Protesi al seno sotto la lente delle agenzie sanitarie internazionali per indagare sulla loro sicurezza e su un possibile collegamento con l’insorgenza di una rara forma tumorale di linfoma non-Hodgkin che si sviluppa a carico del sistema immunitario, il Linfoma Anaplastico a Grandi Cellule (ALCL). Al momento, però, non è provato alcun legame causale tra protesi e insorgenza del tumore. Anche il ministero della Salute italiano, che ha pubblicato sul proprio sito un aggiornamento sulla questione, gia’ dal 2014 e’ parte attiva di una task force internazionale che monitora tale patologia. Nel 2015, il ministero ha emanato una circolare con l’obiettivo di sensibilizzare tutti gli operatori sanitari del settore ad “una corretta diagnosi di ALCL in presenza di sintomatologia sospetta” e lo scorso febbraio ha ribadito le raccomandazioni per medici e pazienti in una lettera inviata agli Assessorati alla sanita’ di tutte le Regioni e Provincie Autonome. In Usa, invece, si e’ appena conclusa una due giorni di audizioni nella sede dell’ente per la regolamentazione dei farmaci Food and drug administration (Fda) proprio per stabilire i rischi per la salute legati alle protesi al seno denunciati da molte donne.
I casi di questo tipo di tumore in donne statunitensi con protesi, registrati dalla Fda, sono ad oggi 457. Le pazienti colpite, spesso da sintomi cosi’ forti da richiedere la rimozione delle protesi, sono sfilate una dopo l’altra a raccontare le loro storie: alcune sono state colpite dopo anni dall’impianto da forme di questo tumore gravi e persino metastatizzate. L’insorgenza dei sintomi, infatti, varia da 1 a 22 anni dalla data dell’impianto, con un tempo medio di 6,8 anni. Ma al momento, il comitato Fda non intenderebbe raccomandare il ritiro dal mercato delle protesi, ritenendo che il bando degli impianti sarebbe una decisione affrettata, senza dati sufficienti a sostenerne la necessita’. La Fda dovrebbe comunque fornire a breve delle linee guida su come continuare a studiare il legame con il linfoma. Ad oggi, si legge invece sul sito del ministero della Salute italiano , “il data base ministeriale registra 41 casi (dal 2014 a febbraio 2019)” di tumori ALCL associati a protesi – in particolare le protesi mammarie a superficie testurizzata – mentre sono circa 51.000 le protesi mammarie impiantate ogni anno in Italia. I casi di ALCL associati a protesi e notificati attualmente in Europa sono 211, circa 800 quelli notificati a livello mondiale. Benche’ il numero di casi “risulti essere molto basso in rapporto al numero di dispositivi utilizzati – precisa il ministero – si ritiene utile e necessario continuare ad attenzionare la tematica”. Per questo motivo, il ministero sta monitorando i casi clinici italiani grazie alla collaborazione con i vari operatori sanitari che sul territorio hanno diagnosticato e stanno seguendo le pazienti nel loro follow-up clinico. Un’azione coordinata internazionale, conclude il dicastero della Salute, diventa dunque “quanto mai importante poiche’ solo il follow-up a lungo termine di un elevato numero di soggetti affetti potra’ consentire di formulare protocolli di trattamento univoci, in seguito ai quali ci si potra’ esprimere correttamente anche sulla prognosi della patologia”.
Un passo avanti decisivo nella lotta contro l’Alzheimer: la Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti ha approvato il primo esame del sangue capace di identificare precocemente la malattia. Il test è stato sviluppato da Fujirebio Diagnostics e si basa sull’analisi del rapporto tra due proteine presenti nel sangue, utili per intercettare i segnali della neurodegenerazione in fase iniziale.
Diagnosi più rapida per avviare subito le terapie
Il nuovo esame rappresenta un’innovazione cruciale per la diagnosi precoce dell’Alzheimer, poiché consentirà di iniziare prima la somministrazione di farmaci capaci di rallentare la progressione della malattia. Fino a oggi, l’identificazione dell’Alzheimer avveniva con metodi più complessi e invasivi, come la PET o la puntura lombare. Con un semplice prelievo di sangue, ora sarà possibile intervenire in anticipo.
Allarme Alzheimer: i numeri negli Stati Uniti
Secondo i dati diffusi dalla FDA, negli Stati Uniti il 10% delle persone con più di 65 anni è affetto da Alzheimer. Una cifra destinata a raddoppiare entro il 2050, sottolineando l’urgenza di strumenti diagnostici più efficienti. Marty Makary, rappresentante dell’agenzia sanitaria americana, ha dichiarato:
«L’Alzheimer colpisce troppe persone, più del cancro al seno e del cancro alla prostata messi insieme».
La speranza è nella prevenzione
Il test di Fujirebio potrebbe trasformare radicalmente l’approccio alla malattia, rendendo possibile una strategia di prevenzione più efficace, con controlli regolari nella popolazione a rischio. La comunità scientifica internazionale accoglie con interesse questa approvazione, che potrebbe presto cambiare anche i protocolli diagnostici europei.
In Italia una persona con diabete su tre non sa di averlo, mentre altri 3,5 milioni di italiani presentano prediabete non ancora diagnosticato. Numeri preoccupanti quelli anticipati dalla Società italiana di diabetologia (Sid) in occasione di ‘Panorama Diabete’, il congresso nazionale della Sid che si apre a Riccione il 18 maggio. In Molise, secondo alcuni dati dell’Istituto superiore di sanità (Is) riferiti al biennio 2022-2023, ne soffre quasi il 5 per cento della popolazione adulta, valore comunque in linea con quello nazionale (4,8 per cento).
“I trend di crescita della patologia – commenta Riccardo Bonadonna, Presidente eletto Sid – impongono un aumento delle strutture specialistiche, che devono agire in costante collegamento e sinergia con il territorio. Servono un servizio diabetologico in tutti gli ospedali e un team diabetologico in ciascuna casa di comunità, oltre ad un incremento dei posti per la formazione specialistica in endocrinologia e malattie del metabolismo”.
E’ un bambino di pochi mesi di vita, affetto da una rara malattia metabolica, il primo paziente al mondo trattato con una nuova terapia personalizzata basata sull’editing genetico con tecnologia Crispr: sottoposto a tre infusioni tra febbraio e aprile, ha già mostrato alcuni miglioramenti senza gravi effetti collaterali, anche se servirà un monitoraggio più lungo per verificare appieno gli esiti della terapia. Il risultato, che apre nuovi scenari per le malattie genetiche rare, è pubblicato su New England Journal of Medicine da un team del Children’s Hospital di Philadelphia e della Penn Medicine negli Stati Uniti. I
l piccolo paziente, KJ, è nato con una rara malattia metabolica dovuta al deficit di un enzima del fegato, la carbamil fosfato sintetasi 1 (CPS1): questa condizione provoca l’accumulo di ammoniaca nel sangue, anche fino a livelli tossici, con pesanti conseguenze per organi cruciali come il cervello. Solitamente il trattamento consiste nel trapianto di fegato, ma vi possono accedere solo pazienti clinicamente stabili che hanno un’età sufficiente per affrontare una procedura così importante.
KJ era ancora troppo piccolo e così i ricercatori hanno provato ad aiutarlo sviluppando una terapia di editing genetico personalizzata, mirata alla specifica variante del gene CPS1 identificata nel bambino subito dopo la nascita. La terapia è stata messa a punto in soli sei mesi ed è stata somministrata tramite nanoparticelle lipidiche al fegato, infuse in tre dosi a febbraio, marzo e aprile 2025. “Sebbene KJ dovrà essere monitorato attentamente per il resto della sua vita, i nostri risultati iniziali sono piuttosto promettenti”, afferma Rebecca Ahrens-Nicklas, direttrice del Gene Therapy for Inherited Metabolic Disorders Frontier Program presso il Children’s Hospital di Philadelphia e professoressa associata di pediatria dell’Università della Pennsylvania.