di opportunità di accedere a una condizione per vari aspetti privilegiata, bensì, al contrario, significa rischiare o sperimentare forme di pluri-stigmatizzazione ed emarginazione”, continua.

“Servirebbe attivare percorsi personalizzati che tengano conto di questa condizione particolare e che non trascurino l’aspetto del disagio psichico che queste persone spesso manifestano”, dice il garante Cavalieri. Nella sezione reggiana (attiva dal 2018), denominata Orione, “il problema riguarda l’offerta di servizi rientranti nel trattamento in carcere, decisamente più carente rispetto ai detenuti maschi”, spiega il garante. Inoltre, “nel caso dei transgender deve essere assicurata la fruizione delle terapie ormonali e della psicoterapia a supporto del percorso di transizione. Un aspetto che, però, non trova piena attuazione a Reggio Emilia, a causa della carenza in struttura di personale sanitario”.

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Gaja ai sommelier, ‘non abbiate paura di Ia e naso artificiale’

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L’innovazione e il progresso tecnologico legato all’intelligenza artificiale non possono spaventare un sommelier professionista. E’ il messaggio del produttore piemontese Angelo Gaja ai numerosi sommelier diplomati oggi durante il 44/o Forum della cultura dell’olio e del vino della Fondazione italiana Sommelier (Fis). “Un naso artificiale potrà forse distinguere – ha detto Gaja – la concentrazione di un vino. Ma c’è qualcos’altro che il naso artificiale non sarà mai capace di fare e che ha bisogno di voi a un certo punto per individuare quando un vino è elegante. L’eleganza di un vino è infatti un aspetto emozionale, non c’è una misurazione meccanica. Solo il soggetto umano ne è capace. Quindi non dobbiamo aver timore dell’intelligenza artificiale e del naso artificiale che arriverà perché la capacità suprema è sempre quello del soggetto che ne è capace”.

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Carabiniera suicida: perquisizione cronista non necessaria

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Una perquisizione “deliberatamente mirata a disvelare la fonte informativa del giornalista senza alcuna vera ricaduta sulle indagini, che oltre tutto sembrano essersi limitate agli accertamenti, preliminari e funzionali, volti a stabilire che si fosse effettivamente trattato di un suicidio. Tale modus operandi da parte dell’organo requirente non è obiettivamente consentito” alla luce della Costituzione e della legge.

Così la Cassazione nella motivazione della sentenza con cui lo scorso 22 gennaio ha annullato il decreto di sequestro di tre computer e di un telefono cellulare nella disponibilità di Simone Innocenti, giornalista del Corriere Fiorentino, indagato dalla procura di Firenze per concorso con uno o più pubblici ufficiali di rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio per un articolo del 17 maggio 2024 sul caso del suicidio di un’allieva della Scuola marescialli e brigadieri di Firenze.

La procura diretta da Filippo Spiezia lo scorso 31 luglio aveva disposto perquisizioni e sequestro. Il giornalista, difeso dall’avvocato Caterina Malavenda, aveva impugnato il decreto di perquisizione e il conseguente sequestro: il Riesame aveva respinto il ricorso, decisione poi ribaltata dalla Cassazione.

La Suprema Corte richiama la tutela delle fonti fiduciarie che l’ordinamento riconosce al giornalista in base all’articolo 15 della Costituzione e all’articolo 200 del codice di procedura penale, riportando, così la norma, “‘che se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione delle fonti’, il giudice e non il pubblico ministero ‘ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni'”.

Per la Cassazione “deve, dunque, sussistere la necessità di accertare dei fatti costituenti reato, il che non era nel caso di specie, e ricorrere l’evenienza che l’esame testimoniale della fonte riservata costituisca la sola modalità per l’accertamento di quei fatti, anch’essa non riscontrabile nella fattispecie in esame”: “L’eventuale identificazione del pubblico ufficiale responsabile della divulgazione della notizia presunta riservata non avrebbe avuto alcuna incidenza sul fatto da accertare”, ovvero le modalità del decesso dell’allieva morta.

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