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Questione migranti, il procuratore Patronaggio alla Commissione affari Costituzionale smonta il dl sicurezza bis

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Mentre al Viminale Matteo Salvini ha messo al lavoro il suo ufficio legislativo per inasprire le pene del decreto sicurezza bis – all’esame del Parlamento per la sua conversione in legge – oggi alla Camera professori di diritto, magistrati ed avvocati hanno fatto a pezzi il provvedimento: non ci sono i requisiti di necessita’ ed urgenza, contrasta con le norme internazionali, ha profili di incostituzionalita’, secondo gli esperti sentiti dalle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia di Montecitorio. Tra di loro anche un magistrato in prima linea nella querelle Salvini-ong, il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio. Per smontare la necessita’ ed urgenza del dl, Patronaggio ha snocciolato i dati degli arrivi di migranti sul suo territorio: “dagli 11.159 sbarcati nel 2017 – ha detto – si e’ passati ai 1.084 del primo semestre di quest’anno. E quelli soccorsi dalle ong rappresentano una porzione insignificante”. Quanto alle misure, l’articolo 1 che attribuisce al ministero dell’Interno il potere di vietare l’ingresso in acque italiane per ragioni di sicurezza pubblica o quando c’e’ un passaggio “non inoffensivo” di una nave, secondo Francesca De Vittor, ricercatrice di Diritto internazionale all’Universita’ Cattolica di Milano, “presenta notevoli profili di illegittimita’. Esso non puo’ giustificare il divieto d’ingresso a navi che stiano operando soccorso in mare e stiano entrando nel territorio dello Stato al fine di completare l’obbligo di soccorso, cioe’ portarle in un porto sicuro”. Critiche anche all’articolo 2, che introduce sanzioni a comandante, armatore e proprietario della nave che non rispetta il divieto di ingresso in acque italiane. “Se tutti gli Stati coinvolti – ha rilevato Cesare Pitea, professore di Diritto internazionale alla Statale di Milano – si scaricano della responsabilita’ di coordinare un intervento di salvataggio in mare, la responsabilita’ ricade sul comandante che ha potere e dovere di assicurare la navigazione piu’ adeguata verso un porto sicuro”. Inoltre, ha aggiunto Giuseppe Cataldi, docente di Diritto internazionale all’Orientale di Napoli, “se le pesanti ipotesi sanzionatorie intendono scoraggiare l’ingresso in porto di una nave con a bordo persone in distress, cio’ e’ in contrasto con le convenzioni internazionali che obbligano. Cercare di rendere difficile la vita a chi ha l’obbligo di intervenire viola tutti i principi”. Anche per l’Anm, col decreto “chi presta soccorso rischia di dover affrontare un lungo processo penale e di dover impugnare le sanzioni irrogate. C’e’ quindi una funzione deterrente rispetto all’attivita’ di soccorso in mare”. E “tutti i procedimenti a carico delle ong – hanno ricordato Giuliano Caputo e Silvia Albano dell’Associazione magistrati nazionale – si sono conclusi con l’assoluzione”. Le audizioni delle Commissioni sul dl bis proseguiranno domani con le ong, tra le quali la stessa Sea Watch. Una convocazione fortemente osteggiata dalla Lega che ne ha chiesto l’annullamento. Giuseppe Brescia (M5S), ha sottolineato che l’audizione non e’ stata su invito dei Cinquestelle ma dei gruppi Pd e Misto-+Europa, e “le presidenze non avrebbero potuto opporsi ad una legittima richiesta delle opposizioni”.

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Appalti, Anac: rischi voto di scambio o favori… ai cugini

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Appalti, il giorno dopo. All’indomani del via libera del Consiglio dei ministri al nuovo codice, che regolerà in futuro la concessione di lavori pubblici, si accende il dibattito sulle luci e sulle ombre del provvedimento e in molti casi non si risparmiano le polemiche. Dei 229 articoli che da ora in poi regoleranno tutte le procedure per assegnare e gestire un appalto, da più parti è stato accolto con favore il ricorso alla digitalizzazione e alla semplificazione. Ma come rovescio della medaglia della volontà di rendere le procedure più semplici oltre che più rapide e meno burocratizzate, c’è chi solleva dubbi e timori sulle possibili ripercussioni negative. Prima fra tutti l’Anac, che paventa il rischio di voti di favore o appalti assegnati a familiari e amici. Il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini però rassicura garantendo che “con i tempi più veloci avremo meno corruzione”. L’Autorità che previene la corruzione in tutti gli ambiti amministrativi ritiene positivo che nel nuovo Codice degli appalti si punti sulla digitalizzazione, “che obbliga a trasparenza e partecipazione”. Ma non manca di puntare il dito su quella che ritiene la principale ‘ombra’, ovvero il fatto che sotto i 150.000 euro “si dà mano libera, si dice di non consultare il mercato e di scegliere l’impresa che si vuole”.

Il timore dell’Anac è che così “si prenderà l’impresa più vicina, quella che si conosce, non quella che si comporta meglio”. Insomma, secondo il presidente dell’autorità Giuseppe Busia “sotto i 150.000 euro va benissimo il cugino o anche chi mi ha votato e questo è un problema, soprattutto nei piccoli centri”. Secondo l’Anac, quindi, ben venga il fare in fretta, purché questo non significhi perdere di vista il fare bene. E non è nemmeno del tutto un bene sburocratizzare troppo laddove la burocrazia fa invece bene il suo lavoro, ovvero “fa controlli per far bene, per rispettare i diritti e perché i soldi vanno spesi bene”. Mentre la Cigil annuncia che l’1 aprile andrà in piazza con la Uil per protestare contro la nuova raccolta di norme e chiedere modifiche al governo, Salvini ne difende invece il valore, spiegando che “sarà uno strumento di lavoro fondamentale per l’Italia nei prossimi anni”. In vigore dal primo luglio, come anticipato dallo stesso ministro, il nuovo codice premetterà di “risparmiare almeno un anno nella fase dell’istruttoria della pratica”. E, secondo lo stesso Salvini, “chi lamenta che sia un favore a corrotti e corruttori sbaglia perché più veloce è l’iter della pratica meno è facile per il corrotto incontrare il corruttore”.

Tra le tante e più disparate reazioni alla nuova rivoluzione nel mondo degli appalti ha detto immancabilmente la sua anche l’Ance, l’associazione dei Comuni che saranno i soggetti interessati in prima linea nella gestione delle gare pubbliche. L’Ance plaude ai grandi passi avanti fatti in un tempo a disposizione assai limitato (vista la scadenza improrogabile del 31 marzo) e registra con favore le modifiche su illecito professionale e la revisione dei prezzi “anche se va ancora affinato il meccanismo di revisione per renderlo veramente automatico ed efficace”. “Restano però – osserva la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio – perplessità sulla concorrenza, in particolare nei settori speciali che di fatto potrebbero sottrarre al mercato il 36% del volume dei lavori pubblici”. Tra i sindacati, particolarmente critica appare anche la Uil, con il segretario generale Paolo Bombardieri che avverte che “il codice degli appalti ci fa tornare indietro di 40 anni. Ci saranno, così, gare al massimo ribasso e si rischia di indebolire tutto ciò che si è provato a costruire per la sicurezza sul lavoro e per l’applicazione dei contratti, soprattutto nell’edilizia”. Di parere diverso invece la Filca-Cisl che definisce il codice appalti un passo in avanti importante per il settore, ma ritiene utili correttivi e affinamenti.

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Da cure occhi a cuore, attese aumentano nelle regioni

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Dai ricoveri alle visite mediche, nel 2021 diverse regioni hanno visto peggiorare i tempi di attesa rispetto al 2020. Per gli interventi chirurgici per tumore al seno, il Lazio è passato dal 53% al 35% di prestazioni eseguite secondo i tempi previsti. Mentre per l’elettrocardiogramma la Sardegna è passata da 15 giorni di attesa a 52 giorni. Soprattutto, però, i dati disponibili sono “incompleti, disomogenei e non comparabili” e “urge un ripensamento del sistema di raccolta”. A denunciare il “fallimento del Piano per la Gestione delle liste d’Attesa” è il report Healthcare Insights – Osservatorio sull’Accesso alle Cure, presentato dalla Fondazione The Bridge. Mentre, all’indomani del pacchetto sanità approvato dal Consiglio dei Ministri, a minacciare una ripresa della mobilitazione sono le organizzazioni sindacali della dirigenza medica: “non si salva così la sanità pubblica”, spiegano. L’obiettivo del Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa è “lungi dall’essere raggiunto e siamo lontanissimi dall’informare i cittadini”, spiega il report.

All’interno del Piano è previsto, infatti, un elenco di 69 prestazioni sanitarie ambulatoriali e 17 in ricovero di cui monitorare i tempi di erogazione, ma le uniche a fornire informazioni su tutte sono state Abruzzo, Puglia e Marche. Dal frammentato quadro emerge che per una prima visita ginecologica il Molise e la Basilicata si distinguono in negativo, con il 58% di prestazioni eseguite per tempo e una media di 42 giorni di attesa. Allo stesso modo, per una visita oculistica, l’Umbria passa da 15 giorni medi di attesa nel 2020 a 33 nel 2021, la Sardegna da 23 a 56 giorni. “Nel 2021 – sottolinea Luisa Brogonzoli, coordinatrice Centro Studi The Bridge – abbiamo visto un acuirsi progressivo di difficoltà organizzative iniziate nel 2020 con l’esplosione della pandemia e dovute alle tantissime ospedalizzazioni per Covid che hanno messo sotto stress gli ospedali”. A colpire però, prosegue, è anche “l’assoluta disomogeneità dei dati forniti dalle singole Regioni, conseguenza di una normativa nazionale, che lascia a ciascuna la libertà di stabilire le modalità attraverso cui i dati sono resi accessibili”. Di fatto “il Piano Liste di Attesa, ormai è inadeguato. Urge un ripensamento”. Proprio per realizzare una nuova modalità di analisi dei dati, più rispondenti alla realtà, Fondazione The Bridge e l’Agenzia nazionale dei servizi sanitari regionali (Agenas) hanno dato il via a un gruppo di lavoro. Intanto, nonostante lo stanziamento di circa 1 miliardo di euro dal 2020 ad oggi per il recupero delle liste di attesa, la capacità della sanità pubblica di garantire l’accesso alle cure “è ancora inferiore al pre pandemia e con inaccettabili differenze tra le Regioni. Nel primo semestre 2022”, secondo Salutequità, “sono saltate una prima visita specialistica su 5 in Italia rispetto allo stesso periodo del 2019, con punte di oltre una prima visita su due nella PA di Bolzano (-55,2%), una su 3 in Valle d’Aosta, Sardegna, Calabria e Molise”.

L’allarme non è nuovo e ha diverse cause: l’effetto del boom di ricoveri legati al Sars-cov-2, la carenza di medici dovuta a decenni di tagli alla sanità e la cattiva programmazione rispetto al fabbisogno di specialisti da formare. Il risultato, come emerge dai dati Istat, è che la quota di persone che hanno dovuto rinunciare a prestazioni è passata dal 6,3% nel 2019 al 9,6% nel 2020, fino all’11,1% nel 2021 e chi invece può, si rivolge al privato. A fronte di quella che la Fondazione Gimbe ha definito “una Sanità in Codice Rosso”, le novità previste nel Decreto Bollette sono bocciate dall’Intersindacale medica, che annuncia la ripresa della mobilitazione in vista di una manifestazione pubblica a giugno e annuncia anche scioperi. “E’ un decreto monco – spiegano i sindacati – che, per quanto contenga risposte, come la procedibilità d’ufficio per chi aggredisce gli operatori sanitari, fallisce l’obiettivo di sollevare un Servizio Sanitario Nazionale in ginocchio e arrestare la fuga di medici”.

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Fitto in Ue, trattativa su filo su Pnrr-flessibilità

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Un mese per trattare sulla terza rata da 19 miliardi, qualcuno in più per negoziare la flessibilità sui fondi: la partita sul Pnrr tra Italia e Ue si avvicina al bivio. E’ una partita che, per Roma, è certamente in salita e, forse, non è neanche agevolata dai diversi fronti aperti tra governo e Bruxelles, dal Green Deal o dal Mes. “Non c’è preoccupazione, c’è consapevolezza, e stiamo lavorando in maniera propositiva con la Commissione”, è l’invito alla calma arrivato da Bruxelles dal ministro per gli Affari Ue, la Coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto. L’ex eurodeputato è tornato nella capitale belga per aggiornare il negoziato con l’esecutivo Ue con un duplice obiettivo: incassare il via libera alla terza tranche e arrivare ad uno spazio di manovra che consenta di spostare dal Pnrr alla programmazione di Coesione quei progetti che, entro il 2026, sono irrealizzabili. A Bruxelles Fitto ha visto tre commissari, Margaritis Schinas, Nicolas Schmit e Stella Kyriakides. Ha avuto incontri tecnici e ha incontrato la delegazione di Fdi all’Eurocamera. Il messaggio, più o meno, è stato lo stesso: il governo è impegnato a difendere l’intera gamma di progetti per l’ok dell’Ue alla terza rata e, al tempo stesso, ha posto un problema: nel Pnrr italiano ci sono target che, entro il 2026, “è impossibile realizzare”. Sul primo punto ad essere in bilico sono soprattutto due progetti, quello per il nuovo stadio a Firenze (sul quale ci sarebbero dubbi legati all’ammissibilità del piano nelle regole di concorrenza europee) e quello del ‘Bosco dello sport’ a Venezia.

Il ‘no’ della Commissione è tutt’altro che da escludere anche perché l’esecutivo non può permettersi di perdere i miliardi che sarebbero già dovuti arrivare a inizio marzo. Certo, nel governo non nascondono un dato: si tratta di progetti che sono parte del Pnrr targato Mario Draghi, sui quali Bruxelles aveva dato via libera. In serata il commissario agli Affari Economici Paolo Gentiloni è tornato a sottolineare come l’Ue “lavora assieme all’Italia e non ha alcuna voglia di riproporre a Bruxelles divisioni interne” alla politica italiana. Ma forse, all’interno dell’Ue e su spinta dei ‘frugali’, qualcosa nell’atteggiamento dell’Europa verso l’Italia è cambiato. Di certo, ha assicurato Fitto, da parte dell’esecutivo non c’è volontà di fare polemica. “D’intesa con i sindaci e con i ministeri dell’Interno e dell’Economia il governo predisporrà delle risposte di chiarimento” all’Ue sui progetti sotto esame, auspicando che si trovi una soluzione”, ha spiegato. Sull’altro fronte, quello della modifica del Pnrr, Roma presenterà invece “una relazione completa che andrà a fotografare lo stato attuale anche con delle proposte di cambiamento che andranno affrontate d’intesa con l’Ue”.

Un cambiamento che terrà conto del capitolo aggiuntivo del RepowerEu ma anche del fatto che, per il piano strategico energetico dell’Ue, le risorse a fondo perduto per l’Italia proverranno solo dal sistema Ets. E, al momento, Roma non ha diritto ad alcun prestito ulteriore. La flessibilità nell’uso dei fondi, laddove Paesi come la Germania possono contare sul nuovo allentamento sugli aiuti di Stato, diviene così una “logica convergenza”. “Potremmo immaginare un coordinamento unico per il Pnrr che scade a giugno del 2026, i fondi di Coesione che vanno spesi entro il 2029 e il Fondo di sviluppo e Coesione, che è nazionale e non ha scadenza”, ha spiegato Fitto. Bruxelles, su questo punto, ha già mostrato aperture. Ma il lavoro su quali siano i progetti da ‘trasferire’ alla Coesione è complesso e potrebbe incrociare l’ira di diversi amministratori locali. Ma per il governo la strada è questa: porre il problema ora è stato un gesto di responsabilità perché evita che sarebbe scoppiato fra qualche mese o un anno, è la linea di Fitto. Che l’Ue dilazioni la scadenza del Pnrr a dopo il 2026, anche a Roma, ormai è escluso. Mentre cresce la consapevolezza che la maggiore trappola legata al Recovery Fund si nascondeva proprio nella sua deadline.

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